L'Internazionale, gennaio 2000
Questo articolo di Giorgio Amico di otto anni fa, apparso su di un periodico praticamente sconosciuto (che ora ha comunque un suo sito in rete: www.linternazionale.it ), può essere letto come il punto raggiunto allora dagli studi su Amadeo Bordiga; al fondo era presente una visione ottimistica sull'aumentare dell'interesse verso il fondatore del Partito Comunista d'Italia, visione che però oggi va ridimensionata.
E' apparso sì, ad opera della Fondazione Amadeo Bordiga, il lavoro di Luigi Gerosa L'ingegnere "fuori uso". Vent'anni di battaglie urbanistiche di Amadeo Bordiga Napoli 1946-1966 ma, ad esempio, "Gli Scritti", che la casa editrice Graphos aveva cominciato a pubblicare, si sono fermati dopo l'uscita del secondo volume (1998) e non c'è, a dieci anni ormai di distanza, all'orizzonte la ripresa della loro pubblicazione. Non sono usciti ancora, e probabilmente non appariranno mai, gli atti del Convegno milanese dell'ottobre 2002 Scienza e politica in Amadeo Bordiga (1910-1970).
La storiografia ufficiale ha poi ripreso il suo abituale comportamento dato che nel Dizionario del comunismo nel XX secolo curato da Silvio Pons e Robert Service, di cui è uscito nel 2007 il secondo e conclusivo volume, di Amadeo Bordiga non si fa menzione.
Amadeo Bordiga nella ricerca storica sul comunismo italiano
Tra le conseguenze del crollo rovinoso dello stalinismo una delle più positive è la avvertibile ripresa di interesse verso figure e momenti della storia del movimento operaio e comunista che la lunga egemonia esercitata dal togliattismo nell'ambito della cultura italiana del dopoguerra aveva in ogni modo cercato di rimuovere dalla memoria non solo in campo proletario, dove con mezzi estremamente spicci e "muscolari" il PCI era riuscito già alla fine degli anni '40 a liquidare di fatto ogni voce dissonante, ma anche sul terreno più ovattato della ricerca accademica. E' il caso in particolare di Amadeo Bordiga, fondatore del Partito Comunista e principale esponente del marxismo rivoluzionario in Italia, di cui, dopo la stagione delle calunnie e del linciaggio morale, si era cercato, sostanzialmente riuscendoci al livello più generale delle larghe masse, di far sparire anche il ricordo.
Ed in effetti un unico filo nero lega tra loro gli articoli apparsi alla fine degli anni Trenta, nel pieno dei processi di Mosca contro la vecchia guardia bolscevica, su "Lo stato Operaio" in cui applicando l'indicazione di Togliatti di "italianizzare la lotta contro il trotzkismo, come agenzia di Hitler, come Bordiga e i suoi, ecc.", Giuseppe Berti definiva il "bordighismo" come una "agenzia del fascismo" e un "vivaio controrivoluzionario di spie e disgregatori" con l'ormai famosa raccomandazione del "Migliore" agli storici vicini al partito in occasione della redazione del volume celebrativo del trentennale del PCI di "guardarsi, naturalmente, dall'esporre obbiettivamente le famigerate dottrine bordighiane", ma di farlo esclusivamente in modo "critico e distruttivo".
Certo, gradualmente e in parallelo con il progressivo inserimento del PCI nei gangli vitali del sistema politico-economico italiano, il tono della polemica cambia. Gli argomenti usati non sono più quelli trogloditici dello stalinismo da "Breve corso" utilizzati ancora fino alla fine degli anni Cinquanta, ma la sostanza non cambia. Il PCI, avviato a diventare di fatto partito di governo anche se nella particolare forma italiana del "consociativismo", non usa più, almeno nelle pubblicazioni con pretese di scientificità, l'arma della calunnia grossolana, pienamente rimpiazzata dalle più sottili risorse dell'omissione e del travisamento. Bordiga non è più il "guappo e camorrista" (Emilio Sereni) o "l'agente dissimulato del fascismo nelle nostre file" (Giuseppe Berti) contro cui indirizzare ancora negli anni '50 il disprezzo della classe operaia, ma l'esponente italiano di un filone estremista e primitivo del comunismo, "sottoprodotto della Seconda Internazionale" (Paolo Spriano), da cui prendere le distanze, rimarcandone il carattere storicamente obsoleto e politicamente sterile. Non sorprende, dunque, che le due principali iniziative editoriali sulla storia del pensiero marxista uscite in Italia nel dopoguerra, opere che pure aspiravano ad essere una sorta di compendio o manuale analitico di storia del marxismo, non accennino neppure di sfuggita, vedi la "Storia del marxismo contemporaneo" dell'Istituto Feltrinelli, alla vita e all'opera di quello che comunque era pur sempre stato il fondatore del Partito comunista o si limitino a pochi sommari e schematici accenni come nel caso della "Storia del marxismo" edita con grandi pretese di scientificità da Einaudi tra il 1978 e il 1982.
La deformazione/rimozione effettuata per decenni dal PCI ha pesato notevolmente anche sul lavoro di ricerca operato dalle correnti che in varia maniera si richiamano all'esperienza di Livorno o che comunque mantengono ancora un esplicito riferimento classista. Non esiste a tutt'oggi uno studio sistematico del pensiero e dell'azione politica di Bordiga ad opera del campo trotskista, da sempre in Italia interamente assorbito come testimoniano eloquentemente i lavori di Silverio Corvisieri, Livio Maitan e Roberto Massari dallo sforzo di recuperare in qualche modo, anche a costo di notevoli forzature, Antonio Gramsci ad una sorta di militanza trotskista ideale. Dato ancora più rimarchevole, fatta salva la meritoria eccezione di Onorato Damen e di "Battaglia comunista" che a Bordiga hanno dedicato lavori di grande interesse storiografico e politico, gli stessi gruppi che ancora si collocano esplicitamente nel solco storico della "Sinistra comunista italiana" hanno accuratamente evitato di confrontarsi in modo critico con l'intera parabola politica e umana di Bordiga, riducendolo ad una sorta di padre mitico buono per tutte le occorrenze. Lacuna che caratterizza anche un gruppo come "Lotta comunista" che pure forse più di tutti ha cercato, a partire da una matrice originaria radicalmente altra, quale il comunismo libertario di origine machnovista, di tradurre in termini politico-organizzativi alcuni lasciti teorici del vecchio Amadeo a iniziare da quello, centrale, del carattere sociale dell'URSS. Il risultato è che, se si eccettuano alcune opere isolate, quali il pionieristico "Amadeo Bordiga" di Andreina De Clementi (1971), che però si ferma al 1926, il più complessivo "Amadeo Bordiga. Il pensiero e l'azione politica 1912-1970" di Franco Livorsi (1975), o lo studio di Liliana Grilli su "Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo (1982), il panorama complessivo degli studi sul ruolo di Bordiga nel comunismo italiano e internazionale è desolante e testimonia anche in questo campo della sostanziale riuscita dell'operazione togliattiana tesa a utilizzare una versione riveduta e corretta di Gramsci quale paradigma di un pensiero comunista evirato della sua carica radicalmente eversiva e ridotto a mera filosofia della storia. Certo non sono mancati studi parziali o opere più generali sulla storia del comunismo in Italia che hanno cercato, spesso anche con risultati di assoluto rilievo, di ristabilire una memoria storica corretta ed adeguata alla statura del personaggio. Ma si è quasi sempre trattato, al di là del loro effettivo valore storiografico, di iniziative editoriali marginali e di autori comunque sempre collocati fuori dal coro dell'intellettualità di sinistra, o almeno di quella "ufficiale". Ricordiamo a questo proposito le storie del PCI "alternative" alla vulgata togliattiana di Giorgio Galli (1953 e poi 1977) e Danilo Montaldi (1976), la ricerca sempre di Montaldi su "Korsch e i comunisti italiani" del 1975, il libro di Michele Fatica sulle "Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915)" del 1971, la ricostruzione di Arturo Peregalli del panorama delle organizzazioni comuniste rivoluzionarie negli anni della lotta armata antifascista ("L'altra resistenza. Il PCI e le opposizioni di sinistra 1943-1945").
E' solo negli anni novanta, a partire dalla crisi irreversibile dello stalinismo in tutte le sue forme, non esclusa quella italiana delle "vie nazionali al socialismo" che, come accennavamo in apertura di questo articolo, la situazione cambia. La fine dell'esperienza del "falso socialismo" all'Est costringe chi ancora si riconosce nella necessità di superare lo stato di cose esistente ad una riflessione complessiva sull'intera parabola del movimento comunista nel XX secolo. Operazione non facile e sicuramente non a costo zero, dato che, partita da una necessaria demistificazione delle falsità correnti per tanto tempo spacciate dai fautori anche italiani del cosiddetto "socialismo reale", questa opera di pulizia non può arrestarsi a metà ma inevitabilmente deve sottoporre ad un radicale vaglio critico anche quella parte di storia del movimento operaio che è stata, con i suoi punti di forza e di debolezza, patrimonio della sinistra comunista nella sua forma "bordighista", ma anche trotskista e consiliare.
In questo senso vanno alcune pubblicazioni da poco apparse che si aggiungono ad una lista di opere, edite negli anni novanta, tese sia a ristabilire le basi di una elementare verità storica che a porre le premesse di una successiva più approfondita ricerca. Ricordiamo molto velocemente la raccolta in nove volumi degli scritti 1911-1926 di Amadeo Bordiga a cura di Luigi Gerosa (due per ora i testi pubblicati che coprono il periodo 1911-1918), la fondamentale ricerca bibliografica a cura di Arturo Peregalli e Sandro Saggioro (1995), che per la prima volta offre una elencazione certa e definitiva delle opere bordighiane, i quaderni di "Battaglia comunista" sulla nascita del PC Internazionalista e sulla rottura Bordiga-Damen del 1952, la ricerca di Riccardo Tacchinardi e Arturo Peregalli su "L'URSS e i teorici del capitalismo di stato" (1990) e per il gruppo dei "Quaderni internazionalisti" di Torino "La passione e l'algebra. Amadeo Bordiga e la scienza della rivoluzione" del 1994.
In pochi mesi tra l'estate del 1998 e l'inizio del 1999 hanno visto la luce ben quattro pubblicazioni, di cui una di largo respiro su "Amadeo Bordiga nella storia del comunismo", che apportano nuovi significativi elementi alla conoscenza del pensiero e dell'azione politica del grande rivoluzionario partenopeo. In "Amadeo Bordiga: intellettuali e socialismo (1912-1926)" Edizioni Bi-Elle, Riccardo Tacchinardi, già autore di una documentata rassegna sui teorici del capitalismo di stato, si dedica ad approfondire il ruolo degli intellettuali nel movimento operaio del primo Novecento con particolare riguardo alle origini della sinistra comunista italiana. L'autore ricostruisce efficacemente la polemica tra Bordiga e Tasca, esponente di punta dei cosiddetti "culturisti", al IV Congresso Nazionale della FGSI nel settembre del 1912, così come la puntuale opera di demistificazione del trasformismo proprio dell'intellettualità piccolo-borghese all'interno della crisi del riformismo giolittiano su cui il giovane rivoluzionario napoletano fonda la propria incessante opera di denuncia degli inganni della democrazia radicale di stampo massonico e bloccardo e delle compromissioni con questa da parte della direzione riformista del PSI. Un secondo breve lavoro è poi dedicato a ricostruire i nessi fra intellettuali, piccola borghesi e politica culturale del Partito Comunista d'Italia per il periodo 1921-1926 con particolare riguardo al dibattito interno al partito fra Bordiga e la componente ex-ordinovista vicina a Gramsci.
Sempre per le edizioni Bi-Elle , Fausto Bucci e Paolo Casciola, quest'ultimo animatore dei Quaderni Pietro Tresso e autore di numerosi studi sulla storia del trotskismo italiano, presentano una raccolta di dieci lettere scritte da Amadeo Bordiga ad alcuni compagni fuoriusciti in Francia. Redatte negli anni 1925-26 a cavallo del Congresso di Lione e finora inedite, le lettere testimoniano della persistente convinzione di Bordiga di potere, nonostante la sconfitta di Lione, ritornare prima o poi alla guida del partito. Sulla base di tale convinzione, l'ex leader del PCd'I, assume un atteggiamento attendista, invitando i compagni a evitare, in attesa di tempi migliori, considerati prossimi, tanto "la rottura come l'imbottigliamento".
Una posizione, per gli autori, "sostanzialmente passiva" e destinata a sicura sconfitta che spiegherebbe il rifiuto di Bordiga all'indomani del congresso di Lione della proposta dei suoi seguaci milanesi di prendere pubblicamente le distanze dal gruppo dirigente "centrista" e di mettersi alla testa di una vera e propria frazione di sinistra che si battesse per la riconquista del partito.
Con "Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945)", Edizioni Colibrì, Arturo Peregalli e Sandro Saggioro tentano di colmare il vuoto di notizie esistente sulle attività di Bordiga nel periodo di assoluto silenzio intercorrente fra la sua espulsione dal PCd'I nel 1930 e il 1945.
Un periodo di oltre quindici anni, che gli autori cercano di ricostruire attraverso un'attenta disamina dei testi esistenti, dei giornali d'epoca e di una sistematica attività di ricerca presso l'Archivio Centrale dello Stato. Ne emerge la figura di un uomo chiuso in un volontario e ostinato isolamento, profondamente convinto, almeno a partire dall'inizio degli anni Trenta quando erano ormai sfumante le illusioni, fino ad allora tenacemente coltivate, nella possibilità che un "miglioramento in senso rivoluzionario della situazione generale internazionale" rendesse possibile "rettificare la linea dell'Internazionale" (vedi la lettera "ai compagni" in data 27 luglio 1926 pubblicata da Bucci e Casciola), dell'inutilità di ogni azione politica contingente. Un rifiuto dell'azione che si protrae a quasi tutto il 1945 (gli autori testimoniano dei difficili rapporti con il Partito Comunista Internazionalista costituitosi nel Nord attorno a Damen e a cui comunque Bordiga non aderirà formalmente mai, neppure dopo la rottura del 1952 e la nascita del "Il Programma Comunista") nonostante l'intensificarsi della lotta operaia in forme certo spesso raccordate alla lotta armata antifascista, ma anche con rilevanti manifestazioni di autonomia di classe. Un silenzio e un'incomprensione che di fatto contribuiscono fortemente a mantenere gli internazionalisti ai margini del movimento reale e agevolano non poco l'opera di calunnie e di falsificazioni degli stalinisti.
Di respiro più complessivo è l'opera collettiva "Amadeo Bordiga nella storia del comunismo" curata da Luigi Cortesi per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane, che raccoglie i materiali più significativi presentati ad un "incontro di studio" tenutosi a Bologna nel 1996. Dopo una lunga e ricca introduzione del curatore che tenta un profilo storico complessivo della figura e dell'opera di Amadeo Bordiga, i saggi raccolti nel volume trattano soprattutto del periodo intercorrente tra il 1911 e il 1926 e dell'intreccio tra guerra imperialistica, rivoluzione proletaria e controrivoluzione fascista e staliniana che segna indelebilmente l'epoca e nel quale la generazione politica di Bordiga si forma e svolge un'azione di primo piano.
Fondatore e principale dirigente del Partito Comunista d'Italia, esponente di spicco dell'Internazionale Comunista, Amadeo Bordiga rappresenta anche, nonostante le censure e le rimozioni interessate, una delle principali voci del marxismo del Novecento e uno dei meriti non secondari di questo volume consiste proprio nell'attenzione minuziosa posta a ricostruire nei suoi snodi fondamentali la lettura bordighiana del "Capitale" e la sua applicazione coraggiosa e controcorrente all'analisi del mito dell'URSS staliniana e del "falso socialismo" sovietico.
Un "lavoro", questo, che egli stesso definirà di minuziosa "restaurazione della dottrina marxista", svolto a partire dal 1945 per più di venticinque anni, fino alla sua morte nel 1970, nella ferma convinzione "dell'invarianza del marxismo" e nella attesa della inevitabile riapertura di una fase storica favorevole. Ma questa, come affermano due degli autori citati, "è un'altra storia" che attende ancora il suo narratore.
G.A.
L'Internazionale, gennaio 2000