il programma comunista, n.19, 20 ottobre 1962
Il precedente articolo inserito è stato «Tempi di abiuratori di scismi» scritto nel 1965 al termine del Concilio Vaticano II. Come avevamo preannunciato presentiamo oggi «La stolta era "frontista"» scritto nel 1962, all'apertura dello stesso Concilio.
La stolta era «frontista»
Il rapporto tra l’ideologia religiosa e quella proletaria, socialista, comunista, sempre più cade nelle tenebre della aberrazione generale.
Non solo reverenza ed ossequio sono manifestati al Concilio dello sciagurato secolo ventesimo, ma già viene dato atto al pontefice romano che egli aderisce alla formola della pacifica coesistenza tra paesi a regime capitalistico e socialistico!
Le forze del fronte unico, che ha segnato la rovina nell’opportunismo dei movimenti che recano i nomi usurpati di operai, socialisti, comunisti, marxisti, leninisti, salutano questo nuovo fronte unico tra l’ortodossia cattolica storica e le religioni eretiche, le Riforme moderne e borghesi.
In questo rovinìo di dottrine, che da tutte le parti bestemmiano clamorosamente se stesse e la loro storia, come introdurre il filo conduttore di un esame sereno?
Federico Engels nel 1850, sotto l’impressione, egli disse, della controrivoluzione in Europa e in Germania, scrisse La guerra dei contadini in Germania. Egli, come chiarisce nella lapidaria prefazione del 1874, volle rispondere ad un problema angoscioso: perché mai la nazione tedesca non ha avuto una rivoluzione liberale e borghese, e quindi una rivoluzione nazionale? E trovò la risposta; la rivoluzione era stata tentata fin dal 1525 dalle classi contadine eroicamente e sanguinosamente insorte contro le vecchie forme sociali, ma la borghesia nascente dei centri urbani e le plebi embrionali poco o nulla avevano risposto, e il sistema feudale dei principati aveva vinto. Questo saggio potente di dialettica storica vale a far rivivere la nostra visione marxista della storia delle lotte religiose. Per lo storico corrente quelle rivolte erano guerre di religione, come quelle che insanguinarono anche in precedenza tutte le plaghe di Europa. Come fenomeno storico dire che cosa sono le pretese guerre di religione, ci aiuta a ripetere il nostro rapporto critico col fatto storico delle religioni, e del caleidoscopico loro avvicendarsi.
Lo facciamo, come sempre, con parole di un secolo.
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«La mia narrazione, schizzando solo nei suoi contorni l’andamento storico della lotta, tentò di spiegare l’origine della guerra dei contadini, la posizione dei vari partiti in essa, le teorie politiche e religiose con le quali questi partiti cercarono di chiarire a se stessi la posizione propria, e finalmente l’esito della lotta; di spiegare tutto ciò come la derivazione necessaria delle condizioni della vita e della società storicamente esistenti; e cioè di considerare la costituzione politica della Germania, le sollevazioni contro di essa, le teorie religiose e politiche del tempo, non quali cause, ma quali effetti del grado di sviluppo a cui erano giunte in Germania l’agricoltura, l’industria, le vie di terra e d’acqua, il commercio delle mercanzie e del denaro».
«Questa, che è la sola interpretazione materialistica della storia, non è mia, è di Marx, ed è stata da lui applicata nei suoi lavori sulla rivoluzione francese del 1848-49, e ne Il Diciotto Brumaio di Napoleone Bonaparte».
Splendida chiarezza, modestia e grandezza dello scrittore rivoluzionario.
Egli ha trovato alla Germania una rivoluzione borghese al fine, come rivoluzionario del proletariato, di dare vergogna ai piccoli borghesi del 1525 e ai grandi borghesi del 1850. Infatti – dopo aver ricordate nel 1874 le sue parole conclusive del 1850, che dietro i piccoli principi del XVI secolo (che profittarono di quella rivoluzione) stavano i piccoli borghesi (che non seppero farlo) mentre invece dietro i grandi principi del diciottesimo secolo stanno i grandi borghesi, «e dietro ai grossi borghesi stanno i proletari» – il valoroso autore dice: «Mi duole con questa frase di avere reso troppo onore alla borghesia tedesca». La letteratura rivoluzionaria del proletariato nasce per dire vergogna della grande borghesia, pur contando di uscire alla luce da dietro le sue spalle. E che diremo oggi dei codardi che hanno portato i lavoratori dietro le spalle tisiche dei piccoli borghesi, ed a quelli assegnano il fare la strada alla nuova storia?!
Nello schieramento magistrale del 1525, la chiesa romana sta dalla parte della grande nobiltà feudale, ed il primo antesignano della grande borghesia è Lutero, audace solo per un momento, e subito opportunista, conciliatorista; se non col papa, con le dinastie tedesche. Contro di lui Engels leva la viva figura di Tommaso Münzer, e lo mostra, nel sollevare con essi i cittadini, antesignano del proletariato moderno, che nella lotta contro Roma già sente di dover colpire Lutero, borghese tedesco pronto ad allearsi con la reazione, sul cui filone storico i luterani del secolo ventesimo vengono a dialogare oggi in Vaticano.
Vuole il nostro Maestro che si sappia intrecciare la storia delle sovrastrutture, anche di quella tra esse che sono le religioni, alla storia dei modi economici di produzione. Per portarci al suo filone, che qui passa per Lutero, ricuciamo alcuni tratti del grezzo nostro canovaccio, dal banco di allievi. Come rivoluzionaria nascerà la Riforma religiosa, rivoluzionaria nasce la religione cristiana, e le sue intuizioni di partenza sono conquiste, per servirci di questa abusata parola, dell’Umanità travagliante, ma non conquiste eterne per la storia futura. Questo non è per il cristianesimo, non sarà per le sue Riforme borghesi, che aprono il tempo moderno, non sarà nemmeno per la scienza capitalistica che con esse nasce e lungamente contro Roma combatte, per poi naufragare conciliatorista, insieme all’Arte, come direbbe il buon vecchio Carducci. Solo per la nostra dottrina, nata come Engels ha testé tratteggiato, non avverrà mai il passaggio alla coda.
In Israele, Cristo o altri grandi capi delle turbe conducono una rivoluzione sociale, che anche prende le forme di una guerra di religioni, se la prima o una delle grandi battaglie al clericalismo fu quella che travolse scribi e Farisei. La leggenda animistica riveste la rivendicazione che l’uomo vivente non possa essere soggetto passivo di diritto di proprietà. La rivoluzione si rovescia sull’Impero romano, erede della tipica forma di democrazia che poneva la maggioranza degli uomini fuori dell’umanità, e della democrazia. Questa peste della storia, oramai benedetta anche dal Dio cristiano che la aveva saputa esorcizzare, ci infesterà per millenni. Cade in questa sanguinosa lotta la forma schiavistica, e non grazie alla formola della non resistenza, giacché la vendetta delle moltitudini di immolati ad bestias sarà fatta, armata mano, dalla giovane vigoria dei barbari, che sempre ha rigenerato civiltà morbose.
Con lunghe vicende che non entrano in un canovaccio elementare, la Chiesa di Cristo insediata a Roma in testa al mondo si concilia con tutti i Cesari, come voleva la sua antica dottrina, di origine classica o barbara. La nuova forma feudale in cui si sistema l’Europa (non per il preteso sonno medioevale, in cui la gestazione umana fu assai più alta di quella di cui si vantano i secoli della scienza illuminata e della tecnica venale) è consacrata in un sistema in cui la Chiesa di Roma è al cuore: magnifico sistema dottrinale della teologia tomistica, monopolio della scuola, della cultura, della lingua. All’alba del Rinascimento umanistico e delle Riforme antipapali, che precorre la forma capitalistica e mercantile di produzione nel suo turgore insopprimibile, la Chiesa vaticana lotta contro di essa: Inquisizione, coi roghi e le torture agli albori del tempo moderno: e, nel suo pieno sviluppo, nel mezzo secolo in cui Engels scriveva, Sillabo, colla repressione della scienza, e delle allora temerarie, oggi pavide filosofie antifideistiche.
Lutero significa la rottura storica con questo iter, ma non vi è un fatto teologico, filosofico, o letterario. È la minaccia audace in partenza del nuovo ordine borghese contro quello delle monarchie di diritto divino puntellate da nobili e da prelati.
Il papa romano, Lutero e Münzer rappresentano per Engels non solo tre partiti della Germania del tempo, ma tre modi, tre forme della storia che non può essere fermata nella sua travolgente, iconoclastica distruzione di templi.
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Udiamo di Lutero: «Nel primo momento bisognava raccogliere le forze oppositrici, bisognava impiegare la più decisa energia rivoluzionaria, bisognava rappresentare di fronte alla ortodossia cattolica la somma delle forze delle precedenti eresie. La poderosa natura di contadino di Lutero si sfogò con straordinaria veemenza in questo primo periodo della lotta». «Se il pazzo infuriare dei preti romani dovesse proseguire mi pare che il miglior consiglio e il miglior rimedio di porvi riparo sarebbe che re e principi si armassero, e assalissero questa genia che inquina il mondo, e ponessero fine al giuoco con le armi, non con le parole. E se noi puniamo i ladri con la spada, gli assassini con la corda, gli eretici con il fuoco, perché non assaliamo noi questi maestri di corruzione perniciosi, papi, cardinali, vescovi, e tutto lo sciame della Sodoma romana con tutte le armi, per lavarci le mani col loro sangue?».
Tali parole testuali dell’eloquente Lutero sono sottolineate da Engels.
«Ma presto tali impeti rivoluzionari si spensero, e Lutero lasciò andare gli elementi popolari, si pose dalla parte borghese, nobiliare, principesca. Gli appelli alla guerra di sterminio contro Roma ammutirono. Lutero si diede a predicare l’evoluzione pacifica e la resistenza passiva». Engels cita un discorso del 1520: «Non vorrei che si propugnasse il vangelo con la violenza e lo spargimento di sangue. Il mondo fu vinto con la parola, con la parola si sostiene la Chiesa, con la parola sarà rinnovata, e l’Anticristo cadrà senza violenza».
Tutto ciò non merita una cattedra nel Concilio 1962?
Quando la rivolta scoppia, Lutero in un primo tempo rimprovera anche i signori feudali. Ma non appena le azioni rivoluzionarie dei seguaci di Münzer si fanno più ardite, Lutero passa dall'altra parte. «Lutero e il papa si collegano contro le bande assassine dei contadini».
È tempo di lasciare Lutero per dire di Münzer. Era nato nel 1498. Già a 15 anni aveva fondato una società segreta contro l’arcivescovo di Magdeburgo e la chiesa romana. Dal 1520 ebbe successo immenso come predicatore. Studiava i mistici medioevali e specie «lo calavrese, abate Gioacchino, di spirito profetico dotato» di Dante. I suoi seguaci, cui esponeva la sua dottrina nelle forme mistiche, lo seguivano «estatici, convulsi e con spirito profetico».
Egli non usava il latino ma il tedesco. «Prima che Lutero l'usasse, aveva bandito del tutto la lingua latina e faceva leggere tutta la Bibbia, non solo i vangeli prescritti». È noto che Lutero aveva tradotto dal latino in volgare i due testamenti. In questo si precorreva il pensiero borghese. I nostri progressisti vantano come gran novità avere in questo tempo abolito il latino nelle scuole medie: ciò come feticistico inchino alla moderna coppia Tecnica-Scienza. Ma non sarebbe meglio mettere alla portata di tutti un sapere non specializzato e tecnicizzato e servirsi del latino, che non fu solo della Chiesa ma della Rinascenza, nel tempo incorrotto dei Galileo e dei Keplero, anziché sorbirsi in latino chilometrici Concilii e discorsi?
«Münzer non consigliava, come faceva Lutero, la discussione tranquilla ed il processo pacifico; egli proseguiva nel tono violento delle prime prediche di Lutero, e incitava il popolo alla guerra armata contro la Chiesa Romana. Diceva pur Cristo: io non son venuto a portare la pace, ma la spada. E a che dovreste usarla voi (principi sassoni)? A togliere di mezzo i maligni che sono di inciampo al Vangelo, se volete essere buoni servi di Dio. Cristo ha detto (Luca 19, 27): Prendete i miei nemici e strangolateli davanti ai miei occhi... Non trastullatevi con le vane parole, che la potenza di Dio farà ciò senza l’aiuto della vostra spada, se nò vi si arrugginirà nel fodero. Quelli che si oppongono alla parola rivelata vanno distrutti, come Isaia, Ciro, Giosia, Daniele ed Elia distrussero i sacerdoti di Baal... Dio ha detto (Mosè 5, 7): non siate misericordiosi verso gli idolatri, ma distruggete i loro altari, fracassate le loro immagini e bruciateli, affinché io non mi incollerisca con voi...».
Ma ben presto Münzer dismise l’idea di convincere contro Roma i principi in nome di Dio e col mezzo delle Scritture, di cui come teologo era ben padrone. Nasce in lui prima il filosofo e poi l’uomo di partito, il capo rivoluzionario che vuole il sollevarsi delle classi oppresse.
Non possiamo prendere dal testo, cui rimandiamo il lettore, la storia della terribile guerra di classe del 1525, ma occorre trarne la sintesi di questi due aspetti della figura di Münzer, significativa nella misura in cui erano acerbi i tempi.
«La sua dottrina teologico-filosofica attaccava tutti i punti principali non solo del cattolicesimo, ma del cristianesimo in generale. Egli insegnava, sotto forme cristiane, un panteismo che ha una singolare somiglianza col pensiero speculativo moderno (nell’anno 1850 la speculazione anche borghese non adoperava le categorie della trascendenza dello spirito e del dio – nostra nota ad Engels) e che rasenta qua e là l’ateismo. Egli rigettò la Bibbia quale esclusiva ed infallibile rivelazione. La vera, la viva rivelazione è la ragione, e tale rivelazione è esistita in tutti i tempi e presso tutti i popoli e ancora esiste. Giacché lo Spirito Santo di cui parla la Bibbia non è cosa che esista fuori di noi: lo Spirito Santo è anzi appunto la ragione. La fede non è altro che lo svegliarsi della ragione nell’uomo; perciò anche i pagani potettero possederla... Cristo fu un uomo come noi, un profeta, un maestro, e la sua Cena fu un semplice pasto di congedo, in cui si mangiò pane e vino senza alcun ingrediente mistico... Tali dottrine predicava Münzer celandole sotto quella stessa fraseologia cristiana di cui dovette rivestirsi per un certo tempo la nuova filosofia...».
«La sua dottrina politica rispondeva perfettamente alle sue rivoluzionarie idee religiose e sorpassava le esistenti condizioni politiche e sociali, di quanto la sua teologia sorpassava le vedute religiose del tempo. Come la filosofia religiosa di Münzer rasenta l’ateismo, così il suo programma politico rasenta il comunismo... Non era tanto la somma delle pretese dei plebei di allora, quanto la geniale anticipazione delle condizioni del riscatto degli elementi proletari appena sul nascere, tra quei plebei... Chiedendo il regno di Dio, Münzer chiedeva una società senza differenze di classe, senza proprietà privata, senza autorità costituita... Tutti i poteri esistenti avrebbero dovuto venire abbattuti se non si fossero piegati alla rivoluzione, il lavoro e i beni resi comuni, e instaurata la perfetta uguaglianza... Egli si pose ad organizzare una lega con questo programma non per la sola Germania, ma per tutta la cristianità».
Una così audace dottrina mostrò presto di essere non meno audace azione. «Il primo frutto fu la distruzione della cappella di Maria presso Altstedt (come atto di guerra ai principi sassoni) per seguire il comandamento: Voi dovete distruggere i loro altari, spezzare le loro colonne e bruciare i loro idoli, imperocché voi siete il popolo eletto (Deut. 7, 6)».
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I principi rilevarono la sfida, e i contadini risposero all’appello. La storia di quella guerra di classe che vide in campo formazioni di diecine e diecine di migliaia di armati ebbe battaglie sanguinosissime, e sterminii distruttivi da una parte e dall’altra. I contadini rasero al suolo castelli di nobili e conventi di religiosi. I principi si unirono in lega con truppe mercenarie (che talvolta, è notevole, passarono da una parte all’altra del fronte), ma usarono prima l’arma dell’inganno e del tradimento; vi furono patti, armistizii, ed infine agguati sanguinosi. I contadini e i loro capi caddero sotto esecuzioni in massa; a vendicare le esecuzioni di nobili che avevano in segno di sfregio finiti non colla scure, ma infilandoli negli spiedi.
Abbiamo detto che i piccoli borghesi e gli stessi plebei delle città non seppero sostenere la rivoluzione contadina. Questa, dopo eroiche e spesso ingenue estreme difese, fu affogata nel sangue.
Tommaso Münzer aveva solo ventotto anni quando, caduto nelle mani dei suoi nemici, affrontò senza tremare l’estremo supplizio. Forse non volgeva lo sguardo a un dio, ma alla storia che doveva ancora attendere secoli.
Di questo fallimento di una rivoluzione storica del popolo tedesco Engels incolpa la mancanza di centralizzazione unitaria in quel paese, che, se indeboliva gli sfruttatori feudali, indebolì parimenti i loro servi in rivolta malgrado che il grande Münzer avesse veduto la funzione del partito nella rivoluzione. Altrettanto per Engels avvenne nel 1848. Le sue parole nell’ultima pagina della splendente rievocazione meritano di essere incise col fuoco sulla fronte dei vili e dei traditori, che ovunque bestemmiano, come in Italia esaltando le esose Regioni: Chi dopo le rivoluzioni del 1525 e del 1848 vaneggia ancora di una repubblica federale non merita altro soggiorno che il manicomio.
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Lutero, che anticipava i borghesi capitalisti, ruppe con Roma cattolica ma patteggiò con la feudalità tedesca e la aiutò ad evitare una grande rivoluzione liberale.
La situazione del 1962 mostra che la Chiesa di Roma ha chiusa la sua fase del sedicesimo e del diciannovesimo secolo iniziale e ha stretto patto con la forma storica capitalistica borghese. Lutero può tornare all’ovile.
Ma non vi tornerà Tommaso Münzer che suonava la diana di una classe oppressa, il proletariato, e non segnava a suo traguardo il passaggio ad un dominio su ineguali.
Possono chinare le fronti incapaci di rossore verso lo stesso ovile i falsi esponenti del proletariato moderno che hanno fatto gettito delle verità, che in un Münzer avevano la potenza di scorgere un Marx, un Engels, un Lenin. Quelle verità di dottrina e di vita oggi rinnegate, sono la guerra di classe e lo sterminio dell’oppressore, la dittatura del partito degli oppressi, Il ciclo magnifico che sale dalla Fede (non inutile tappa duemila anni orsono) alla Ragione (non inutile or sono due secoli) alla Forza di classe che vince il sapere della classe dei tiranni moderni, dei vampiri di oggi, i borghesi mercantili.
Più della Fede del medioevo e della Ragione delle rivoluzioni liberali dovrà vincere la Dittatura degli ignoranti e dei miseri, che si levò luminosa al tempo di Lenin nei concilii della Rivoluzione Comunista.
La dottrina della classe inferiore della società economica è la più luminosa. Ci offra Engels un altro periodo: «Gli operai tedeschi hanno due essenziali vantaggi di fronte agli operai della restante Europa. Primo: l’appartenere al popolo più teoretico di Europa, secondo: di avere conservato il senso teoretico, mentre le cosiddette classi colte lo hanno interamente perduto... Questo smisurato vantaggio appare considerando l’indifferenza verso ogni teoria, che è una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado l’eccellente organizzazione dei singoli mestieri, procede così lentamente; e dall’altra parte considerando gli eccessi e la confusione che il proudhonismo nella sua forma originaria ha prodotto presso francesi e belgi, e nella sua caricatura bakuniniana presso italiani e spagnoli».
Questo era il bilancio del 1874 e il vecchio Engels non ha visto il crollo del proletariato tedesco. Non ha visto risorgere il suo senso teoretico nel seno del proletariato russo, più illetterato assai. Né ha visto il nuovo crollo della grande luce di Mosca tra le cui rovine procediamo.
Roma o Mosca, si disse nel 1922 quando il totalitarismo borghese vinse per primo in Italia, sola alternativa alla mancata vittoria del totalitarismo rosso, cui noi tendevamo.
Roma e Mosca. Tale sia il motto di oggi. Da ogni lato in questa epoca di degenerazione si bestemmiano le proprie fedi per elaborare fronti ibridi. Tutti sono aggiornatori delle proprie tavole, e le ragioni storiche ne sono in ogni caso chiare, sulla linea che qui abbiamo sbozzata. Il fronte politico di tutti i traditori della dottrina proletaria vale il fronte di tutte le religioni. Divampa l’auto da fé di tutte le Bibbie, e le nuove formulazioni sono di un pari sapore. Come ha potuto essere codificata la via italiana al socialismo e la coesistenza di capitalismo e socialismo lo potrà essere in Concilio (come dicono) un dogma nuovo, forse Maria mediatrice e quarta persona della Trinità.
Talvolta il precedente Pontefice nelle sue allocuzioni sferza la cupidigia plutocratica senza freni, e molte manifestazioni del capitalismo, la più disumana delle forme di produzione, che chi crede a Dio dovrebbe considerare la più irreligiosa.
Oggi si fa sfoggio di abilità bizantina non inferiore a quella di Mosca e si muta quanto sta scritto perché si tratta del compromesso tra tutte le Chiese cristiane e le potenze del capitalismo, tra le quali non ha motivo di non schierarsi la Russia. Chiave delle sottostrutture economiche!
La Fede medioevale e la Ragione moderna si sono riconciliate, e non solo qui; in cento proclamazioni del «mondo libero» da Wilson a Roosevelt, alle cui omelie atlantiche convenne a Stalin di piegarsi.
Noi non abbiamo preferenze di parte per il laicismo democratico contro il clericalismo papale, diamo solo ragione storica del passaggio dalla Fede alla Ragione. Ma auspichiamo la rotta anche della ragione scientifica, turpe simonia della forma capitalistica, e gridiamo in questa aura sinistra al proletariato: Non fede cristiana, non scienza borghese, ma dittatura della tua rozza vergine forza, che libererà un giorno l’uomo dalla dittatura di tutte le tenebre!
Dopo sarà la luce.
il programma comunista, n. 19, 20 ottobre 1962