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archivio > Articoli su Bordiga>Renzo Martinelli, Discutendo su Bordiga (L'Unità, 25 novembre 1975)

aggiornato al: 10/02/2012

L'Unità 25 novembre 1975
Proponiamo oggi un articolo su Bordiga apparso su L'Unità nel 1975. La truculenza stalinista piena di astio e di infamie di qualche anno prima lascia ora il posto, ma il risultato non cambia, al dibattito e poi alla condanna democratica.
 
Discutendo su Bordiga
Una riscoperta, spesso polemica, sull'onda dell'interesse per la storia del PCI
 
 
Si torna a parlare — e a discutere — di Amadeo Bordiga. La «fortuna» — più spesso polemica che storiografica — suscitata periodicamente dalla figura dell'ingegnere napoletano fondatore del PCI, conosce adesso un nuovo sviluppo, sul piano della rivalutazione e della diffusione dei suoi scritti, con la pubblicazione recente di due volumi. Si tratta di una raccolta antologica di «Scritti scelti», curata da Franco Livorsi per l'editore Feltrinelli, e di un ampio saggio («Russia e rivoluzione nella teoria marxista», edizioni Il Formichiere con una prefazione di Giorgio Galli) in cui Bordiga espone la propria interpretazione della genesi e del significato della Rivoluzione d'Ottobre.
La «fortuna» di Bordiga in questi ultimi anni è collegata all'interesse per la storia del PCI, che si è risolto, per alcuni critici «da sinistra» della nostra linea politica, nella riscoperta politica e teorica di Bordiga e del «bordighismo», in contrapposizione all'elaborazione gramsciana. Di qui il carattere prevalentemente polemico di cui parlavo all'inizio: tuttavia, un merito indubbio di questo rinnovato interesse, è stato quello di richiamare l'attenzione su una figura di grande complessità, degna certamente di un rispetto e di una considerazione maggiori di quelli tramandati dalla tradizione. Così, mentre è apparsa rapidamente l'inconsistenza di una «riabilitazione» ideologica, si è iniziata anche per Bordiga un'opera di ricostruzione e di valutazione critica sottratta al peso degli ideologismi e della polemica preconcetta: il risultato più notevole in questa direzione è dato, ci sembra, dal saggio di Franco De Felice («Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia», Bari, 1971) che affronta per la prima volta l'esame dell'elaborazione politica e delle forme organizzative bordighiane nell'ambito della crisi vissuta dall'Italia negli anni cruciali del primo dopo guerra.
Adesso, questa riproposizione degli scritti di Bordiga può dare, ci sembra, un impulso notevole al proseguimento della ricerca, fornendo materiali e documenti di non facile reperibilità e di notevole interesse. Ci riferiamo in particolare agli «Scritti scelti» curati da Livorsi, che presentano per la prima volta una antologia abbastanza vasta di tutta la produzione di Bordiga, dagli inizi della sua attività politica alla morte: elemento di novità da non sottovalutare, che tende a configurare nella completezza della sua parabola, senza censure politiche, il pensiero di Bordiga, e arricchisce la raccolta di «pezzi» importanti (come la lettera a Korsch del 1926). Il saggio introduttivo di Livorsi non si limita, conseguentemente, alla ricostruzione biografica, ma cerca di tracciare un'interpretazione complessiva della figura di Bordiga, quella, cioè, che ancora manca (anche lo studio sinora più esteso, quello di Andreina De Clementi, uscito nel 1971 come espressione più compiuta della tendenza a rivalutare Bordiga «da sinistra», si ferma al 1930, al momento del distacco definitivo dal Partito e dall'Internazionale).
 
Schematismo
Il compito si presentava molto arduo, il risultato mi sembra si presti a qualche osservazione critica, sul metodo e sugli approdi cui perviene Livorsi. In sostanza, non credo si possa prescindere, per un'analisi che voglia ricomporre nella sua unità la figura di Bordiga da una ricerca precisa dei nessi e dei rapporti tra i suoi scritti e la situazione in cui nascono e agiscono, nei diversi periodi storici; questa ricerca non piò limitarsi alle singole posizioni politiche, valutate volta per volta indipendentemente dal peso della realtà sociale e delle organizzazioni che ne fanno parte, perchè esse finiscono, in questo modo, per apparire prive di una ragione profonda che non sia puramente teorica. Per questo le «schematiche indicazioni» espresse da Livorsi su «ciò che è vivo e ciò che è morto nel pensiero politico di Bordiga» non convincono molto, e si riducono alla fine ad accreditare l'immagine di un grande teorico e pessimo pratico alquanto discutibile.
Il punto è che il rapporto tra analisi e azione politica, o come dice Livorsi, tra diagnosi e terapia, non si può sciogliere troppo disinvoltamente, tracciando una linea netta di divisione tra i due piani: l'affermazione togliattiana che «quando si sbaglia nell'analisi, si sbaglia anche nell'orientamento politico» ha un troppo grande valore, di metodo e di sostanza, per potersene dimenticare. Nello studio della figura di Bordiga il procedimento da usare ci sembra dunque quello di collegare costantemente alla prassi la teoria di Bordiga — applicando anche in questo caso, naturalmente, l'analisi differenziata — in tutte le fasi del suo sviluppo. Crediamo che ne risulterebbe un Bordiga che non è sempre uguale a se stesso, che nell' «invarianza» del suo marxismo e nella rigidezza deterministica della sua logica, presenta continuità e discontinuità molto più accentuate di quanto si crede, almeno finché mantiene un rapporto organico con la esperienza politica.
 
L'ideologia
Il periodo successivo alla espulsione dal Partito appare invece come il luogo di cristallizzazione — e anche di deformazione semplicistica — di questa esperienza politica, come la sua «ideologizzazione», sia dal punto di vista della teoria, sia da quello della pratica. Mentre il bordighismo conferma ancora di essere (è la sua caratteristica fondamentale) un' «ideologia di frazione» la sua teoria politica ripropone perennemente la esperienza compiuta dal PCd'I. negli anni che vanno dalla fondazione al 1923, come il paradigma dell'azione rivoluzionaria, valida in ogni circostanza. Si tratta della codificazione teorica di una prassi politica storicamente determinata, assunta a «modello» universale: un procedimento tipico dei più nefasti processi di ideologizzazione della storia del movimento operaio.
Non si comprende allora su che cosa si basi la fama di teorico di Bordiga, e il secondo volume citato all'inizio («Russia e rivoluzione nella teoria marxista») non offre grandi appigli. In verità, per giustificare la definizione di «continuatore di Marx a livello mondiale» formulata da Giorgio Galli nella prefazione. Si tratta di un lavoro che esemplifica la «restaurazione» della dottrina marxista operata da Bordiga impostando lo studio della Rivoluzione d'Ottobre sulla base delle analisi della situazione sociale e politica della Russia tracciate da Marx ed Engels. L'opera si ferma prima di affrontare direttamente il tema, che è svolto compiutamente in un volume di successiva stesura (ma pubblicato nel 1966), col titolo «Struttura economica e sociale della Russia d'oggi»: la tesi, chiaramente espressa anche in questa prima parte, è che la mancata rivoluzione in Occidente negli anni Venti ha impedito lo sviluppo in senso socialista della società sovietica. Ma più che questa posizione, non nuova, come si vede, interessa rilevare come ancora una volta, sullo sfondo della trattazione, appare l'esperienza del PCd'I. diretto da Bordiga; si tratta in realtà, più che di una confutazione delle tesi «staliniste», di un tentativo di trovare nelle vicende internazionali, interpretate dalla teoria «restaurata», la giustificazione delle proprie posizioni, politiche prima che teoriche.
Quanto ciò sia lontano dal marxismo ci sembra evidente, ma il problema che questi scritti e queste discussioni ripropongono è un altro, di carattere politico, appunto: quanto ha contato il «bordighismo» nella storia del movimento operaio internazionale? Quanto, cioè, il settarismo di Bordiga si è intrecciato, in una fase della vita del Comintern, con altri elementi, e ha influenzato altri partiti comunisti? Perché, se in un certo periodo i partiti comunisti hanno avuto un Bordiga (si pensi al VI Congresso dell'Internazionale del 1928 — un momento intorno al quale si cerca anche di far riavvicinare Bordiga, nel mutato clima politico, al Partito e all'Internazionale), non tutti hanno poi potuto avere un Gramsci o un Togliatti. Così, per certi aspetti, una riflessione su Bordiga e sul «bordighismo» può aiutarci a comprendere e a valutare anche avvenimenti a noi più vicini.
 
Renzo Martinelli
 
L'Unità, 25 novembre 1975