Prometeo, n. 135, 29 agosto 1936
Continuando nella riproposizione degli articoli di Prometeo ecco altri due scritti sulla guerra di Spagna sempre dal numero 135 di fine agosto 1936.
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Il Partito comunista ed il movimento Spagnolo
La funzione controrivoluzionaria della Russia sovietica e dei partiti comunisti che ne sono i vessilliferi, nella tragedia sociale spagnola diventa di giorno in giorno più evidente.
L’U.R.S.S., fattasi paladina della pace borghese e della democrazia capitalistica, aggiunge un altro crimine alla serie dei suoi attentati contro le masse operaie di tanti paesi del mondo.
Altro che Apocalisse dovrà scendere sui responsabili il giorno che il proletariato, sbarazzatosi dalle illusioni create dalla mistica rivoluzionaria per il paese ove «si costruisce il socialismo», si erigerà terribile nella riscossa come fu paziente nella fiducia a chiedere e saldare i conti di tanti tradimenti e disfatte.
Oggi, negli avvenimenti spagnoli, come ieri nell’aggressione italiana all’Abissinia, ritroviamo lo Stato russo ossessionato di impedire agli avvenimenti di avviarsi al loro sbocco inesorabile: la rivoluzione o la guerra. Attraverso la funzione specificamente giuridica di quell’organismo che è la Società delle Nazioni, attraverso le intese particolari fra gli Stati dominati dall’obbiettivo di menare a compimento l’opera di schiacciamento del proletariato, attraverso l’accordo, oggi, di non intervento in Spagna, l’U.R.S.S. riesce al suo intento di immobilizzare le masse e di salvare dalla rovina la democrazia borghese, cioè la dominazione capitalista.
La Russia non ha interesse ad una vittoria del fascismo spagnolo ed essa lo combatte (a chiacchiere, s’intende) non con una posizione di classe, ma ponendosi dal punto di vista della conservazione della pace, dello «status quo», dei rapporti di forza fra gli Stati, dell’accerchiamento militare e politico della Francia alleata. Franco è avversato, non come un nemico della classe operaia, ma come un probabile nemico della Francia, come un sicuro alleato di Hitler.
Il non intervento negli affari spagnoli è una oscena finzione diplomatica per salvare le apparenze. È noto che tutti gli Stati, e non solamente la Germania e l’Italia vendono armi, munizioni e provviste di ogni sorta ai militari ribelli, non esclusa forse la Russia stessa che già è recidiva nella malleabilità del suo senso commerciale per aver fornito al fascismo italiano grano per l’esercito di occupazione in Abissinia.
Il non intervento è realizzabile solo con l’intervento diretto delle masse che, ponendosi in ogni paese contro la propria borghesia, trasformerebbe questa posizione ipocrita ed ermafrodita cara ai governi di Mosca e di Parigi, in un intervento di classe attivo, energico e conseguente contro Blum e contro Azana ed a favore delle masse che si battono in Spagna.
La mobilitazione del mastodontico apparato sindacale parastatale russo per inviare qualche miliardo di franchi al governo di Fronte Popolare spagnolo è un atto di governo che non ha rapporto con la solidarietà di classe (e dicendo ciò non si diminuisce il valore ideale, la buona fede e l’intenzione dell’offerta dell’operaio russo) ma che serve a rafforzare, nella lotta, la posizione deliquescente del governo repubblicano di Azana.
La Russia, senza dubbio, teme la vittoria del fascismo, ma teme molto di più una successiva lotta del proletariato spagnolo contro il suo governo democratico, lotta che se trionfasse riporrebbe in modo più acuto ed ineluttabile il problema dell’intervento internazionale armato, cioè la guerra, per schiacciare la vittoria proletaria.
Anzi la minaccia più oscura che pesa sul proletariato spagnolo in armi è rappresentata proprio dall’ingresso immancabile della diplomazia sovietica e della vociferazione demagogica e sciovinista dei partiti comunisti sia di Spagna che di Francia, il giorno in cui si tentasse di dare una svolta rivoluzionaria all’azione.
E quel giorno sarà facile vedere gli operai francesi suggestionati dai comunisti opporsi agli operai spagnoli, che sarebbero considerati come dei “provocatori” della guerra!
Già si hanno segni di una tensione di rapporti fra gli anarco-sindacalisti ed i comunisti. Si sono verificati alcuni casi di conflitti fisici fra i due gruppi.
La vittoria rivoluzionaria in Spagna trascinerebbe inoltre un’orientazione più radicale delle masse in vari altri paesi con possibilità più accentuate di movimenti di classe, ciò che significherebbe il principio della liquidazione dell’influenza dei partiti comunisti. I dirigenti comunisti sanno che in quel momento la partita sarebbe perduta per loro perché sarebbe impossibile continuare l’opera di impostura e di tradimento con degli Stati operai sorti da un’aspra lotta rivoluzionaria. Miglior partito per essi sarà l’intesa con i fascisti. Infatti non v’è dubbio che se un compromesso, del quale si parla a varie riprese, si realizzasse fra Azana, e Franco, l’U.R.S.S. ed i partiti comunisti l’appoggerebbero e incoraggerebbero (se pure non l’avessero promosso) come un mezzo di uscire dal ginepraio, ribadendo la catena al polso dell’operaio e del contadino spagnolo.
La borghesia spagnola può contare su un alleato che non farà difetto, lo Stato sovietico, col corteo dei suoi servitori della Terza Internazionale.
Per avvalorare queste considerazioni generali esaminiamo un po’ da vicino la posizione presa sugli avvenimenti in corso dal partito comunista francese.
Il quotidiano del partito l’«Humanité», mentre insiste sull’«eroismo del popolo che si batte per la libertà contro il fascismo», mentre suscita le collette per inviare medicinali e viveri, dimentica completamente l’esistenza delle milizie operaie e si compiace invece di parlare di truppe governative, dando un particolare rilievo al governo cui continua ad attribuire una funzione che in gran parte è stata assorbita e scavalcata dalle forze operaie in lotta.
La stampa comunista esercita l’escamotage sistematico di tutti i fatti che hanno un carattere classista, mentre esalta quelli che servono a mantenere in piedi il prestigio del governo democratico.
Un editoriale firmato da Duclos, segretario del gruppo parlamentare, batte la grancassa sul rischio di accerchiamento della Francia e reclama una politica francese in questa questione.
«La Francia è minacciata di accerchiamento – egli scrive – ed è per questo che non sapremmo insistere abbastanza sul danno che si avrebbe a lasciare sviluppare una situazione che ci porterebbe fatalmente alla guerra».
Per «l’interesse superiore del paese», auspica la «vittoria della Repubblica» onde «portare un colpo ai cercatori d’avventure del fascismo».
Nel suo furore sciovinista, il cittadino Duclos omette perfino di menzionare, almeno una volta, tanto per gettare un po’ di fumo negli occhi, gli interessi delle masse. Perfino la parola «operai» non si trova nell’articolo neppure una volta.
Del resto, questa stessa posizione, ma con modulazione di classe, è ripresa dai sindacalisti di «Combat Sindacaliste».
Un manifesto firmato in comune dai partiti comunisti francese, inglese e belga, considera che «l’ordine (proprio così: l’ordine) sarebbe già ristabilito in Spagna se i ribelli non fossero sostenuti dall’esterno da Hitler e Mussolini» e che tutti i partigiani della pace e della democrazia devono essere al fianco del popolo di Spagna (si parla sempre di popolo, mai di operai) la cui vittoria sarà la vittoria della pace e della democrazia”.
Si chiede inoltre la libertà di rifornire il governo di Madrid, ma non si indica nessun mezzo per far pressione sui rispettivi governi per spingerli su questa via.
Ma la posizione controrivoluzionaria del partito risulta in modo inequivocabile dal rapporto presentato da Thorez, segretario del partito «comunista», il 6 agosto, ad una assemblea di militanti parigini.
Dice: Il Fronte Popolare non è la Rivoluzione. Noi abbiamo scartato dal suo programma ogni misura di socializzazione; vogliamo camminare con calma e tranquillità, senza avventure. L’unità del F.P. avanti tutto.
La lotta del popolo spagnolo è la lotta dell’ordine contro il disordine, cioè del governo regolare della Repubblica contro i ribelli. C’è chi parla del tentativo di instaurare i Soviet. È una calunnia affermare che laggiù si lotti per il comunismo, per la dittatura del proletariato. No. Si tratta della difesa della Repubblica, della Costituzione repubblicana.
Dopo una leccatina al suffragio universale, al parlamento, ai sapienti, intellettuali, accademici, ai comunisti, ai socialisti, ai liberali catalani, ai cattolici tradizionalisti baschi, non manca l’elogio all’eroismo dei fratelli di Spagna, per entrare infine nel vivo della questione.
«Tutti i giorni qualche panzana parla di nazionalizzazione. In Ispagna non si è né confiscato né nazionalizzato,. La Repubblica rispetta la proprietà in Spagna, anche la proprietà capitalista».
Non si poteva dire di più, di meglio e con più chiarezza.
Gli operai che combattono in Spagna, quelli che li seguono con ansia fraterna in tutto il mondo, gli anarchici di Catalogna che si sforzano di dare una carattere insurrezionale al movimento, possono meditare queste parole.
Prometeo, n. 135, 29 agosto 1936
Milizie «antifasciste» o milizie proletarie?
Le notizie estremamente contraddittorie che pervengono dalla Spagna rendono impossibile un esame circostanziato di questo importante problema il quale rappresenta per la classe operaia in elemento di primo ordine. Perciò ci limiteremo ad esaminare gli aspetti generali che unanimemente vengono avanzati dalle differenti correnti che oggi controllano e dirigono tali milizie.
Le milizie «antifasciste» improvvisate spontaneamente nei primi giorni della lotta contro la sedizione militare-fascista e che continuano oggi a battersi sui differenti fronti, rappresentano esse la forma embrionale della nuova forza, del nuovo fattore che nel corso della guerra civile ha coscienza di affermarsi per erigere su delle nuove basi un ordine nuovo?
Oppure rappresentano esse un cambiamento di decoro di cui la borghesia spagnola può domani ancora servirsi per salvaguardare i suoi privilegi? Certo gli è che lo scombussolamento sociale provocato dalla lotta che si svolge attualmente in Ispana ma particolarmente nei centri industriali, soprattutto a Barcellona, scombussolata tutta la superstruttura del regime capitalista, in quanto esso non può più contare sui suoi mezzi classici di predominio, la polizia e l’esercito, ma è obbligato a ricorrere ad un appoggio di quelle forze che agiscono nel seno della classe operaia. Infatti, esso non può conservare il suo predominio che nella misura in cui i bonzi delle differenti organizzazioni operaie giurano fedeltà alla repubblica borghese ed invitano le masse operaie armate a versare il loro sangue per questa classe che fino a ieri le ha sfruttate e represse. E questo è particolarmente vero per la Catalogna che, secondo tutte le versioni appare che le milizie sotto il controllo della C.N.T. e rappresentano la stragrande maggioranza di tutte le forze armate. In effetti, le forze attuali secondo il bollettino della stessa C.N.T. sono così divise:
C.N.T. e F.A.I. .................. 13.000 uomini
U.G.T. ……….…. 2.000 uomini
P.O.U.M. ……….…. 3.000 uomini
Forze di polizia e guardie civili ... 13.000 uomini
Queste cifre avranno certamente subito delle modificazioni, ma secondo le notizie pubblicate avranno ancora marcato un vantaggio per le organizzazioni operaie.
Ma un problema centrale si pone: Cosa rappresentano queste milizie? Per chi e per quale regime sociale esse lottano? È indubbio che ogni proletario ha durante questi giorni compiuto dei prodigi di eroismo ammirevoli, arrivando perfino a sconfiggere con qualche fucile un esercito ben armato e ben allenato. Ma il problema per la massa operaia è di discernere la tendenza che deve condurlo verso una vittoria di classe. Ed in questa direzione le milizie proletarie rappresentano la leva che deve permettere al proletariato di sferrare il suo attacco insurrezionale per la conquista del potere politico. Perciò la fondazione stessa delle milizie proletarie implicano non una unione sacra fra borghesia «democratica» e proletariato, ma bensì il divorzio più marcato di queste due forze quando con le armi si apprestano a risolvere il problema del potere politico. Mentre nella prima direzione noi assistiamo ad una convivenza, ad una alleanza, di forze eternamente nemiche, guardia civile, polizia e proletariato, nella seconda noi avremmo una lotta senza quartiere di queste due forze che incarnano due regimi inconciliabili. È possibile che si cerchi oggi di spiegare con molti aforismi questo anacronismo, ma inevitabilmente tutti dovranno rispondere che nella fase attuale il primo obbiettivo consiste a non indebolire il fronte antifascista per poter prima schiacciare Franco. Ma non indebolire il fronte anti-fascista significa anche non muovere un dito contro il regime, contro lo Stato borghese, significa in ultima analisi anche per le milizie anti-fasciste lo sfruttamento borghese.
Quale invece il compito delle milizie proletarie? Quello della distruzione sistematica e completa del corpo di guardia della borghesia: i quadri dell’esercito e la polizia. Quello di rappresentare già la nuova arma difensiva ed offensiva delle conquiste proletarie nella fase che precede immediatamente la rivoluzione, od anche in certi casi che coincide con la rivoluzione vittoriosa del proletariato. Nel 1917 in Russia, il problema delle milizie veniva posto dai bolscevichi sul suo terreno di classe quando essi reclamavano che queste non potevano che dipendere dai Soviet ed unicamente dai Soviet. Anche allora la borghesia aveva cercato di ingannare le masse facendo tutte le concessioni di forma mentre essa si riservava il diritto di controllo esigendo che queste dovessero dipendere dagli zemstvos, cioè dalle municipalità, che erano sotto il controllo diretto della borghesia.
Ma questi compiti non sono realizzabili sotto la bandiera del nemico di classe; essi non possono che svilupparsi in funzione delle aspirazioni proletarie che comportano l’abbattimento diretto del regime attuale per infine passare ad una fase più elevata della società umana.
Coloro che pensassero che il porre attualmente degli obbiettivi di classe alle lotte del proletariato significherebbe una inevitabilità della vittoria di Franco, non solamente condannano l’eroica lotta del proletariato di Barcellona, che da solo in 48 ore ebbe ragione di tutte le forze repressive, ma anche non si accorgono che è solo così che il proletariato potrà liberarsi di Franco e di tutti i suoi sfruttatori. Che domani il potere passi nelle mani del proletariato, ed immediatamente le ripercussioni si faranno pur sentire nell’esercito ribelle. Che gli operai, che i contadini, che tutti gli sfruttati sentano che le catene della schiavitù sono infrante, perché essi diventino una forza, un baluardo infrangibile, una rocca inespugnabile. Per la rottura dell’unione sacra. Per una politica di classe. Per delle milizie proletarie.
Prometeo, n. 135, 29 agosto 1936