Roma, 24 febbraio - 3 marzo 1946
Ci fa piacere ripubblicare questo articolo su Antonio Labriola apparso in battaglia comunista del 1946. E' una commemorazione del grande marxista nel quarantaduesimo anniversario della morte.
Antonio Labriola (1843- 1904) è spesso misconosciuto e poco studiato anche se, a differenza del confusionario e parafascista Arturo Labriola, fu valido e vero marxista e, alla fine del 1800, fu in corrispondenza con Engels (che conobbe personalmente), con Kautsky, Liebknecht e Lafargue.
Non sappiamo comunque (anche se la cosa ci ha incuriosito) chi sia «lo studente romano» che firma l'articolo.
Ricordando Antonio Labriola
Ricorre in questo mese l'anniversario della morte di un grande marxista italiano: Antonio Labriola. Nell'Olimpo ufficiale socialcentrista la data è passata via inavvertita (questione di tattica?): noi giovani marxisti invece, che andiamo affilando le nostre armi teoriche sui suoi scritti, lo vogliamo sia pur brevemente, ricordare.
Il momento storico nel quale s'inquadra la figura di Antonio Labriola non era dei più rosei per il giovane movimento socialista. Lo sviluppo della borghesia non aveva raggiunto il suo acme; anzi, in alcuni paesi, il capitalismo era appena all'inizio del suo processo storico. Fallito nel '70 il generoso tentativo dei Comunardi, discioltasi sotto i colpi della guerra franco-prussiana la I Internazionale, dalle sue rovine veniva faticosamente riedificandosi il secondo organismo classista internazionale dei lavoratori. Era una situazione a-rivoluzionaria, non nel senso che mancassero contrasti di classe (basti ricordare gli scioperi e i moti operai della fine del secolo, che in taluni momenti presero anche aspetti sanguinosi) ma nel senso che tali contrasti rimanevano - né poteva essere altrimenti - circoscritti e quindi poveri di sviluppi.
Pienamente cosciente di tale situazione il Labriola imperniò tutta la sua azione pratica e teorica sull'oggettiva interpretazione degli eventi storici in cui viveva. Era giunto al marxismo attraverso una lunga ma feconda evoluzione - dall'influenza hegeliana ben presto ripudiata, all'herbartismo - portando con sé un bagaglio di cognizioni teoriche veramente notevoli in tutti i campi e una profonda chiarezza di idee, qualità non comuni in chi si assume l'onere di guidare i movimenti classisti. Di quale socialismo, nei primi tempi, si trattasse, non possiamo con precisione definire. Furono forse imperativi morali e concezioni che definiremo utopico-umanitarie a spingere il Labriola ad aderire al socialismo; ma da questa posizione egli doveva ben presto allontanarsi, non lasciandosi più commuovere dalle «alcinesche seduzioni della dea giustizia e dell'astratta libertà» e orientandosi verso una visione critica del processo storico. Da allora data la sua adesione al marxismo.
Per il Labriola il marxismo non è astratta dottrina né ferrea legge deterministica; è un canone prezioso d'interpretazione della realtà, il filo conduttore per l'esatta comprensione del divenire sociale. Considerò il materialismo storico sul quale scrisse pagine ancora vive, come il nerbo del pensiero di Marx; anzi, vide condensato in tale concezione della storia tutto il socialismo scientifico. Ho già osservato che non fu un ferreo determinista, cioè non andò predicando come molti «parroci socialisti» concezioni meccaniche, sempliciste ed astratte intorno alla nuova teoria, né volle farne l'appendice di quelle mille dottrine evoluzionistiche che infestavano il campo filosofico-scientifico dell'800. Non volle mai confondere il marxismo, teoria dialettica, col materialismo metafisico, col positivismo, col darwinismo e, pur riconoscendo il fondamento scientifico di quest'ultimo, si oppose alla riduzione della lotta di classe al comun denominatore della lotta per l'esistenza, giacché l'uomo si muove in un ambiente artificiale da lui stesso costruito. Di tali confusioni e false interpretazioni era pieno il marxismo di allora: basti pensare all'alogica concezione che dall'economia faceva saltar fuori come per miracolo morale, diritto, religione, politica, filosofia. Ben altrimenti vede il Labriola il processo di generazione delle idee: circa le classi, il rapporto con l'economia appare strettissimo, ha anzi caratteri di vera e propria dipendenza causale: quanto alle idee politiche e al diritto, tali forme rispondono bensì nella loro origine alla necessità di soddisfare pressanti esigenze economiche, ma, specialmente le prime, una volta create e dopo essersi aperto un varco nella storia dei rapporti sociali, divengono esse stesse un fattore essenziale del processo storico (la teoria si cangia in forza materiale non appena conquista le masse). Analogamente, una volta distrutti i monumenti etici costruiti dalla fantasia di idealisti e metafisici e negata l'esistenza di una morale oggettiva, il Labriola afferma che l'etica si risolve nello studio storico delle condizioni soggettive ed oggettive «del come la morale si sviluppi o trovi impedimento a svilupparsi». Quanto all'arte, alla religione, e alla filosofia, l'interdipendenza di tali forme con l'economia avviene «in parte».
Ai critici che definivano astratte e non rispondenti alla realtà queste enunciazioni, il Labriola rispose con indagini storiche condotte al lume della concezione genetica della storia (com'egli definì il marxismo), e soprattutto col suo studio critico sul cristianesimo (lodato perfino dal Croce), in cui mise a nudo l'impossibilità di scrivere una storia dell' «Ente cristiano» e delle idee, trascurando il substrato sociale ed economico e la forma delle primitive associazioni nelle quali sorse e si diffuse «la buona novella». Ma, oltre che come filosofia della storia, il Labriola considerò il marxismo strumento atto a guidare l'azione politica dei partiti socialisti e ad immunizzarli contro il veleno tanto del riformismo quanto del blanquismo. E le sue opere, strettamente teoriche, palpitano del fervore del militante, che non pensa in astratto, ma pensa perché agisce e sotto lo stimolo dell'azione. Dobbiamo ricordare che alla scuola del Labriola si formò, nelle giovanili esperienze carcerarie, uno degli artefici della rivoluzione di Ottobre, Leone Trotsky?
Per quel che riguarda poi l'azione pratica (intendendo per «pratica» la partecipazione attiva alla vita di partito) il Labriola ha dato il suo sia pur non intenso contributo allo sviluppo del partito italiano e, in varie occasioni, diede agli operai dimostranti consigli che non tendevano davvero ... alla conciliazione con gli sfruttatori. Pur riconoscendo l'opportunità, nella particolare fase storica in cui viveva, di entrare nell'agone parlamentare, non cessò inoltre di prospettare al proletariato la ben più vasta e feconda arena della lotta di classe e il suo obiettivo finale, la conquista violenta del potere. E, se non vide con occhio malevolo la penetrazione italiana in Libia (atteggiamento che chiude purtroppo con un'ombra la sua vita di restauratore del marxismo in Italia), fu in nome di un'interpretazione teorica dell'evoluzione del capitalismo in senso imperialistico, che ha comunque ben altra serietà delle giustificazioni postume degli epigoni, dei sostenitori delle guerre imperialistiche sotto la bandiera del socialismo.
A quarantadue anni dalla sua morte abbiamo voluto ricordarlo perché «la gioventù socialista con infaticata opra s'aderga alla ricerca delle leggi onde l'umana società diviene e all'osservanza dei doveri che da quel conoscimento discendono».
Lo studente romano
battaglia comunista, anno II, n.6, Roma 24 febbraio - 3 marzo 1946