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archivio > Articoli su Bordiga>Giorgio Galli, L' "invarianza" di Amadeo Bordiga, (Critica Sociale, settembre 1970)

aggiornato al: 13/02/2008

Critica Sociale, n. 16-17, 5 settembre 1970

Giorgio Galli è un politologo noto ed affermato. Nei primi anni cinquanta scrisse una "Storia del partito comunista italiano" in cui per la prima volta riemergeva dall'oblio e dalla voluta rimozione il ruolo della sinistra comunista e di Amadeo Bordiga.

Giorgio Galli che, all'epoca in cui scrisse la sua "Storia del PCI", non conosceva Bordiga scrive che: «In seguito, però fui curioso di conoscere le persone di cui avevo narrato valutandone solo gli scritti, e in particolare mi interessava il parere di Bordiga sul modo in cui avevo raccontato le origini del Pci. Andai a trovarlo a Napoli, nella sua casa piena di fotografie e di gatti, e in seguito lo incontrai di nuovo quando i suoi compagni del Partito comunista internazionalista mi invitarono a seguire le lezioni di economia che periodicamente teneva a Milano. Bordiga fu molto cordiale, espresse un giudizio positivo sul nostro libro, ma ne parlò pochissimo. (...) Lo stile delle sue lezioni  - puntuali analisi dell'evoluzione del capitalismo occidentale e del «capitalismo di Stato» dell' Urss, alle quali analisi tuttavia non seguiva alcuna conseguenza operativa - mi persuasero che mi ero imbattuto in un gruppo di "vecchi credenti", più che in un autentico movimento politico. Per contro, il più autorevole degli "internazionalisti", Bruno Maffi, mi disse esplicitamente che mi riteneva un dilettante colto "che si interessava di marxismo come avrebbe potuto interessarsi di ippica"». (Giorgio Galli, Passato prossimo,Kaos edizioni, Milano, 2000, pp. 18-19).

Qui riproponiamo un articolo di Giorgio Galli su Bordiga comparso su «Critica Sociale» del settembre 1970 a breve distanza quindi dalla morte di Bordiga a Formia;  ad esso facciamo seguire la prefazione al libro di Amadeo Bordiga «Russia e rivoluzione nella teoria marxista» pubblicato nel 1975 dalle «Edizioni il Formichiere» di Milano; il libro sarà poi riedito in veste anonima, come testo di partito, dalle «edizioni il programma comunista» nel 1990.

Giorgio Galli aveva già steso la prefazione ad un'altro lavoro di Amadeo Bordiga (anche questo apparso con il nome e cognome dell'autore) «Struttura economica e sociale della Russia d'oggi», apparso nel 1966 ad opera della «Editoriale Contra» di Milano.

 

 

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L' «invarianza» di Amadeo Bordiga

 

Amadeo Bordiga si è spento a cavallo di un periodo che avrebbe potuto consentirgli una estrema verifica delle tesi che aveva tenacemente sostenuto per quasi sei decenni nel movimento comunista internazionale.

E' il periodo caratterizzato, alla fine degli anni sessanta, da una ripresa di posizioni rivoluzionarie sul piano teorico e contemporaneamente da una certa ripresa di lotte operaie. Un periodo i cui primi documenti di tipo nuovo sono quelli che emergono dalla situazione scolastica e dal movimento studentesco; e che presentano singolari analogie con uno dei primi testi che già nel lontano 1912 esprimono la posizione di Bordiga nel movimento socialista.

Siamo al Congresso di Bologna della federazione giovanile socialista, contemporaneo a quello di Reggio Emilia del PSI che segna la vittoria di quella tendenza di sinistra massimalista/rivoluzionaria che ha il suo capofila in Benito Mussolini.

Anche a Bologna la sinistra si caratterizza con un documento alla cui redazione Bordiga contribuisce in modo determinante e che afferma: «Il congresso, considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un'arma potente e di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani una educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le essenziali contraddizioni; rilevando quindi il carattere artificioso della cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola in senso laico o democratico; riconoscendo che scopo del movimento nostro è contrapporsi ai sistemi di educazione della borghesia, creando dei giovani intellettualmente liberi da ogni forma di pregiudizio, decisi a lavorare alla trasformazione delle basi economiche della società, pronti a sacrificare all'azione rivoluzionaria ogni interesse individuale... crede che, come i giovani troveranno in tutte le agitazioni di classe del proletariato il terreno migliore per lo sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni operaie potranno attingere dalla attiva collaborazione dei loro elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può e deve salvarle dalle degenerazioni utilitarie e corporativiste; afferma in conclusione che l'educazione dei giovani si fa più nell'azione che nello studio regolato da sistemi e norme quasi burocratiche».

E' facile scorgere in queste formulazioni analogie chiarissime con le posizioni del movimento studentesco nel 1967/68 contro la scuola di classe, contro le riforme in senso laico e democratico, per il trasferimento nell'agitazione di classe della prassi inizialmente avviata nell'università.

Ma proprio a questo punto si ripropone, nel 1969/70, quel tema della saldatura tra posizioni rivoluzionarie d'avanguardia e movimento di classe nel suo complesso, che è sempre stato il problema impostato, ma non risolto, dalle tendenze di sinistra del movimento socialista prima e comunista poi, tendenze tra le quali quella che ha preso il nome da Amadeo Bordiga appare forse la più lucida e conseguente sul piano logico.

Saldatasi coi gruppi vecchi e nuovi della sinistra (dal libertarismo al marxismo-leninismo), l'avanguardia formatasi nel movimento studentesco è il fermento iniziale, nell'autunno-inverno 1968/69, della ripresa delle lotte operaie nelle fabbriche: Ma questa ripresa, al suo massimo sviluppo, un anno più tardi, viene controllata e gestita dai sindacati, mentre sul piano politico la nuova sinistra extra-parlamentare non riesce a fare delle lotte di massa una condizione efficace per porre solide radici nelle fabbriche.

Anche perchè questa nuova sinistra si presenta divisa in una molteplicità di componenti, le distinzioni tra le quali sono sovente inafferrabili non solo dagli operai, ma sinanco dai loro militanti, così come diviso in piccoli tronconi si presenta la tendenza che nel 1945 si era riorganizzata proprio attorno ad Amadeo Bordiga col nome di partito comunista internazionalista.

In questo senso l'esperienza della nuova sinistra e dello stesso cosiddetto bordighismo della fine degli anni sessanta rimane molto al di qua di quella della sinistra italiana che ebbe in Bordiga il teorico ed il leader, espressioni che egli profondamente disprezzava, ma che valgono, comunque, a definire un ruolo.

La sinistra italiana, infatti, esercita una influenza politica importante prima nell'ambito del partito socialista e poi nel processo di fondazione del partito comunista d'Italia e nei dibattiti che si svolgono all'inizio degli anni venti, nella Terza Internazionale. Riesce ad essere una forza politica certamente minoritaria nel movimento di classe, ma ad esso saldamente collegata ed accumula un patrimonio di esperienze teorico-pratico di vasta portata che filtrando attraverso i decenni, giungeranno come si è detto, alla nuova sinistra degli anni sessanta.

Ma questa sinistra non riesce ad arrivare allo stesso livello di consistenza politica ed organizzativa. Né il Bordiga degli ultimi anni sembra in grado di dedicare ad un fenomeno che pure si ricollega, nella modalità di partenza, alle sue prime esperienze politiche, riflessioni che non siano la ripetizione di un connotato fondamentale di quello che è stato definito bordighismo e che probabilmente rappresenta anche il suo limite.

Questo connotato è quello che lo stesso Bordiga definì la «invarianza» del marxismo. Egli la richiamò nel 1963, nella presentazione del documento del 1912, allorché, riferendosi alla posizione diversa dalla sua rappresentata a quel congresso soprattutto da Angelo Tasca, affermò: «Oggi, oltre a confermarci che le (nostre) argomentazioni partivano da genuina posizione marxista, possiamo verificare che si ebbe allora (nella posizione di Tasca) un manifesto avanti lettera dell'ordinovismo di marca torinese... e del sistema che vede il socialismo costruito entro la fabbrica e lo stato capitalista - nuova versione dell'opportunismo e del collaborazionismo di sempre. La 'invariante' dottrina di Marx permise di vedere il punto nello stesso modo a cavallo di mezzo secolo... Gramsci ha poi riconosciuto in Tasca... il precursore del suo sistema, malgrado il successivo dissidio».

Bordiga ha descritto in testi bellissimi in che cosa consista la «invarianza» del marxismo, il nucleo di una concezione che persiste oltre tutte le interpretazioni e i revisionismi. Ma - forse con la eccezione del 1920/21 - non ha mai voluto attribuire importanza al fatto che nel movimento politico reale confluiscono interpretazioni diverse, anche tra i rivoluzionari, di quella stessa «invarianza». O forse più esattamente: Bordiga ha attribuito importanza a questo fenomeno, ma solo come fenomeno negativo. Ha sempre ritenuto che il ribadire i principi dell'invarianza (il programma) sia la modalità tipica dell'azione politica rivoluzionaria. E infatti coi suoi compagni chiamò «il programma comunista» l'organo di coloro che rimasero con lui dopo la prima scissione del partito comunista internazionalista nel 1951.

Il processo storico, l'azione di classe, può portare alla fusione su posizioni in senso lato rivoluzionarie, di gruppetti con esperienze teoriche e pratiche diverse. Questa è l'esperienza reale della rivoluzione russa tra il febbraio e l'ottobre del 1917 ed è anche l'esperienza del processo di formazione nel Partito comunista d'Italia. E appunto in questo stesso periodo Bordiga sembra fare una eccezione alla sua rigidità interpretativa, accettando un processo di fusione con gli ordinovisti e con altre componenti della sinistra socialista.

Se questa era la situazione attorno agli anni venti, essa è divenuta enormemente più complessa mezzo secolo più tardi.

La parziale riscossa della sinistra nella seconda metà degli anni sessanta è avvenuta all'insegna dei «gruppetti». Erano questi, le sole micro-istituzioni rimaste alla sinistra rivoluzionaria dagli anni della involuzione e dissoluzione della Terza Internazionale. Se i «gruppetti» erano la realtà, questa realtà era però suscettibile di una evoluzione  nel senso della progressiva convergenza o della ulteriore proliferazione.

Ha prevalso questa seconda tendenza, come in altri momenti importanti della storia della sinistra europea dopo gli anni venti. Allo studio delle cause di questa prevalenza nessuno mi pare si sia accinto ed uno degli uomini più dotati per farlo, Amadeo Bordiga appunto, riteneva che il problema non esistesse, che fosse risolto dall'affermazione della «invarianza» del marxismo, dei suoi principi, del suo programma. Ha affidato questa sua convinzione ad una scadenza, alla metà degli anni settanta, per i quali ha previsto il maturarsi di una nuova gigantesca crisi dell'equilibrio  europeo. Ci lascia dunque un punto di riferimento sufficientemente preciso e sufficientemente vicino per verificare la validità di una posizione e di una interpretazione che ha sostenuto, con coerenza unica, in oltre sessant'anni di impegno politico.

 

Giorgio Galli

 

Critica Sociale, n. 16-17, 5 settembre 1970

 

 

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Prefazione a:

«Russia e rivoluzione nella teoria marxista»

[Edizioni il Formichiere, Milano, 1975]

 

E' difficile presentare l'opera di Amadeo Bordiga. Segretario del Partito comunista d'Italia fondato a Livorno nel 1921, ha avuto una parte rilevante in un momento cruciale della storia italiana; la sua opera di teorico marxista ne fa una delle figure eminenti tra i continuatori di Marx a livello mondiale. Ma di Marx egli si considera un semplice ripetitore. Sostituito da Antonio Gramsci alla direzione del partito, arrestato e confinato durante i primi anni della dittatura fascista, ha lavorato nel secondo dopoguerra con un gruppo di compagni costituitisi in Partito comunista internazionalista. Con loro (ma col suo contributo preminente) elaborò una Storia della sinistra comunista, pubblicata negli Anni Sessanta, nella quale definì il rapporto tra individuo singolo e movimento politico in una frase che vale l'intero saggio di Plechanov (il maestro di Lenin) sul ruolo della personalità nella storia.

«Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli uni e gli altri perchè da noi considerati non già come espressione di idee e di opinioni personali, ma come testi di partito... al quale non si addice nessuna etichetta di persona e che non solo non comporta, ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata, quella intellettuale.» Eppure, quando la seconda metà degli Anni Sessanta ha visto, in Italia, una ripresa di esperienze, di lotte,  di riflessioni che si riallacciavano alla tradizione del marxismo rivoluzionario, una parte di questa ripresa, una parte dei giovani e dei militanti che l'hanno vissuta, è collegata proprio al nome e alla impostazione di Amadeo Bordiga. Non al movimento nel quale egli ha lavorato nell'ultimo periodo della sua vita dal 1945 al 1970, ma all'uomo, alla battaglia, alle convinzioni sulla «invarianza» del marxismo, espressi nell'identità umana e nel cervello pensante denominati Amadeo Bordiga.

Egli, evidentemente, disprezzava il termine «bordighismo». Eppure in questo modo è stata definita una esperienza "collettiva" maturata negli Anni Venti e continuata con rigore e coerenza teorica immutati, sino agli Anni Settanta.

Certamente questo legare una esperienza collettiva al nome di una persona può essere considerato un sintomo di arretratezza da parte di chi si afferma coerentemente sulla linea del marxismo rivoluzionario, del "red terror doctor", per usare la qualificazione di Marx che Bordiga prediligeva su ogni altra. Ma, comunque, va constatato il fatto che una serie di gruppi e di militanti presenti nella sinistra italiana negli ultimi anni riferiscono le loro azioni e il loro pensiero all'uomo che, personalmente, diede il maggior contributo alla fondazione del partito comunista.

Quando, oltre vent'anni fa, scrissi un abbozzo di storia del Pci, Togliatti osservò ironicamente, su Rinascita, che in questa storia veniva fatta una scoperta fossile: si riportava alla luce un iguanodonte a nome Amadeo Bordiga. Dieci anni dopo, ricostruendo la formazione del gruppo dirigente del Pci, lo stesso Togliatti così definiva l' "iguanodonte": «Il vero dirigente di tutto il lavoro fu Amadeo Bordiga. Questi era dotato di una forte personalità politica e di notevoli capacità direttive. Aveva svolto per anni un sistematico lavoro di organizzazione della propria frazione in seno al partito socialista e aveva in questo modo acquistato vaste conoscenze e prestigio tra i quadri della sinistra del movimento. Sapeva comandare e farsi ubbidire. Era energico nella polemica con gli avversari, quantunque per lo più scolastico nell'argomentazione. Tutto ciò ebbe come conseguenza che il gruppo fu centralizzato quasi esclusivamente attorno alla sua persona. Si creò la convinzione che egli fosse il vero "capo" di cui il partito aveva bisogno e che lo avrebbe guidato bene, anche nelle situazioni più difficili».

Togliatti era stato tra i giovani dirigenti più legati a Bordiga: era stato tra gli ultimi a staccarsi da lui, nel 1923/24, per diventare il luogotenente di Gramsci. Col suo scritto degli Anni Sessanta, il segretario del possente Pci restituiva ad Amadeo Bordiga il ruolo e la funzione che erano stati suoi vent'anni prima. L'accurata Storia del partito comunista  di Paolo Spriano ha continuato ed approfondito questo indirizzo: i giovani militanti della fine degli Anni Sessanta vedono dunque in Bordiga il fondatore e il capo del primo e rivoluzionario partito comunista.

Il perchè Bordiga, che capì per primo, prima di Trockij, le ragioni e la dinamica dell'involuzione della III Internazionale, non abbia voluto continuare la lotta politica fuori d'Italia negli anni del fascismo, rimane per me un problema ancora da chiarire. Ancora nel 1926, Bordiga avrebbe potuto fermarsi a Mosca, avere un posto di rilievo in quella Internazionale nella quale la sinistra manteneva il diritto di esporre le sue ragioni; non accettò. Di passaggio a Berlino, gli fu proposto da compagni della sinistra di alcuni partiti di fermarsi nella capitale tedesca, di guidare una frazione del Comintern che avrebbe potuto costituire un alternativa rivoluzionaria allorché la prevista involuzione della III Internazionale avrebbe assunto caratteristiche irreversibili; Bordiga non accettò; tornò in Italia per farsi arrestare; durante gli Anni Trenta esercitò la sua professione di ingegnere; il gruppo dirigente comunista nell'emigrazione poté così sostenere che, mentre Gramsci moriva nelle galere di Mussolini, Bordiga poteva circolare libero in Italia, «come una qualsiasi canaglia fascista».

Ho incontrato poche volte Bordiga. Nella prima di queste, nella sua vecchia casa napoletana, gli chiesi se potesse chiarire le ragioni di quel comportamento. Sorrise e scosse la destra. Disse semplicemente che allora «non c'era niente da fare». Una risposta che non dice nulla, ma potrebbe dire tutto.

A Bordiga è stato attribuito una sorta di fatalismo, di essere un determinista, per usare uno degli aggettivi più comuni nella terminologia marxista. Forse Bordiga era perfettamente conscio del lungo periodo di involuzione che nel 1926 si preparava per il movimento comunista. Forse ha preferito il distacco e la riflessione nell'isolamento in Italia alla estenuante lotta delle sette che ha amareggiato gli anni di Trockij, profeta esiliato.

Anche questo libro - una raccolta di scritti elaborati a partire dal 1954 - ha l'obiettivo di tratteggiare l'invarianza del metodo marxista, (definito una volta per tutte, come Bordiga ebbe a scrivere altrove, nella mezzeria dello scorso secolo) nei confronti di nuove elaborazioni interpretative dalle quali prendevano avvio teorico vari gruppi della sinistra degli Anni Cinquanta.

«Scopo di questo studio» - scrive Bordiga - «è la difesa della spiegazione determinista delle vicende storiche che hanno avuto per teatro la Russia, allo stesso titolo per cui è valida negli altri paesi. Si tratta di confutare la controtesi che il marxismo sia un metodo applicabile nella Europa di occidente, ma cada in difetto in Russia e in altri paesi europei arretrati o in Asia... Si tratta di confutare... la controtesi che i fatti di Russia abbiano portato alla luce rapporti sociali e dati storici inediti e che quindi, non essendo stati noti a Marx ed ai marxisti di occidente, comportino una revisione... Alla sorpresa storica per gli accadimenti di Russia arrivano tutti, da tutti i lati. I borghesi vi arrivano perché scardina l'arma marxista nelle mani del proletariato di occidente, lo attira ad altre edizioni crociatistiche contro un pericolo slavo o giallo o nero - o dispotico, terroristico, dittatoriale, soffocatore della Persona. Gli stalinisti vi arrivano per sostenere che malgrado le previsioni contrarie di Marx e di Lenin e di tutti i marxisti, senza la rivoluzione d'occidente la Russia è passata al pieno socialismo economico. E perfino gli antistalinisti come i trotzkisti e altri gruppi sparuti e sperduti vi arrivano soltanto fuori dallo "schema" di scuola e dando la colpa della degenerazione rivoluzionaria sovietica a forme che confondono colle classi, coi partiti, collo stato, all'abuso del potere, al privilegio della burocrazia, a complicanze che il ricettista Marx avrebbe avuto il torto di non sognarsi neppure.»

Bordiga, dunque, si è vissuto soprattutto come un "ripetitore" di Marx, contro le innovazioni e i revisionismi di "gruppi sparuti e sperduti", conseguenza della situazione oggettiva che egli descrive. Ma come si supera questa situazione oggettiva attraverso l'assorbimento da parte della classe operaia e del partito che la esprime della "invarianza" marxista? Ecco la risposta che dà Bordiga in questo testo:

«Allora non crediamo con fede inconcussa nella immancabile rivoluzione proletaria? Solito modo di porre la cosa! La diciamo a cento passi immancabile, sulla base di una ipotesi comune all'avversario: che continui lo sviluppo delle forze produttive nelle forme e entro l'involucro capitalista, che in tal caso dovrà scoppiare. Ma ogni previsione è condizionata. Tutti gli antichi oracoli si leggevano in due modi: e noi non pretenderemo mai ad oracoli. La profezia non è per il fesso.  E per fesso non s'intende chi di cervello ebbe poca razione in retaggio, ma chi è inchiodato al determinismo di interessi di classe, e anche di classe di cui non è membro. Sciogliamo dunque, o Edipo, questo nuovo incapsulato vero!».

E' una frase che appare (l'aggettivo è appropriato) sibillina. Affida al lettore la comprensione di un testo che risulta a due livelli. Il primo livello è una storia russa accompagnata da una tipologia delle rivoluzioni (borghese e proletaria): è una analisi di vigoroso stile marxista. Il secondo livello è quello che tutti i paradigmi della scienza (marxismo compreso) incontrano sul loro cammino: il livello della previsione condizionata.

 

Giorgio Galli