Un simpatico articolo di Diego Giachetti apparso nel 1996 su Il grande vetro e praticamente sconosciuto.
Amadeo Bordiga, nato a Resina, presso Napoli, il 13 giugno 1889, è stato cattivo, ma così cattivo che pochissimi lo hanno considerato quand'era in vita e quasi più nessuno lo ricorda oggi, ventisei anni dopo la sua morte avvenuta il 23 luglio 1970. Il nostro "eroe negativo" non viene oggi preso in nessuna considerazione dagli intellettuali, compresi quelli che per provare i brividi che nascono dal trattare "argomenti proibiti" e storie "eretiche", si tuffano nella riproposizione di vite di poeti maledetti o nell'esaltazione di animatori di riviste che conducevano analisi in "venti gatti in appartamentini-redazione senza tavoli e senza sedie", secondo la bella definizione che ne dà Giorgio Cesarano nel suo libro I giorni del dissenso del 1968. No, neanche nella penna di questi cultori, trova posto l'Amadeo e le ragioni sono più che mai evidenti. Innanzi tutto egli è stato comunista prima ancora che sorgesse il Partito Comunista, animava infatti la frazione comunista dentro il Partito Socialista.
Rimase poi così felicemente colpito da quello che nell'ottobre del 1917 Lenin e i bolscevichi andavano combinando in Russia che decise di provare a fare come loro e, a tal fine, assieme a quell'irresponsabile sardo trapiantato a Torino, a Livorno nel 1921 decise di fondare il Partito Comunista che volle chiamare d'Italia.
Non solo fin da giovane era comunista, ma era pure astensionista, critico feroce di quello che già gli appariva come il vecchio parlamento socialista che riduceva la rivoluzione proletaria "in berretto da notte e pantofole con un tantino di reumatismi e qualche dente caduto". E ancora, quando gli sembrò che il comunismo italiano in qualche modo cominciasse ad edulcorarsi litigò bruscamente con lo stesso Gramsci (figurarsi quindi che opinione poteva maturare in seguito su Togliatti) andò a Mosca e al VI esecutivo allargato dell'Internazionale Comunista del febbraio-marzo 1926 tenne un "poderoso discorso" criticando pubblicamente Stalin al punto che quest'ultimo chiese perdono a Dio per le parole che il nostro napoletano aveva pronunciato. E nel 1929 quando ai comunisti italiani al confino fu richiesto di pronunciarsi pro o contro Trotsky ormai caduto in disgrazia e senza possibilità di rivincita a breve termine, con chi si schierò? Ma con Trotsky naturalmente, assieme ad altri 37 compagni a fronte di 102 che votarono contro. Fu ripagato con l'espulsione dal partito nel marzo del 1930.
Oltreché comunista, pare anche che egli fosse simpatico, chiacchierone, gioviale compagnone, leale nella discussione politica interna. Gramsci nelle lettere del carcere lo ricordava con simpatia e ammirazione, nonostante le divergenze politiche, e si lamentava perchè Bordiga era pressoché imbattibile a scopone e aveva il pallino, da buon ingegnere, di riordinargli i libri della piccola biblioteca secondo un sistema geometrico. Egli stesso non lesinò mai manifestazioni di affetto umano per il rivoluzionario sardo, anche se non aveva difficoltà a dire che riguardo al marxismo ne capiva più Turati di Gramsci.
Era un uomo singolare, chi sarebbe oggi disposto a rivendicare come proprie doti principali il settarismo, il dogmatismo e la mancanza di duttilità verso le situazioni nuove? Lui lo fece in una bella e significativa intervista strappatagli da Sergio Zavoli pochi mesi prima della morte. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la sua produzione teorica divenne intensa, prolifica ma poco conosciuta, volta soprattutto alla formazione dei militanti della piccola organizzazione di cui faceva parte, il Partito Comunista Internazionale, che ancora oggi pubblica il giornale il programma comunista, sul quale comparvero la maggior parte dei suoi scritti, sempre rigorosamente anonimi, sovente raccolti sotto la rubrica "sul filo del tempo", termine che stava ad indicare la convinzione di poter trarre lezioni per il futuro guardando al passato attraverso il presente. Un lavoro di ricerca e di elaborazione politica lungo, minuto e dettagliato, quasi da formiche, che oggi appare in tutta la sua evidenza grazie al bel lavoro di Arturo Peregalli e Sandro Saggioro che hanno compilato la bibliografia dei suoi scritti pubblicandola nel libro Amadeo Bordiga. Bibliografia, Milano, Colibrì.
Ne emerge un ritratto di autore "duro e puro" ma anche capace di soluzioni linguistiche e lessicali che lo pongono, secondo Diego Gabutti, "all'altezza, per sollazzo e invenzione linguistica, dei racconti di Carlo Emilio Gadda". Riportiamo in merito alcuni esempi di titoli di articoli: Gracidamento della prassi, Esecuzione capitale ed esecuzione del capitale, Lui, lei e l'altro (la terra,il denaro e il capitale), Rendita differenziale- appetito integrale, Terra matrigna, mercato lenone, Terra vergine, capitale satiro, Miseranda schiavitù della schiappa, Striptease ad alto livello, Balle di alta precisione, Vomitorium montecitorii. Rancidume romantico.
Nell'ambito della cultura marxista italiana Bordiga è incollocabile. Ferocemente antiidealista, critico distruttivo dello storicismo crociano, nemico di ogni valorizzazione del soggettivismo e della volontà dell'individuo, egli considera il marxismo come una dottrina scientifica che analizza e studia la formazione sociale capitalistica. Marx gli appare "come un boxeur del muscolo cervello", la sua teoria non va arricchita, integrata sviluppata, emendata in alcune parti, va riproposta tale e quale. In Marx "non vi è nulla da mutare", noi siamo solo "scolari divulgatori" di ipotesi e di assiomi teorici i quali trovano conferma nel corso del processo storico, passato, presente e futuro.
Certo la prospettiva in cui si muove l'elaborazione di Bordiga va oltre quella del "politico da stipendio che sostituisce al corso storico lo spirare del suo mandato elettorale". C'è la presunzione di aver afferrato il senso del divenire storico. Il suo è un marxismo di impianto rigidamente deterministico che nulla ha a che fare con la nostra tradizione umanistico-letteraria. Non a caso egli è un ingegnere e, come tale, ha uno sconsiderato amore per i dati empirici. Se si parla di tendenze economiche occorre innanzi tutto cercare dati statistici ed economici attendibili e poi disaggregarli e ricomporli attraverso il calcolo delle probabilità ed altri accorgimenti matematici, prima di inserirli in un discorso macroeconomico, dentro una teoria generale dello sviluppo capitalistico. Non è cosa da poco la sua, in un paese dove molti si sentono autorizzati a parlare o a a scrivere di questioni economiche senza mai citare un dato, una tabella, una statistica.
Lo stesso Panzieri rimase colpito dalle analisi economiche di Bordiga al punto di proporne la pubblicazione presso la casa Editrice Einaudi. A proposito, un campo ancora tutto da esplorare resta quello di un raffronto critico tra la lettura complessiva che Bordiga ha fatto di Marx e quella che ne ha fatto Panzieri. Rimane da verificare, secondo Liliana Grilli, l'ipotesi di una possibile influenza indiretta di Bordiga sullo sviluppo delle posiziono teoriche di Panzieri. Fin dal 1952 Bordiga aveva sottolineato l'importanza delle osservazioni di Marx circa il "dispotismo di fabbrica", tema divenuto poi centrale nel dibattito marxista degli anni Sessanta e ripreso dal gruppo dei Quaderni Rossi.
Il marxismo convalida le sue affermazioni con metodo scientifico e sperimentale, lo stesso che i pensatori dell'epoca borghese applicarono al mondo naturale. Esso deduce dai risultati acquisiti le soluzioni dei problemi e spiega le ragioni del comportamento umano. "Gli uomini non sono messi in movimento da opinioni o da fenomeni del cosiddetto pensiero, sono indotti a muoversi dai loro bisogni!. Per Bordiga gli uomini fanno la storia prima di capirla; ad essa viene dato un senso e una interpretazione dopo e non prima similmente alla famosa "Nottola di Minerva che appare sul far della sera" a rappresentare la ragione che osserva il mondo quando la giornata è finita.
Ho voluto offrire un provvisorio e incompleto assaggio di questo cattivo, anzi cattivissimo maestro e vorrei concludere con un invito, poco materialista, ad uno sforzo di fantasia: provate ad immaginare a quali parole e a quali invenzioni linguistiche sarebbe ricorso Bordiga per raccontare lo spappolamento del "post" dei nostri giorni. Lui, così forte nel pensiero, cosa avrebbe detto dei "debolisti", di quella sinistra che, incapace di definire in positivo il presente, ricorre alla indecisa e nevrotica categoria dei "post": industriale, moderno, capitalista, fordista, ecc., riducendo la storia ad un prima e dopo pranzo.
Diego Giachetti
Il Grande Vetro, n. 133, maggio, giugno, luglio 1996