Dino Moretti, La cittadella, n. 6-7, maggio 1946
Ripubblichiamo un articolo "sconosciuto" di più di sessanta anni fa. Il reportage giornalistico di Dino Moretti riguarda un comizio tenuto nel 1946 a Bergamo da Bruno Maffi per il Partito Comunista Internazionalista e fu pubblicato su «La Cittadella» che uscì a Bergamo con un ritmo quindicinale dal febbraio del 1946 all'aprile del 1948. Inizialmente il sottotitolo della rivista era «politica e letteratura» che poi divenne, dal settembre del 1946 «politica e cultura».
La rivista fu fondata da un gruppo di giovani e si propose come palestra di una sinistra non conformista; ricevette l'appoggio di intellettuali come Franco Fortini ed il giovane Pier Paolo Pasolini.
Per quanto riguarda Bruno Maffi non c'è qui bisogno di dire molto: anima con pochi altri , fin dagli albori, ancora durante la seconda guerra mondiale, del Partito comunista internazionalista, divenne, con la scissione dei primi anni cinquanta tra "battaglia comunista" ed "il programma comunista" (dal nome dei due giornali con i quali l'organizzazione si separò), il braccio destro di Amadeo Bordiga attorno a "il programma comunista" che diresse e guidò fino alla morte nel 2003.
Molto ci sarebbe da dire e da scrivere su quegli anni sui quali l'articolo che riproduciamo fissa una piccola istantanea.
Ripercorrere anche quel periodo è quanto ci proponiamo.
Abbiamo ascoltato Maffi
Domenica 28 aprile abbiamo avuto a Bergamo la visita di un oratore d’eccezione: il signor Bruno Maffi, dottore in filosofia, redattore-capo del settimanale milanese “Battaglia Comunista”, uno dei dirigenti del Partito Comunista Internazionalista. Bruno Maffi, figlio di un socialista, nipote del vecchio dirigente comunista Fabrizio Maffi, è certamente una delle più interessanti figure politiche italiane di oggi.
A Bergamo, in Piazza Vittorio Veneto, parlò per poco più di un’ora, con uno stile oratorio piano, chiaro, incisivo e colorito; uno stile signorile e alieno dalla ricerca del facile successo e dell’effetto demagogico.
Indipendentemente da ciò che disse, diciamo subito francamente che ci è piaciuto e ci ha interessato.
Per chi non lo sapesse, diremo che per quanto ci risulta il dott. Maffi vive a Milano molto modestamente, facendo il pubblicista e curando il suo giornale e il suo partito.
Qual è il contenuto dottrinale e il programma politico del partito comunista internazionalista? Il dott. Maffi ce lo spiegò brevemente; lo si può riassumere in queste due parole: leninismo intransigente.
I comunisti internazionalisti rifuggono dal moralismo politico borghese, rifiutano il contingentismo politico attuale dei così detti partiti di massa, denunciano questo neo-trasformismo delle sinistre. Per essi una sola affermazione conta e conterà sempre: la lotta di classe. Questa lotta di classe è sì una realtà drammatica, ma è una realtà storica, anzi la sola realtà che compendia e spiega, per così dire, l’eterno flusso della storia.
Se vogliamo fare della politica, se vogliamo creare nuova quotidiana storia, se vogliamo portare queste masse turbolente e minacciose ai fastigi del potere, se vogliamo fare realmente del proletariato, questo demiurgo del mondo, il nuovo leader della società in marcia, non possiamo, non dobbiamo prescindere da questa tragica, fondamentale, umana realtà: la lotta delle classi.
Quindi: nessun facile e falso moralismo, ma spietata politica imperniata sull’inevitabile urto degli interessi.
Non è possibile oggi la rivoluzione? Si prepara la rivoluzione del domani. Ma la nostra inalterata posizione sarà una posizione rivoluzionaria. Solo così –dicono gli internazionalisti- si fa l’interesse del proletariato. Ogni collaborazionismo, ogni politica di ricostruzione nazionale che è poi ricostruzione di uno status borghese, è tradimento dei lavoratori, perché è abbandono delle loro esigenze, delle loro aspirazioni, dei loro sogni.
Più che mai quindi, oggi come un secolo fa, al tempo del “Manifesto dei Comunisti” è storicamente vera la classica posizione marxista: proletariato contro borghesia.
Questo in succinto ciò che ci disse Bruno Maffi.
Ma forse più che il contenuto del suo discorso, ci interessò la strana, diremmo paradossale atmosfera che egli seppe creare intorno a sé, al centro di questa vetusta Bergamo, molto provinciale e molto routinière.
Il suo pubblico, un pubblico che lo seguì con attenzione e simpatia, era composto di forse tre o quattrocento persone: nella loro immensa maggioranza si trattava di socialisti e di comunisti. Questi stessi social-comunisti che seguono e predicano quotidianamente con coscienza e convinzione la convenienza di questa attuale politica delle convenienze, senza urti, senza pericoli, senza salti nel buio. Siamo tutti d’accordo oggi in Italia, nel sostenere che bisogna adulare e circuire i ceti medi, rispettare le rispettabili organizzazioni della Chiesa, della Monarchia e dell’esercito, assoggettarsi alle inevitabili esigenze della italica e latina burocrazia, inneggiare alla sacra idea di Patria, difendere se necessario le frontiere della nazione. Tutti, tranne forse Bruno Maffi e le poche centinaia di italiani che apertamente lo seguono.
Tuttavia egli invitò più volte al contraddittorio le centinaia dei suoi ascoltatori social-comunisti.
Contraddittorio? Ma erano tutti entusiasti delle sue affermazioni, approvavano ed avevano applaudito. Non era questione di contraddittorio.
Eppure Maffi aveva parlato chiaro: aveva sostenuto e dimostrato che la attuale politica di collaborazione dei partiti di sinistra, che la politica di Nenni e di Togliatti aiuta e facilita la ricostruzione dello Stato borghese, che lo Stato borghese evolve inevitabilmente, storicamente verso il fascismo, e che il fascismo significa guerra.
Praticamente dunque il dott. Maffi aveva dato apertamente, sebbene indirettamente, del fascista a Nenni e a Togliatti, aveva mostrato come la loro politica ci porti inevitabilmente verso la terza guerra mondiale: aveva dunque posto questi uomini e le masse che seguono questi uomini, e gli ascoltatori che lo applaudivano, di fronte a paurose responsabilità storiche e umane.
Compresero, nel loro insieme, gli entusiastici ascoltatori del dott. Maffi, il tragico e beffardo assurdo della loro posizione? Io credo di no: no, non compresero. Ed in ciò consiste il dramma contemporaneo del proletariato europeo. In questo iato patetico sebbene inconscio tra il rivoluzionario selvaggio che cova in ognuno di questi miserabili sfruttati, e l’essere saggio, ragionevole e comprensivo che si esprime in ognuno di questi lavoratori onesti. Tra la sensazione acuta, lancinante, che le cose dovrebbero andar meglio, e la convinzione profonda della inevitabilità tragica che le cose vadano male. Tra Palmiro Togliatti e Bruno Maffi. C’è incompatibilità tra il seguire Togliatti e il seguire Maffi? No, non c’è incompatibilità e qui sta il dramma perché l’uno e l’altro parlano a due differenti facoltà umane: Togliatti parla all’intelletto, all’uomo che pensa e che comprende; Maffi parla al cuore, all’uomo che sente e che soffre.
Così fu che questi seguaci convinti di Togliatti hanno potuto domenica 28 aprile 1946, a Bergamo, applaudire entusiasticamente e sinceramente Maffi, senza provare alcun turbamento serio che infirmasse la loro posizione politica.
Così fu che questi rispettosissimi sostenitori della libertà religiosa e dell’esercito democratico, applaudirono ed approvarono, quando Bruno Maffi mise nello stesso sacco fascisti, preti e generali.
Maffi, domenica 28 aprile 1946, al centro di questa vetusta Bergamo, seppe ridestare il rivoluzionario che sonnecchia in ogni sfruttato, e per qualche ora la calda atmosfera dei giorni eroici aleggiò intorno alla Torre dei Caduti.
Questa fu la strana, sconcertante impressione che io ebbi quella domenica mattina.
Dino Moretti
Tratto da: La Cittadella politica e letteratura anno I, numero 6-7, 20 maggio 1946