Cerca nel sito



 


archivio > Articoli su Bordiga>Nicola Tranfaglia, Non vedeva differenze fra Turati e Mussolini (La Repubblica 29-30 maggio 1977)

aggiornato al: 12/12/2007

La Repubblica, 29-30 maggio 1977

Continuando la pubblicazione di articoli su Amadeo Bordiga usciti sulla stampa (di vario tipo), riproponiamo questo breve ma interessante scritto di Nicola Tranfaglia apparso nel 1977 sul quotidiano «La Repubblica».

La citazione in cui si tratta di "calci in culo a santa democrazia" è tratta da "Che cosa vale una elezione" articolo di Bordiga apparso su L'Unità del 16 aprile 1924; (al lettore trovare le fonti delle altre citazioni!).

 

 

 

Non vedeva differenze fra Turati e Mussolini

 

Qualche mese prima del delitto Matteotti e della crisi che ne consegue, Bordiga pubblica su Prometeo due articoli su «Il movimento dannunziano» che contengono la sua definizione più comprensiva e anche suggestiva del fascismo. Esso, scrive il leader napoletano, «costituisce una  "mobilitazione" delle classi medie ed intellettuali operata da parte ed a beneficio dell'alta borghesia industriale, bancaria ed agraria... Al centro dell'organizzazione fascista si trova l'affarismo e il parassitismo padronale, e la macchina statale, per quanto apparentemente dedita alle manovre di sinistra del nittismo parlamentare, alla periferia  tutto quel misto di idealismi e di appetiti, caotico ed informe, del quale nulla di meglio le classi intermedie sapranno mai portare sul terreno del conflitto sociale».

Colpiscono nella definizione alcuni elementi di fondo: l'attenzione al ruolo ambiguo, fondamentalmente parassitario della piccola borghesia; la individuazione della macchina statale  come alleato effettivo del sovversivismo fascista; il rapporto distorto tra l'idealismo, pur esso ambiguo, della base e il cinismo del vertice del movimento di Mussolini. Insomma un'articolazione analitica, che pochi vorrebbero ancor oggi riconoscere al fondatore del P.C.d'It. e che si compendia nel riconoscimento - raro a quei tempi, soprattutto nella sinistra italiana - del carattere «industriale e moderno», pur tra tante sopravvivenze di vecchio e di arretrato, del fenomeno fascista. Il che apriva la strada ad intuire già nel '24, quando il nazionalsocialismo pareva sconfitto e in declino nella Germania di Weimar, il carattere necessariamente internazionale (e non specificamente italiano) del fascismo.

Né si tratta di una luce isolata nell'elaborazione ideologica bordighiana. Tra il '23 e il '24 appaiono altri scritti che precisano la definizione che abbiamo riportato, le conferiscono uno spessore d'interpretazione storica certo unilaterale ma non priva di una sua capacità di penetrazione, e non solo di provocazione.

Intanto, un'insistenza significativa sulla continuità tra Stato liberale e regime fascista: «Nel fascismo», scrive nell'autunno del 1922, mentre si consuma la collusione tra liberalismo conservatore e fascismo, con la complicità della monarchia, «e nella generale controffensiva borghese odierna non vediamo un mutamento di rotta della politica dello stato italiano, ma la continuazione naturale del metodo applicato prima e dopo la guerra dalla "democrazia"... Non crediamo all'antitesi tra democrazia e fascismo più di quello che abbiamo creduto all'antitesi tra la democrazia e il militarismo». Poi, l'intravedere -pur tra pesanti contraddizioni cui qui possiamo solo accennare - che il fascismo non fosse un fatto effimero: «Tutta la nostra valutazione della situazione politica dall'avvento dei fascisti al potere...convergeva ad ammettere manifestamente una non breve durata del regime fascista...».

Peccato che intuizioni simili coesistessero con una sottovalutazione così radicale delle differenze, pur all'interno del modo di produzione capitalistico, tra la democrazia parlamentare e l'autoritarismo fascista, da condurlo a denunciare una inesistente coincidenza di obiettivi o identità di intenti tra riformismo socialdemocratico e regime mussoliniano, a ritenere del tutto trascurabili, e anzi mistificanti per il proletariato, le libertà civili e politiche garantite, sia pure in maniera imperfetta, dal parlamentarismo borghese, a prorompere quindi in un'invettiva sterile, e tutto sommato autolesionista, dell'opposizione antifascista: «Lungi dal restaurare gli ideali su cui piangono i vari Amendola e Turati, la rivoluzione delle grandi masse proletarie d'occidente li farà assistere ad una satanica girandola di calci nel culo a santa Democrazia, mai vergine e sempre martire. E soltanto quella si potrà chiamare Liberazione» (aprile 1924).

Il fatto è che, al di là delle oscillazioni che si riscontrano nell'uno e nell'altro scritto del periodo che precede il 1930, resta salda in Bordiga la persuasione che possa stabilirsi una identificazione sostanziale tra capitalismo e fascismo: quest'ultimo è anzi il traguardo prevedibile di tutti i sistemi di potere borghesi. All'interno di questo schema la socialdemocrazia gioca un ruolo subalterno, perfettamente complementare ad ogni altro assetto politico ed economico del capitalismo.

E' chiaro, mi pare, che una simile diagnosi si spieghi soltanto se si tiene presente da una parte l'attesa di una rivoluzione socialista imminente almeno in tutto l'Occidente ( e che questo legame sia fondamentale è dimostrato dalla ripresa di suggestioni bordighiste di questo tipo nel '68, quando ai «fascisti borghesi» restavano - secondo gli slogans del «movimento» - ancora pochi mesi, dall'altra la concezione in fondo storicistica e finalistica che era alla base della versione bordighiana del marxismo, per cui al tempo delle democrazie parlamentari doveva seguire necessariamente quello dei fascismi, e dopo ancora quello del comunismo trionfante.

Poiché sia l'una che l'altra premessa appaiono oggi superate da quel che è accaduto nell'ultimo cinquantennio, si può senz'altro concludere che tutto è da buttare via nell'analisi di Bordiga sul fascismo?

Non mi pare proprio. La definizione riportata all'inizio come ha notato anche Franco Livorsi ha una sua, seppur parziale, validità di cui si sono accorti gli studiosi del fascismo in questo secondo dopo guerra. Settarismo, schematismo, anche dogmatismo non vietarono, infatti, al fondatore del partito comunista di cogliere precocemente sia le dimensioni internazionali del fenomeno, sia l'impasto moderno e di antico che era alle sue radici.

 

Nicola Tranfaglia

 

La Repubblica, 29-30 maggio 1977