Il Tempo, 2-3 settembre 1953
Egidio Sterpa, autore di questo vecchio articolo su Bordiga, all'epoca in cui lo scrisse era redattore capo di «Il Tempo» di Roma. Lavorò in seguito al «Giornale d'Italia» prima di passare a «Il Corriere della Sera» e poi alla direzione del «Corriere lombardo». Scrisse anche dei libri tra cui, nel 1963, "Un italiano allo specchio" (Nuova editrice internazionale, Milano, 1963) e in tempi più recenti "Qualcosa di liberale" (Greco&Greco, Milano, 2005).
Sono passati 55 anni da questo articolo e l'autore ne ha fatta di strada: cinque legislature alla Camera, una al senato; ex parlamentare del P.L.I. attualmente, dal 2006, senatore di "Forza Italia". Nelle sue note caratteristiche il nostro senatore risulta condannato nel 1998 in via definitiva a sei mesi per la tangente Enimont.
Lo preferivamo all'inizio della carriera quando era raro e difficile superare, nel 1953, data di questo scritto, l'ostracismo e il silenzio che attorniavano Bordiga di cui si parlava solo per ricoprirlo di infamie e calunnie. L'articolo pur contenendo errori da imputare ad una scarsa conoscenza della storia del movimento comunista e tenendo conto degli anni in cui apparve non è da cestinare ma va tenuto come testimonianza.
Fu amico di Lenin ed è nemico di Togliatti
Vive a Napoli e non si occupa apparentemente di politica. Era potente quando il «migliore» era un timido professorino.
Quando morì Stalin qualcuno chiese all'ing. Amadeo Bordiga le sue impressioni. «Io faccio l'ingegnere, - fu l'unica risposta dell'ex capo dei comunisti italiani - ho scelto i logaritmi, non mi occupo più di politica.» Non fu possibile fargli dire di più. Così è del resto da molti anni: l'ing. Bordiga è tutto dedito alla sua professione, o almeno così sembra, e quando gli si parla di politica svia il discorso.
Certo è un po' strano che una pellaccia di rivoluzionario come lui abbia rinunciato del tutto alle sue idee e soprattutto alla sua rivincita. Quando egli dice «preferisco i logaritmi» si stenta a credergli. Chi non ricorda colui che fu definito il «nemico numero uno di Stalin» noto in Russia come il «quinto gatto rivoluzionario»? Ai tempi di Lenin, appunto, in Russia era molto in voga una canzoncina, che qualche volta Bordiga ancora canticchia: «Ras, dwa, tri, mui bolsceviki» («Uno, due, tre, noi boscevichi!»). I «tre bolscevichi» erano allora i tre gatti del rivoluzionario russo: Osram, Katia, Moutzi. Il «quarto gatto» era Lenin naturalmente e il «quinto gatto italiano», come lo chiamarono a Mosca, proprio lui, Bordiga. Non per nulla sulla schedina personale conservata negli archivi del Ministero degli Interni vi è scritto, accanto alla foto dell'ingegnere: «Rivoluzionario comunista internazionale, amico personale di Lenin». L'ultima annotazione sulla schedina fu apposta nel 1926, quando Bordiga si rifugiò in Russia; da allora non è stata più aggiornata. Qualcuno vorrebbe aggiungerci oggi questa scritta: «Capo del partito comunista internazionalista», ma la cosa non trova molto credito. il «quinto gatto di Lenin» appare veramente cambiato.
«Il Proletario»
Amadeo Bordiga dei conti Degli Amidei ha oggi 65 anni (nacque a Resina il 13 giugno 1889). Il padre, di nobile famiglia veneziana imparentata con un Doge, insegnava alla Università agraria di Portici. Come si sia avvicinato al socialismo quest'uomo che poteva ostentare in una città come Napoli il titolo di conte, non si sa, né serve chiederlo all'interessato tutto occupato ormai con l'algebra. A 23 anni prese la prima tessera del partito Socialista, iscrivendosi alla sezione di Portici. Immediatamente, raccogliendo fondi, il neo-rivoluzionario riuscì a pubblicare un settimanale: Il Proletario. Manco a dirlo, il giovane militò subito nella sinistra del partito, sostenendo sul suo giornale «l'intransigenza assoluta» e condannando come vere e proprie eresie i compromessi con le forze borghesi e reazionarie.
Egli era direttore, redattore e diffusore del Proletario. Ogni domenica, quando il giornale usciva, Bordiga faceva il giro dei paesi intorno a Napoli con una carrozzella e distribuiva le copie uscite fresche fresche dalla tipografia. Il vetturino era un socialista per la pelle, sicché le spese non pesavano affatto sull'amministrazione del giornale.
Il Proletario fu la pedana di lancio di Bordiga, che nel 1918 fu chiamato a dirigere a Napoli il settimanale Soviet. I socialisti meridionali s'erano accorti di lui, lo chiamavano il «veneziano di Napoli». Poi, quando scoppiò la polemica con Arturo Labriola, venne definito «l'uomo più rivoluzionario del Sud», tanto da diventare popolarissimo e da imporsi all'attenzione dei compagni del Nord per la sua «spericolatezza». Non era facile allora polemizzare con Labriola, né molto semplice conquistarsi la popolarità a spese del «grande». Eppure l'esordiente riuscì ad imporsi. A Napoli allora si diceva: «O per Labriola o per Bordiga». Affascinava, questo giovane ingegnere che in pubblico una volta aveva rifiutato il titolo di conte. Nacque con lui nel Sud la moda dei rivoluzionari di provenienza borghese, il cui socialismo però si fermava al fiore rosso all'occhiello. Ma Bordiga rivoluzionario lo era sul serio; egli preferiva vivere in mezzo agli operai, nelle officine e nei cantieri, piuttosto che vedersi intorno le folle che lo idolatravano.
Naturale che questa fama, questa popolarità del «veneziano di Napoli» non piacesse agli uomini del partito che vivevano a Roma, Torino, Bologna o Milano, i «centri nevralgici» della rivoluzione di là da venire. Qualcuno, difatti, ebbe a rimbeccarlo volentieri, arrivando a dire che spesso il giovane parlava di «cose più grandi di lui» per cui avrebbe dovuto «tenere la lingua a freno». Il che voleva dire che per Bordiga non si preparavano tempi felici in seno al Partito Socialista. Chissà, forse un giorno o l'altro sarebbero arrivati a sconfessarlo.
Viaggio a Mosca
Fu Lenin con un intervento inaspettato a salvare Bordiga. Il capo dei bolscevichi russi che allora era al massimo dei suoi trionfi, nel suo libro Estremismo malattia infantile del comunismo citò Soviet, il giornale di Bordiga, dichiarando di seguirlo con molto interesse. A questo punto le azioni dell'ingegnere napoletano salirono. Poco più tardi, nel luglio del 1920, Lenin in persona invitò Bordiga a recarsi a Mosca, dove rimase due mesi. Su qualche giornale italiano apparve allora una fotografia dove si vedevano insieme in troika Lenin e Bordiga. Ne aveva fatta di strada il piccolo conte veneziano di Portici.
Quando tornò in Italia divenne potentissimo in seno al partito. Poco più tardi al Congresso di Livorno del 1921, egli determinò la scissione della frazione comunista del Partito Socialista. Nacque così il P.C.I. di cui Bordiga fu il massimo esponente. I suoi contatti epistolari con Lenin erano sempre frequentissimi. Con lui il rivoluzionario russo si firmava col suo vero nome: Vladimiro Jlitch Ulianov, nome che egli stesso in una lettera a Bordiga ebbe a definire «lunghissimo, noioso e monotono come una cantilena» mentre «rapido come una martellata» giudicò il suo pseudonimo che «da solo -aggiungeva - ha fatto la rivoluzione». Questo dice quanto cordiali fossero i rapporti fra i due e chi fosse allora Bordiga, il vero capo cioè dei comunisti italiani. Togliatti allora, timido professorino e redattore del giornale torinese Ordine Nuovo era un suo fanatico e guardava con rispetto all'amicizia tra Lenin e il «capo» colui che oggi in via della Botteghe Oscure viene ritenuto la «pecora nera» numero uno.
Nel 1924 Bordiga venne arrestato e a sostituirlo fu nominato il triumvirato Togliatti-Gramsci-Grieco. Assolto, dopo molto tempo dall'accusa di complotto contro lo Stato, nel 1926 l'uomo più rivoluzionario di Napoli tornò a Mosca. Ma qui trovò le cose molto cambiate. Lenin era morto e invano egli [una riga illeggibile] piuttosto a consolidare la posizione interna, non c'era tempo per i compagni stranieri disposti come Bordiga a dare la vita per la rivoluzione proletaria internazionale. I suoi incontri con Stalin furono molto freddi, burrascosi quelli con Zinoviev che cercava di ridurlo alla ragione. Niente da fare però col veneziano di Napoli. Bordiga quando chiedeva la «azione diretta», quando mandava al diavolo chi gli parlava, come Zinoviev, della «tattica di saper attendere», pensava ai suoi compagni italiani di Napoli, di Torino, di Bologna, forse pensava a quel vetturino che in altri tempi sacrificava tutta una giornata di lavoro per la «causa rivoluzionaria». La sua sincerità dava fastidio. Stalin ebbe a dire di lui: «Questo Bordiga dice sempre la verità...». E allora era pericoloso dire la verità, per cui il comunista italiano decise di tagliare la corda prima di fare la fine di Zinoviev, che aveva «saputo attendere» fino a cadere dinanzi ad un plotone di esecuzione.
Lasciata la Russia, Bordiga ebbe altre peripezie: passò da un esilio all'altro, finché nel 1931 venne ufficialmente espulso dal PCI. La decisione fu presa durante una riunione segreta a Mosca. Si aprì così la strada alla «carriera» di Togliatti.
Ora il conte rivoluzionario vive a Napoli, abita in una casa a tre piani in corso Vittorio Emanuele, proprio alla prima curva della strada che si affaccia sul golfo. Il suo recapito ufficiale è a Palazzo Salsi, in corso Garibaldi 412, dove ha sede una associazione che combatte per l'attuazione a Napoli della «Via Marittima». L'associazione di cui Bordiga è a capo è assolutamente apolitica e questo egli ci tiene a dirlo. «Ho scelto l'algebra», ripete, come a dire: «Ho scelto la libertà». C'è chi sostiene però che il «quinto gatto» di Lenin è tutt'altro che fuori della politica. Nonostante la sua apparente vita borghese, Bordiga sarebbe il capo del partito comunista internazionale e avrebbe finalmente imparato sul serio la «tattica del saper attendere». Ma che cosa aspetti nessuno riesce a indovinare. Se ce la aveva con Stalin, l'attesa dovrebbe essere finita per lui. Ma egli, dicono, odia anche i suoi ex compagni che oggi pontificano in via delle Botteghe Oscure. Che stia attendendo la sua ora nel partito? Certo che Togliatti, Secchia, Longo, Grieco ed altri, almeno quelli che lo hanno conosciuto debbono temerlo. In lui, forse, c'è lo spirito irriducibile di Lenin. Non per nulla egli era uno dei cinque gatti del rivoluzionario russo. E i gatti, si sa, hanno sette spiriti.
Egidio Sterpa
Il Tempo, 2-3 settembre 1953