Cerca nel sito



 


archivio > Gli scheletri nell'armadio>Appunti per una critica del bordighismo (Lo Stato Operaio, n. 4, aprile 1930)

aggiornato al: 11/06/2008

Lo Stato Operaio, n.4, aprile 1930

Nel numero precedente a questo  "Lo stato Operaio" aveva pubblicato la notizia della espulsione di Bordiga dal Partito.

Ora, per lo stalinismo nostrano,  si tratta di condurre la battaglia "per la distruzione dei residui di influenza che Bordiga può ancora possedere nelle nostre file" dato che "espellere il bordighismo è infatti una cosa più importante e più difficile che non espellere Bordiga."

Questo è il compito a cui si accinge Palmiro Togliatti autore di questo articolo a cui i compagni della sinistra raggruppati in Francia e in Belgio attorno a Bilan e Prometeo risposero con  "Il mulino a vento del bordighismo" apparso su "Prometeo" che fra qualche giorno pubblicheremo nel sito.

 

 

Appunti per una critica del bordighismo

 

 

A quanto risulta, la espulsione di Amadeo Bordiga dal partito è stata accolta, alla base, con stupore. I compagni, però, si sono mostrati meravigliati non già al sentire che Bordiga è stato espulso, ma al sentire che era ancora nel partito. Coloro che, negli ultimi tempi, erano vissuti più vicini a lui e avevano avuto modo di conoscere tutta la sua evoluzione degli ultimi anni sono convinti e dichiarano che si doveva espellerlo prima. Questa evoluzione però non è nota generalmente e nemmeno può essere resa nota nei suoi particolari più significativi. Questo è un elemento sfavorevole, nella lotta per la distruzione dei residui di influenza che Bordiga può ancora possedere nelle nostre file. Un altro elemento sfavorevole è che Bordiga è stato forzatamente assente dalla lotta politica negli ultimi tre anni. In questi tre anni si sono svolte e conchiuse, nella Internazionale, alcune lotte di estrema importanza per la formazione ideologica della avanguardia del proletariato, la lotta contro il trotskismo e la lotta contro l'opportunismo di destra, in prima linea. Se Bordiga avesse potuto essere presente nel corso di queste lotte, certamente sarebbe stato molto più facile scoprire tutti gli aspetti della sua posizione, smascherare completamente la sostanza del cosiddetto bordighismo. In mancanza di ciò, la critica del bordighismo deve però essere fatta ugualmente, si deve anzi cercare di farla nel modo più esatto che sia possibile e in modo completo, se si vuole che la espulsione di Bordiga significhi realmente qualche cosa per tutto il partito. Espellere il bordighismo è infatti una cosa più importante e più difficile che non espellere Bordiga, particolarmente per un partito come il nostro, nella formazione del quale ha avuto una parte questa strana ideologia, che ha così poco di comune con il materialismo dialettico e con il marxismo, e che in altri paesi probabilmente non sarebbe mai riuscita ad avere il minimo dei successi.

Considerato nel modo più generale, il bordighismo si presenta come un metodo politico-organizzativo puramente razionalistico, come un tentativo di costruire una dottrina di un partito rivoluzionario sulla base di un sistema di regole ricavate per deduzione. Qui è il punto di divergenza dal materialismo dialettico e dal marxismo. Nell'arrovesciamento dell'idealismo filosofico che viene operato dal marxismo sembra che il bordighismo si arresti a metà, per timore che l'affondare nella realtà dei fatti, delle circostanze obiettive, della storia, significhi una corruzione, una perdita di coerenza, di purezza e di sicurezza. In questo lineamento del bordighismo sta certamente, però, il motivo principale dello sviluppo del movimento operaio italiano, sino a diventare, per un po' di tempo, la ideologia dominante nel nostro partito. Ma di ciò più avanti.

Lo schema razionalistico emerge principalmente nella dottrina del bordighismo sulla natura del partito, che fu il punto messo in luce particolarmente dalle discussioni che precedettero il nostro terzo Congresso (Lione, 1926), e nella concezione bordighiana della tattica del partito, che fu discussa per la prima volta, in contrasto con l'Esecutivo della Internazionale, al tempo del Congresso di Roma (1922). La critica di questi aspetti fondamentali del bordighismo che venne formulata nelle Tesi di Lione è completa e deve essere ancora oggi presa da noi come punto di partenza:

«a) dall'estrema sinistra il partito viene definito, trascurando o sottovalutando il suo contenuto sociale, come un "organo" della classe operaia, che si costituisce per sintesi di elementi eterogenei. Il partito deve invece essere definito mettendo in rilievo anzitutto il fatto che esso è una "parte" della classe operaia...;

«b) per la estrema sinistra la funzione del partito non è quella di guidare in ogni momento la classe sforzandosi di restare in contatto con essa attraverso qualsiasi mutamento di situazione oggettiva, ma di elaborare dei quadri preparati a guidare la massa quando lo svolgimento delle situazioni l'avrà portata al partito facendole accettare le posizioni programmatiche e di principio da esso fissate;

«c) per quanto riguarda la tattica, l'estrema sinistra sostiene che essa non deve venire determinata in relazione con le situazioni oggettive e con la posizione delle masse, in modo che essa aderisca sempre alla realtà e fornisca un continuo contatto con gli strati più vasti della popolazione lavoratrice, ma deve essere determinata in base a preoccupazioni formalistiche. E' propria dell'estremismo la concezione che le deviazioni dei principi della politica comunista... possono essere evitate soltanto col porre alla tattica limiti rigidi e formali di carattere esteriore. All'esame delle situazioni e dei movimenti di massa si ricorre quindi solo per il controllo della linea dedotta in base a preoccupazioni formalistiche e settarie. Viene perciò a mancare, nella determinazione della politica del partito, l'elemento particolare; la unità e completezza di visione che è propria del nostro metodo di indagine politica (dialettica) è spezzata, la attività del partito e le sue parole d'ordine perdono efficacia e valore, rimanendo attività e parole di semplice propaganda».

Le conseguenze di questa concezione apparvero molto chiaramente nella attività svolta da Bordiga come dirigente del partito, nei primi due anni della esistenza di esso, e, ancora prima della fondazione del partito, nel periodo rivoluzionario 1919-20. Quale era, in questo periodo, il problema fondamentale che il bordighismo si poneva e cercava di risolvere? Era il problema di riuscire a creare la ossatura di un partito rivoluzionario. Non si può negare che nel vedere la necessità di risolvere questo problema Bordiga precedette molti altri elementi rivoluzionari. E nemmeno si può negare che, per quanto la situazione del 1919-20 fosse una situazione acuta, non si poteva concepire la possibilità che essa sboccasse nella vittoria del proletariato se alla testa del proletariato non si fosse posta una avanguardia rivoluzionaria organizzata. Questa avanguardia non poteva essere né il partito socialista, né la sua direzione. Poteva essere una frazione di esso. Il bordighismo però non si pose mai - né poteva porsi, - il problema a questo modo. La teoria -innegabilmente giusta - che la rivoluzione proletaria può essere portata alla vittoria solamente da un partito rivoluzionario, veniva da esso interpretata e applicata alla situazione italiana in modo fantastico ed esclusivamente negativo. Poiché il PSI non è un partito rivoluzionario, e poiché senza partito rivoluzionario non si dà vittoria della rivoluzione, - così ragionava allora Bordiga, - la sconfitta della rivoluzione è certa e il solo problema che si pone è quello di trarre da questa sconfitta il maggior insegnamento possibile per la creazione di un vero partito rivoluzionario. L'errore di questo ragionamento è evidente. Esso è puramente formale e sostanzialmente fatalistico. esso prescinde dalla considerazione dei fattori storici reali, del loro peso e del loro movimento. Esso parte non solamente dalla giustificata sfiducia nel partito esistente (il PSI), ma anche dalla sfiducia  nelle capacità rivoluzionarie e creative della classe operaia. In un periodo rivoluzionario, invece, la esperienza che viene fatta dalle masse ha un valore enorme e i mesi contano per anni. Lo stesso processo di creazione del partito, cioè, in un momento di rapida evoluzione politica e di giganteschi movimenti di massa, può essere abbreviato e accelerato. Inoltre, nel ragionamento di Bordiga del 1919-20 è completamente trascurato un fattore al quale Lenin, invece, attribuiva sempre la massima importanza, il fattore «tempo». Le situazioni rivoluzionarie non si producono artificialmente, né si riproducono a piacere. Il tempo non aspetta i rivoluzionari. Sono i rivoluzionari che debbono essere capaci di reagire alle circostanze con la più grande rapidità e di approfittare di esse nel miglior modo possibile per accelerare tutto il processo che porta alla vittoria della rivoluzione. Perciò essi debbono in ogni momento e in qualsiasi condizione porsi il problema del collegamento delle masse che marciano in avanti e della direzione di esse nella loro lotta. Si pose Bordiga questo problema nel 1919-20?. La cosa è molto discutibile. Uno studio attento del Soviet lo potrà dimostrare. Apparirà da esso che la propaganda del Soviet era forse la più efficace dal punto di vista della demolizione formale del PSI, ma era la più sterile dal punto di vista della direzione effettiva del movimento delle masse, il quale era, allora, un movimento rivoluzionario che cercava degli obiettivi e degli sbocchi immediati. Non solo, ma verso i movimenti di opposizione che si ponevano non soltanto sul terreno della critica del PSI, ma anche su quello della  direzione effettiva di un movimento rivoluzionario di massa, Bordiga era allora alquanto diffidente. Il movimento dei Consigli di fabbrica egli non lo capì e lo criticò in modo del tutto errato (esso non entrava nel suo schema!). Un fatto grandioso, e che avrebbe potuto avere un'importanza rivoluzionaria decisiva,  come fu lo sciopero dell'aprile 1920, egli lo considerò con freddezza, ragionando su di esso su per giù come i dirigenti del PSI, che non vi scorgevano altro che una violazione della disciplina formale del partito da parte di una sezione diretta da scalmanati. Secondo Bordiga lo sciopero dell'aprile non andava contro la disciplina del PSI, ma contro la logica (che aveva stabilito lui!) del processo di creazione del partito! In sostanza, nel 1919-20 Bordiga dette la prima grande prova di incapacità politica e rivoluzionaria, la prima grande prova della sterilità del suo metodo politico formalistico. Nel momento in cui la rivoluzione era in corso, nel momento in cui le masse chiedevano una direzione rivoluzionaria, nel momento in cui si chiedeva ai rivoluzionari una azione, Bordiga faceva della pedagogia. Registrava l'avverarsi di una previsione (quella della sconfitta inevitabile per l'assenza del partito) e attendeva che si realizzassero le condizioni più favorevoli per la applicazione del suo piano prestabilito di costruzione del vero partito, del partito purissimo, del partito cui la sua stessa costruzione dovrebbe garantire la vittoria nell'avvenire. Ma una vigorosa battaglia data in condizioni come quelle del 1919-20, per la vittoria nel presente è cosa molto migliore di una ipotetica vittoria nell'avvenire!

Fondato il partito, l'attività di Bordiga come dirigente politico di esso culminò nella formulazione delle Tesi di Roma, le tesi di una tattica eguale e giusta in tutti i tempi, in tutti i luoghi e in ogni circostanza. Inutile rifarne ora la critica particolareggiata. In quelle tesi, che avrebbero dovuto regolare l'attività del partito in quel momento, ciò che manca è precisamente l'essenziale: l'analisi della società italiana, delle forze motrici della rivoluzione, del grado preciso di sviluppo di queste forze, della situazione e delle sue prospettive immediate. Tutti questi problemi vengono risolti secondo il solito schema formale, e quindi non sono nemmeno scalfiti nella loro sostanza. La questione delle prospettive immediate, per esempio, nel momento in cui era matura la trasformazione reazionaria che ebbe come uno dei suoi momenti principali l'andata del fascismo al potere, veniva risolto nelle Tesi di Roma sulla base del semplice richiamo alla identità di sostanza tra un regime democratico borghese e un regime di dittatura borghese. Sparivano così tutte le particolarità della situazione italiana del 1922, e la prospettiva fondamentale del partito (la esclusione di un avvento del fascismo al potere e di una prossima fine del regime parlamentare) ne risultava radicalmente sbagliata. L'azione del partito, si può dire che Bordiga la diresse negli anni 1921-22 con lo stesso criterio che lo aveva guidato nel 1919-20. Egli aveva uno schema da applicare e da dimostrare. Peggio per la realtà che non voleva entrare in esso. Il partito avrebbe aspettato che i fatti gli dessero ragione. Il partito aveva scritto nelle sue tesi che il fronte unico, per non essere pericoloso, deve farsi solamente sul terreno sindacale. La situazione concreta, invece, poneva al partito il problema del fronte unico in modo del tutto diverso. Le masse mostravano la tendenza irresistibile a costituire un fronte unico sul terreno della resistenza e lotta armata contro lo squadrismo fascista («Arditi del popolo»). Sotto la spinta delle masse, si verificava una oscillazione degli stati maggiori dei partiti ancora legati ad esse, e degli strati dirigenti intermedi di essi, per cui si poneva nettamente il problema del fronte unico sul terreno politico, allo scopo di smascherare i primi, di legarsi con i secondi e porsi a capo della massa. Ma che importava ciò al bordighismo? Tutto ciò urtava contro le tavole della sua legge, e perciò doveva essere trascurato, ignorato, combattuto. Come nel 1919-20, così nel 1921-22 il bordighismo riduceva una grande parte della propria attività a una predica sul bene e sul male, e scartava le vie della azione più risoluta, indicata dalle circostanze.

Questa critica del bordighismo spiega bene perchè lo sviluppo politico del nostro partito come partito di massa incomincia solamente con la sconfitta del bordighismo stesso e con la liquidazione di esso. Questa sconfitta e questa liquidazione hanno infatti permesso al partito di fare una analisi precisa delle forze motrici della rivoluzione proletaria in Italia, di riconoscere esattamente quale è la propria base (il fatto di essere parte integrante della classe operaia e non un elenco di norme astratte), quali sono le forze di massa che esso deve conquistare, quali le forze che esso deve riuscire a influenzare, oppure a disgregare con la propria azione. Sconfitto il bordighismo il partito ha incominciato a lavorare e lottare per raggiungere i propri obbiettivi politici e ha incominciato ad ottenere dei vasti risultati politici concreti, particolarmente nella direzione principale, che è quella della conquista della maggioranza del proletariato. Questo è bene ricordare perchè vi sono dei compagni i quali, pur mentre dicevano e credevano di non essere più bordighiani, ritenevano però che Bordiga («a parte le sue idee!») fosse indispensabile al partito per guidarlo in un momento di gravi lotte rivoluzionarie. L'errore profondo di questa opinione sta nel pensare che, in una lotta rivoluzionaria, le posizioni politiche non contino e contino invece soprattutto, per esempio, le qualità personali. Bordiga e le sue concezioni politiche non si possono separare. E se è vero che queste concezioni abbiamo dovuto liquidarle per poter andare avanti, è assurdo pensare che esse ci potrebbero servire a vincere in una lotta rivoluzionaria diretta. Al contrario, noi dobbiamo affermare, sulla base di una esperienza ormai inconfutabile, che un partito diretto da Bordiga non sarebbe riuscito e non riuscirebbe mai, in una situazione rivoluzionaria, a fare il massimo degli sforzi per portare gli operai alla vittoria. Il che non vuol dire che esso non saprebbe fare il massimo degli sforzi per dimostrare , per il che, per il come e per il quando, che la vittoria non poteva aversi, dato che le regole non erano state precedentemente rispettate, e quindi era inutile persino combattere. E che cosa stanno facendo ora, i bordighiani del Prometeo, se non preparare gli elementi di questa dimostrazione che essi sperano (meschini!) di poter fare domani o domani l'altro?

Ma allora perchè il bordighismo ha avuto un successo nel movimento operaio italiano? Per due motivi fondamentali. Il primo sta nella situazione stessa della classe operaia italiana. Numericamente debole, circondata da una massa di piccola borghesia, la classe operaia italiana si trova continuamente esposta al pericolo di subire essa stessa, nel proprio seno,  e nel seno del proprio partito, le influenze deleterie di classi avverse e di ceti intermedi. L'unico modo di superare questo pericolo consiste nel fatto che il partito della classe operaia conduca una politica conseguente di classe la quale porti alla realizzazione della alleanza del proletariato con i contadini poveri e alla disgregazione delle formazioni politiche dei ceti intermedi, cioè consiste nel fatto che il partito faccia una politica leninista. Questa soluzione però non può essere veduta e applicata se non quando la classe intiera ha acquistato una certa maturità politica, e quando politicamente matura è la sua avanguardia. Sino a che non sono raggiunte queste condizioni, è comprensibile che una parte, - anche avanzata, - della classe operaia, reagisca alla situazione in modo completamente sbagliato, rinchiudendosi in se stessa, in una intransigenza formale e settaria, in un estremismo esteriore, fatto di frasi, di formule rigide e di passività. Il bordighismo è questo genere di reazione. I problemi dalla soluzione dei quali dipende la realizzazione della egemonia del proletariato, esso l'ignora e ignorandoli crede di averli risolti.

In secondo luogo, la temporanea fortuna del bordighismo, derivò senza dubbio dal fatto che la crisi e il fallimento del PSI, nel 1919-20, non solamente diffusero tra le masse più avanzate un profondo pessimismo, ma spinsero una parte di esse a cercare una garanzia contro nuove delusioni precisamente in un sistema di formule e di frasi, rigido, tale che sembrava escludere la possibilità di nuove oscillazioni, incertezze, dubbi e tradimenti. Le origini della fortuna del bordighismo sono quindi da cercare precisamente nei suoi difetti. La soluzione che Bordiga dava al problema del partito era, in sostanza, una soluzione burocratica. Essa riduceva tutti i problemi del partito epersino, si può dire, i problemi della rivoluzione, a problemi di disciplina (vi sono le «norme» di tattica, non vi è che da osservarle). Il che era una soluzione facile, semplice, nella quale non parve vero a molti dopo la delusione del '20, di potersi adagiare. Per questo, però, il bordighismo doveva a poco a poco esaurire la propria forza via via che la delusione spariva e i problemi politici e organizzativi si ripresentavano nei loro termini veri, come problemi che si debbono risolvere a contatto con la realtà, studiandola, penetrando in essa per trasformarla.

La giustezza di tutte queste osservazioni apparirà in modo ancora più evidente se volgeremo lo sguardo a ciò che il bordighismo è diventato ora, alle posizioni attuali di Bordiga stesso, e a quelle di coloro che pretendono di interpretarne il pensiero.

 

«Lo Stato operaio» a. IV, n. 4, aprile 1930