il programma comunista, n. 13, luglio 1958
Ci piace ripresentare, e ogni tanto lo facciamo, certi articoli apparsi su "l programma comunista" degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Alcuni sono proprio brevi note o incisi, spesso legati alla attualità e ad episodi dell'epoca oggi completamente dimenticati, ed anche il loro commento è quindi condannato al dimenticatoio.
Ad esempio questo inciso è legato agli strascichi della rivolta ungherese del 1956, con la condanna a morte di Nagy ed altri capi della rivolta, "farsa sanguigna", appunto .
Ma questa breve paginetta è un maglio pesante e possente di metodo e di analisi marxista su fatti quotidiani e questo è il senso della sua riproposizione.
Farsa sanguigna della nemesi storica
Ancora una volta nella storia imbelle del XX secolo, che i futuri annoteranno come uno dei più stolti dell'umanità, vediamo trattare la storia con la S grande con i criteri che dettano le sentenzine del giudice conciliatore o le penitenze del confessore di villaggio.
Questo secolo sarebbe stato percorso da una serie di ondate morali e giustiziali che avrebbero cancellato gli attentati di delinquenti ed assassini della politica. Il risultato di queste crociate rivendicatrici e riscattatrici per mezzo secolo è che sempre più ci sentiamo in una società di uomini lupi all'uomo.
La bolsa filosofia, ormai sbandierata da tutti i partiti, della incolume dignità della persona individua, fa sì che ci muoviamo in un brulicame di individui che non vedono limite al soggettivo cinismo e allo sfogo della loro sopraffazione sul vicino.
Come marxisti segniamo la nostra non solo separazione ma illimitata diametrale lontananza dalla stolta incanata per le esecuzioni di Nagy e degli altri capi della rivolta antisovietica ungherese, che con la testa hanno pagata la loro sconfitta contro una forza superiore, mentre le forze del crociatismo morale stavano a guardare nella infinita loro ipocrisia, e a loro volta tradivano un salvacondotto che sotto forma della ideologia filistea del «mondo libero» avevano illusoriamente rilasciato.
Come Marx rispondiamo a questi che piangono quando la lotta politica passa su un cadavere - mentre mille esempi antichi e nuovi mostrano che per salvare il loro potere e interesse sono ben pronti a cadaverizzare - che la storia ha proceduto, e soprattutto avanzato, per la via maestra di sacrificare gli individui, moltitudini di individui.
Essa lo ha fatto, e noi consideriamo la questione, senza il soppesamento del processo personale mortale, religioso e legale che sia, pubblico o meno.
Per un marxista si tratta di schierare socialmente la potenza dello Stato russo e quella della ungherese rivolta senza speranza, che fu come solo poteva essere dopo i decenni di degenerazione opportunista e di impestamento piccolo-borghese delle ultime risorse rivoluzionarie dei lavoratori; fu come poteva essere, senza probabilità di successo e senza dignità di programma.
Lo Stato di Mosca esprime oggi e da decenni una potenza che opera alla conservazione del sistema capitalistico e non una potenza della rivoluzione comunista. Se fosse un problema di diritto, ma non è, gli andrebbe negato quello di reprimere controrivoluzioni. Ma non si tratta di amministrare diritto, bensì di dare definizioni storiche. Lo Stato di Mosca non ha ucciso per salvare il comunismo di domani, di cui è uno speciale e fiero nemico; ma neppure il processo alle intenzioni che scartano anche il conciliatore e il curato, si tratta di fare. Ha ucciso perchè la sua inerzia storica, che non è da tempo proletaria e rivoluzionaria, ma mammonistica e potenzialistica, ve lo ha condotto.
I ribelli ungheresi non rappresentavano un riscatto dal tradimento del Cremlino, ma una esasperazione della sua degenerazione storica e politica, in una forma popolare democratica e di pluripartitistico borghese scimmiottamento.
Non facciamo il solito identismo impotente; le due forze in urto non erano la stessa cosa e la vicenda non fu di effetto indifferente, perchè nessuna vicenda di lotta di moltitudini lo è; sarebbe seguire la fallacia di quelli che negano il moto dei popoli di colore o arretrati.
Ma, come dicemmo allora, in Ungheria non vi è un proletariato arretrato, e vi fu, vittorioso per poco, un magnifico partito comunista, glorioso in dottrina quanto in organizzazione e sui fronti della guerra sociale.
Le malefatte dei russi non giustificano il fare ritornare un simile proletariato alle smancerie del '48 e ai circoli Petofi.
Ma chi misurerà mai la impudente sfrontatezza nostrana di coloro che applaudono alle impiccagioni degli insorti che agivano nel circolo Petofi , mentre cantano l'inno di Mameli, e alzarono, facendo arrossire quella stessa faccia, a simbolo schedaiolo la faccia di Garibaldi? Perchè storicamente Garibaldi, Petofi, Mameli e il '48 furono altissimi; questa gente di oggi odora di sterco.
il programma comunista, n. 13, 5-19 luglio 1958