battaglia comunista, 28 gennaio - 3 febbraio 1949
Di questo articolo di quasi sessanta anni fa ci ha colpito il titolo.
I "nati bastardi" sono quelli della generazione di Togliatti e amici (Gramsci in carcere ebbe in questo un ruolo minore) a cui toccò di fare del Partito Comunista d'Italia un partito della controrivoluzione.
A quella generazione ne sono successe altre; dai loro figli siamo passati ai loro nipoti di oggi, quel patetico conglomerato unito sotto la sigla di "Rifondazione"che in questi giorni sta tenendo un penoso congresso, una stirpe legata indissolubilmente ai loro progenitori, «nati bastardi» appunto.
L'incubo d'esser nati bastardi
C'è dell'esasperante monotonia in questo ripetersi su scala ridotta dell'episodio di Stalin, il quale poté assurgere, imprevisto, alla direzione del primo stato proletario uscito dalla rivoluzione d'ottobre senza aver prima giocato alcun ruolo preminente nella organizzazione e attuazione di quel moto rivoluzionario. Lacuna questa quanto mai significativa che i compiacenti storici del regime staliniano, ad onta della ricchezza dei mezzi messi a loro disposizione e dall'immenso potere dello Stato di cui potevano valersi, non sono mai riusciti non diciamo a colmare ma a ridurre in proporzioni decenti.
Allo stesso modo anche qui da noi gli «arrivati» a strappare la direzione del partito comunista, che si vorrebbe riallacciare alla tradizione di Livorno, hanno un estremo interesse a dimostrare che essi, soltanto essi sono stati gli artefici di questa scissione, e ad essi solo spetta storicamente la missione di guida di quel partito che oggi dovrebbe presiedere alle fortune del proletariato italiano e della rivoluzione.
Ma tutta la realtà è contro questa loro presunzione, e ciò spiega il cieco accanimento con cui tornano su questo argomento per far credere agli altri e forse a loro stessi quel che i superstiti di Livorno, ce ne sono ancora molti tra le loro file, sanno non essere che ambiziosa e truffaldina menzogna, buona semmai a puntellare le fortune economiche e politiche di qualche invertebrato che vuole rimanere ben saldo alla facile e abbondante greppia staliniana.
In questa settimana i quotidiani e gli organi minori del partito nazionalcomunista sono infatti pieni del ricordo della scissione di Livorno e dei suoi due ... protagonisti: Gramsci e Togliatti.
C'è da rimanere sbalorditi e mortificati di fronte alla sfrontatezza politica e morale di questo opaco e corrotto funzionarume di partito che approfitta dell'ignoranza delle masse e della loro estrema capacità di dimenticare per «sparar grosso» e rappezzare la storia, pur così recente, a suo uso e consumo.
L'Unità, ad esempio, fa precedere un articolo scritto in quell'epoca da Gramsci da questa nota introduttiva: «Il 21 gennaio 1921, a Livorno, il gruppo del "L'Ordine Nuovo", con Gramsci alla testa, abbandonava il Congresso socialista e fondava il partito comunista d'Italia».
Il gruppo dell' "Ordine Nuovo" con Gramsci alla testa?!. Povero Gramsci, avrebbe riso di cuore di tale piaggeria e poi ti avrebbe sussurrato, come era solito fare con gli intimi che, anche se avversari, stimava: «Vedi, sono scherzi che può procurarti solo una avveduta politica amministrativa del partito...». Gramsci infatti prediligeva questa specie di politica basata sullo stipendio a cui doveva del resto il consolidamento dell'investitura ricevuta da Mosca a dispetto della volontà della maggioranza del partito dichiaratamente di sinistra.
Ma a Livorno dal punto di vista del ruolo personale, fu quasi un assente; dal punto di vista del ruolo politico, del gruppo dell' "Ordine Nuovo" si può affermare con sicurezza che la sua influenza era allora organizzativamente inesistente su scala nazionale e tutt'altro che efficiente e determinante nella stessa città di Torino nella quale il gruppo era nato.
In sede teorica, l'ordinovismo di Gramsci, a cui oggi legittimamente si riallaccia la politica dei nazionalcomunisti, era figlio naturale del neo idealismo del primo dopoguerra, ed è padre altrettanto naturale della ideologia neo umanista di questo secondo dopoguerra; ciò spiega la sua costante ripugnanza al marxismo dialettico e la sua tendenza a concepire i problemi e la prassi del proletariato in coesistenza e in subordinazione ai problemi e alla prassi della borghesia progressiva nel compimento della sua rivoluzione liberale.
Gramsci è sempre stato contro lo spirito della scissione di Livorno; ma, incapace d'ogni iniziativa concreta, c'è voluto lo spintone di Mosca perché nel 1924 prendesse finalmente una posizione critica nei confronti della sinistra comunista imputandole l'errore di aver «tagliato» troppo a sinistra con la scissione.
Di Togliatti neppur questo si può dire dato lo scarso rilievo della sua personalità in quegli anni di così profondo travaglio teorico e politico. Cresciuto all'ombra di Gramsci vivo, capitalizzata ora l'opera e il sacrificio di Gramsci morto, questo si può dire di lui. E Gramsci che non lo stimava lo definiva «un destro che sa sempre dare l'illusione d'essere a sinistra».
E' il capo del partito di... Livorno, aggiungiamo noi, parafrasando la definizione di Gramsci, che sa dare l'illusione di esserne stato il creatore.
Togliatti è, sì, tra i fondatori del partito, ma con ruolo personale assai inferiore a quello di Bombacci, che è tutto dire.
Ecco perché all'epoca di Livorno ad Amadeo Bordiga, l'animatore vero della scissione e della creazione del partito di classe, Togliatti lustrava umilmente le scarpe.
Ora i tempi sono mutati, per cui l'uno, per rimanere se stesso e non prostituirsi politicamente, tira la carretta e se ne frega anche se lo chiamano traditore, mentre l'altro i privilegi acquisiti e il tradimento maschera rivendicando meriti d'importanza storica che soltanto l'interessata burocrazia di partito ardisce di conferirgli.
Ma tant'è. Nell'epoca classica dei sugheri i Togliatti, gli Scoccimarro, i Pajetta e simili galleggiano egregiamente e non ci sono marosi ancora così travolgenti da poterli sommergere.
battaglia comunista, n. 4, 26 gennaio - 3 febbraio 1949