Il Restyo del Carlino, 27 luglio 1970
Un lettore, ci ha inviato questo articolo, che noi non conoscevamo, apparso su «Il Resto del Carlino», alla morte di Bordiga. Nello scritto ci sono alcuni errori e quanto viene detto non è sempre corretto ma pensiamo valga la pena ripresentarlo ugualmente.
Non sappiamo chi ne sia l'autore; l'articolo è firmato con le iniziali L.V. ma non sappiamo a chi corrispondano.
E' morto Amadeo Bordiga che fondò il Pci e ne fu espulso
Figlio di una contessa veneta, fu un acceso rivoluzionario «più leninista di Lenin». L'insanabile contrasto con Togliatti. da anni viveva appartato fra le carte del suo archivio.
Amadeo Bordiga, ingegnere, era nato a Resina nel 1889 da padre professore di estimo ed economia rurale alla scuola di agricoltura di Portici e da madre veneta, una contessa Amadei, di un illustre casato che aveva dato un doge alla Serenissima. Fu la madre a chiamarlo Amadeo (e non Amedeo) per ricordo della propria nobile famiglia, mai immaginando che il figlio sarebbe diventato uno dei più accesi rivoluzionari. Bordiga era stato il vero fondatore del PCI al congresso socialista di Livorno del 1921: fu lui infatti che uscì dal teatro Goldoni trascinandosi dietro, al canto dell'Internazionale, un gruppo di socialisti rivoluzionari e portandoli al teatro San Marco dove fu tenuto a battesimo il partito comunista italiano. L'iconografia ufficiale comunista indica in Gramsci e Togliatti i fondatori del Pci, ma invece fu proprio Bordiga il fondatore del partito.
Coerente con se stesso, rivoluzionario, «più leninista di Lenin», Bordiga si ritirò dopo nemmeno dieci anni dalla vita politica, quando lo stesso partito comunista di cui era stato il primo segretario lo espulse mentre era al confino, per antifascismo, a Ponza. Si era appena laureato in ingegneria, specializzandosi poi in calcoli in cemento armato, a 23 anni, quando iniziò le sue prime esperienze politiche a Portici dove fra il 1912 e il 1913 vivevano colonie di profughi, ex diplomatici, giovani russi nichilisti. Imparò il russo, scoprì il socialismo, fondò il circolo giovanile Carlo Marx, diresse la sezione napoletana del partito socialista napoletano, si diresse più volte a Mosca e fu amico dei grandi artefici della rivoluzione russa: Lenin, Trotsky, Zinoviev, Bucharin.
Fu un grande nemico, fin dagli inizi della vita del partito comunista, di Gramsci, di Togliatti e della Terza Internazionale. A Mosca tenne un discorso in tedesco, durato cinque ore, contro Stalin. Era un rivoluzionario puro alieno da compromessi di qualsiasi natura: il suo dissidio con Gramsci derivava proprio dal fatto che Bordiga non aveva alcuna fiducia nel sindacalismo e nell'operaismo che, a suo parere, avrebbero portato il comunismo sulla strada pericolosa del riformismo e del gradualismo. Per questo, in nome della pura ortodossia rivoluzionaria, non esitò ad opporsi al suggerimento di Lenin (condiviso da Gramsci) di un fronte comune o alleanza in Italia dei socialisti rivoluzionari coi socialisti gradualisti.
Arrestato una prima volta nel 1924 (aveva addosso un vaglia di 2500 sterline inviato al partito comunista italiano), Bordiga scontò solo quattro mesi di carcere, perché aveva saputo difendersi abilmente. Uscito dal carcere non riprese più le redini del partito nel quale si erano ormai affermati Gramsci e Togliatti. Era già ormai una specie di «Robespierre deluso», alla sinistra estrema, un isolato in rotta coi dirigenti sovietici, col Comintern e con lo stesso Pci ormai bolscevizzato. Sia lui che Trotsky erano intanto accusati di tradimento del leninismo; ma Bordiga si autodifese energicamente a Mosca dinanzi ai capi sovietici. Dopo l'attentato a Mussolini, a Firenze, Bordiga arrestato, fu spedito al confino di Ponza. Vi rimase tre anni, fino al dicembre del 1930. Scontata la pena e tornato a Napoli, apprese che la sua espulsione dal partito comunista era stata ratificata dallo stesso Togliatti al congresso di Colonia.
Da allora Bordiga si ritirò dalla vita politica attiva dedicandosi esclusivamente alla professione di ingegnere. Alla fine della seconda guerra mondiale si trovava a Formia, in terra di nessuno, in un ospedale da campo dove aiutava la figlia infermiera.
Nell'immediato dopoguerra tornò per poco all'attività politica ispirando il partito comunista internazionale che ebbe però vita breve e fondando un periodico, Programma Comunista, che si stampava a Milano, scritto quasi tutto di suo pugno e senza la sua firma. Contava su un gruppo di fedeli seguaci, i «bordighiani», che erano però degli isolati. Conduceva vita appartata, non riceveva quasi nessuno; nella sua casa napoletana aveva raccolto un imponente archivio di documenti riguardanti l'Italia prefascista, i tempi della rivoluzione russa, l'epoca di Lenin, Zinoviev, Bucharin, Stalin, Kamenev. Come già quando era in rotta coi primi comunisti dopo il 1921 esprimendo le sue critiche del giornaletto della sua corrente, Soviet, Bordiga continuò a scrivere, anonimamente, nel periodico del partito comunista internazionale. Questi scritti furono poi raccolti in volume, senza che vi figurasse il nome di Bordiga, nel 1964, col titolo «Storia della sinistra comunista - il programma comunista».
Nella premessa di questo libro Bordiga fustigava polemicamente Togliatti e Nenni definendoli «una brutta copia di Mussolini» che ai sansepolcristi aveva dichiarato: «Il fine è nulla, il movimento è tutto». Così scriveva Bordiga: «I degeneri capi del falso partito comunista che menano solo vanto loro rimasto quello di aver ucciso il fascismo, non vedono come sono cresciuti alla sua scuola. Sono solo dei problemisti, si accontentano di riforme di struttura della società borghese. L'opportunismo di Togliatti e di Nenni ha fatto sì che i lavoratori invece di affossare il sistema sociale di oppressione, sono diventati il suo puntello, prostrato davanti all'altare del mostro capitalista».
Egualmente polemico un altro libro, uscito nel 1966 per iniziativa di suoi seguaci, che conteneva vari scritto di Bordiga, e intitolato «Struttura sociale ed economica della Russia d'oggi». E' una violenta critica del regime comunista stalinista e post-stalinista, dalla rivoluzione d'ottobre in poi. Stalin è aspramente criticato perché aveva marciato in controsenso alle direttive di Lenin, ma anche Kruscev è definito «un cialtrone controrivoluzionario». Né manca un'aspra polemica contro l'onnipotenza dello Stato russo e l'oligarchia della classe dirigente.
Bordiga insomma fu un rivoluzionario puro, un ideologo, un utopista, un mistico della rivoluzione. Secondo lui, il «vero comunismo si farà solo in un mondo senza denaro». Ecco una sua massima: «Meglio essere tutti uguali nella povertà che diversi nel benessere».
Uno storico specialista del periodo tumultuoso della prima crescita del socialismo in Italia e dell'avvento del partito comunista, Raffaele Colapietra ha scritto di lui: «Per Bordiga si potrebbe ripetere la critica che Clausewitz rivolgeva ai circoli militari austriaci: tutti i loro piani riferirsi ed essere fondati sullo sfruttamento della vittoria, senza avere preventivamente stabilito se e come quella vittoria ci potesse essere. La visione puramente e tecnicamente rivoluzionaria, robespierrista oserei dire, per quella sua intensità ed assolutezza politica, di Bordiga, è di una lucidità impressionante; ma vi mancano completamente gli agganci logici, i punti di passaggio strutturali tra le basi e lo sviluppo dell'azione.»
l.v.
Il Resto del Carlino, 27 luglio 1970