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archivio > Articoli su Bordiga>Bordiga, grandezza e difficoltà di una esperienza marxista (Prospettiva marxista, gennaio 2009)

aggiornato al: 20/05/2011

Prospettiva marxista, gennaio 2009

Offriamo ai nostri lettori un testo apparso su Prospettiva marxista (nella serie raggruppata sotto il titolo il nemico non visto) nel gennaio 2009 che ci pare interessante e stimolante (anche se non esente da critiche).

Chi si raggruppa sotto la testata Prospettiva marxista proviene (scissione dei primi anni del decennio scorso) da Lotta Comunista, inizialmente come Pagine Marxiste e poi dal gennaio 2005 come Prospettiva Marxista.

 

Bordiga, grandezza e difficoltà di un'esperienza marxista

 

L'opposizione marxista di Amadeo Bordiga alla controrivoluzione stalinista si è basata su alcuni fondamentali elementi di forza.

La sua comprensione della strategia rivoluzionaria bolscevica e delle forze sociali che la sottendono lo porta a rifiutare le spiegazioni della controrivoluzione come inevitabile sviluppo di una rivoluzione che non poteva essere proletaria e socialista. Bordiga, come Trotskij, non perde mai l'aggancio alle prospettive necessariamente internazionali della rivoluzione di Ottobre. Di più, vede correttamente proprio in questa dimensione internazionale, che è la dimensione internazionale dell'imperialismo e della lotta contro di esso, l'orizzonte che sostanzia l'essenza socialista della rivoluzione bolscevica. Che l'opposizione di Bordiga al montante stalinismo si collochi sul piano dell'azione e della natura dell'Internazionale è, quindi, un fatto in profonda coerenza con un elevato tasso di comprensione teorica della dinamica della rivoluzione e delle sue sfide. Inoltre, a differenza e in più rispetto a Trotskij, si possono individuare almeno due aspetti.

C'è una maggiore chiarezza nella percezione del fatto che, in assenza di un congiungimento con il ciclo rivoluzionario internazionale, le linee di sviluppo della situazione russa non possono che indirizzarsi verso condizioni e compiti pienamente capitalistici.

C'è, quindi, la negazione di una burocrazia agente come classe e di una situazione russa rappresentata nei termini di una sorta di socialismo contaminato o di uno stadio che sfugge a quelli definiti dal marxismo.

Questa negazione non rappresenta una schematica argomentazione dottrinaria. Rappresenta un giudizio che scaturisce coerentemente da una maggiore comprensione delle ripercussioni e dei condizionamenti della dinamica internazionale sulle condizioni e sugli sviluppi della situazione russa.

Pur collocandosi, quindi, in relazione al problema della controrivoluzione stalinista, su un piano superiore rispetto a Trotskij, l'esperienza di Bordiga non ci sembra aver risolto teoricamente il problema del nemico non visto e, quindi, delle ragioni di una sconfitta disastrosa della scuola marxista, una scuola, un movimento che lascia spazio ad una controrivoluzione che si sviluppa e si afferma in modi non capiti.

Bordiga non riesce ad emanciparsi dallo schema leniniano che vede il capitalismo di Stato come alleato del socialismo in Russia, che di fatto non coglie i rischi dello sviluppo di questa forza sociale in ragione del suo controllo politico da parte dello Stato conquistato dal proletariato.

Sicuramente mostra un'elaborazione, una sensibilità politica che gli consentono di non finire nelle derive di Trotskij che, nel nome di un'interpretazione dello schema di Lenin portata alle estreme conseguenze, arriva ad indicare e a sostenere lo sviluppo del capitalismo di Stato come fattore operante nel senso del socialismo anche con la fine della possibilità di un congiungimento con un ciclo rivoluzionario internazionale, anche con la piena vittoria della controrivoluzione stalinista e la sua piena conquista della guida dello Stato. Ma il fatto che è nel capitalismo di Stato che la controrivoluzione stalinista attinge in gran parte le sue forze sociali, che lo sviluppo del capitalismo di Stato, in assenza di prospettive rivoluzionarie internazionali, è un fattore che va a sostanziare la controrivoluzione in Russia non è pienamente compreso. Non è pienamente compreso come. in un contesto internazionale dove non si affaccia più l'espansione della rivoluzione, sia proprio lo sviluppo del capitalismo di Stato a imprimere la specifica connotazione borghese della società russa e a consentire la manifestazione di una controrivoluzione nelle forme staliniste del falso socialismo.

Le lettera a Korsch del 1926 va esaminata, come giustamente ricorda Onorato Damen, tenendo presente le condizioni contingenti della lotta politica. Ma l'affermazione che la situazione in Russia non si può risolvere nei termini dello sviluppo del capitalismo si rivelerà un elemento di riflessione teorica e di giudizio politico che avrà un peso non indifferente nel prosieguo della vita politica di Bordiga.

Ancora nel 1951 Damen può rimproverare Bordiga di limitarsi a sostenere che l'economia russa «tende» al capitalismo. Damen collega questo giudizio a una inesatta individuazione della base sociale dello Stato stalinista: «una ibrida coalizione e fluida associazione tra interessi interni di classi piccolo-borghesi, medio borghesi, intraprenditrici dissimulate, e quelli capitalistici internazionali».

Damen invece riesce a cogliere il problema di una controrivoluzione che marcia sulle gambe di una centralizzazione economica, di uno sviluppo capitalistico statale a suo tempo promossi (con prospettive strategiche e in una situazione internazionale differenti) dal potere bolscevico. In questa lettura, la controrivoluzione stalinista «si è servita di questo enorme potenziale economico così accentrato».

Ci sembra che sia possibile affermare che, in relazione allo spettro delle varie opposizioni proletarie e comuniste allo stalinismo, l'elaborazione di Bordiga sulla natura sociale dell'Urss contenga notevoli elementi di verità. La capacità di contemplare lo sviluppo del capitalismo di Stato come processo pienamente capitalistico pone l'elaborazione fuori dalle secche di quelle analisi che, disorientate di fronte all'enigmatica sconfitta della rivoluzione, consumata nelle forme della vittoria e nella continuità formale del partito e delle istituzioni rivoluzionarie, hanno abbandonato le categorie marxiste. Tuttavia l'impressione è che Bordiga riesca con buoni margini di correttezza a fotografare la situazione russa ma senza riuscire a filmare il movimento storico che ha portato a questa situazione. Bordiga contesta il primato dell'angolo di visuale russo nel dibattito internazionale tra rivoluzionari, nel processo di definizione della strategia della rivoluzione internazionale. Combatte, giustamente, la teoria del socialismo in un solo Paese ma è difficile sfuggire all'impressione che non sia colta fino in fondo la coerenza che questi aspetti,  queste linee guida hanno con il processo di affermazione del capitalismo di Stato in Russia, una forza ormai non più racchiudibile nello schema di Lenin. Già a metà degli anni venti non si possono più inquadrare queste impostazioni politiche, queste tesi, queste direttrici come singole deviazioni di organismi politici, di una forza sociale ancora riconducibile alla prospettiva rivoluzionaria, alla correttezza marxista.. Il socialismo in un solo Paese è tesi inaccettabile dal punto di vista marxista, e questo Bordiga afferma con forza, ma il prevalere, la forza reale di questa tesi non ha origine nel deragliamento dal marxismo di una direzione politica. L'abbandono del marxismo, al di là delle singole convinzioni dei sostenitori del socialismo in un solo Paese, è un processo profondamente coerente con la natura, gli sviluppi, le tendenze, del trionfante capitalismo di Stato russo. E' come se, nella sua elaborazione, Bordiga riesca ad effettuare con un buon livello di approssimazione l'autopsia di un organismo, individuandone le patologie, le disfunzioni, ma senza arrivare ad identificare l'agente patogeno che ne ha causato in ultima istanza il decesso. La società russa è caratterizzata soprattutto come capitalismo di Stato (ci sembra che Bordiga in una qualche misura arrivi perfino a superare la formula del «tende»), ma non emerge la consapevolezza che è stato proprio sviluppando, potenziando il capitalismo di Stato in assenza di concrete prospettive rivoluzionarie sul piano internazionale che questa società si è così definita. Si ha l'impressione che le armi teoriche di cui dispone sappiano affondare nelle carni della società russa ma fino a un certo punto. Coglie che la collettivizzazione nelle campagne portata avanti dal regime stalinista non è più assimilabile all'esercizio della dittatura proletaria  sui contadini, passati prevedibilmente dall'essere alleati temporanei a nemici del potere rivoluzionario del proletariato. Capisce che i provvedimenti stalinisti contro la proprietà contadina derivano da un regime che ha cambiato natura di classe (e senza bisogno di creare categorie come la burocrazia dominante sulle classi o uno Stato ibrido e connotato da uno sviluppo socialista viziato). Giunto a questo livello di riflessione, e lo ripetiamo, si tratta di un'acquisizione di notevolissima importanza, il motore del ragionamento marxista di Bordiga gira a vuoto. Se il regime non è più la dittatura proletaria che controlla lo sviluppo economico russo, se il potere politico non è più quello della classe operaia capace di allearsi con il capitale di Stato contro le altre componenti sociali russe, quale forza sociale esprime il nuovo potere, lo sorregge, lo innerva? Da dove lo Stato trae principalmente la forza per marciare a passo militare contro l'organizzazione sociale delle campagne? Su quale perno sociale il potere stalinista, che non è potere proletario, può basarsi nell'intraprendere un processo che ha i tratti e la portata di una guerra sociale? La piccola produzione mercantile, in gran parte contadina, il contadiname minuto a stento uscito dall'autoconsumo e ad un passo dal pauperismo? Il capitale privato, tra cui si collocano in posizione di forza gli stessi agricoltori che lo stalinismo perseguita? O piuttosto proprio quel capitalismo di Stato che nello schema di Lenin era il naturale alleato del potere socialista. Per capire l'avvenuto, e percepito da Bordiga, mutamento di classe del regime occorre andare oltre lo schema di Lenin, accettare il fatto che, ben prima dei 50 anni di Trotskij, e persino dei venti anni prefigurati da Lenin di buoni rapporti tra contadini ed operai, il capitalismo di Stato ha imposto il proprio Stato.

L'intelligenza con cui alcune questioni vengono individuate e sollevate e al contempo le difficoltà a darne una risposta testimoniano insieme la perspicacia nel cogliere il mutamento profondo, di classe, del regime sovietico e l'impasse nel fornire una spiegazione della dinamica di forze sociali che ha sospinto questo processo. Nelle elaborazioni raccolte in Struttura economica e sociale della Russia d'oggi sono contenuti due passaggi che meritano una attenta riflessione.

Viene colto il problema di un regime che, dopo l'Ottobre 1917, è attraversato da profonde mutazioni nella continuità formale o organizzativa dell'apparato statale e di partito. E' delineato quindi, uno dei maggiori elementi di forza della controrivoluzione stalinista.

Viene posto poi un altro problema, il perché l'opposizione bolscevica allo stalinismo non abbia tentato il ricorso alle armi contro la montante controrivoluzione.. Nel cercare di rispondere a questo interrogativo si aggiunge una constatazione che in realtà richiede a sua volta una spiegazione. La «corrente»  destinata a prevalere nel partito disponeva del controllo della polizia e dell'esercito. Corretta constatazione storica, ma perché si è arrivati a questo? Perché i grandi capi della rivoluzione, uomini che avevano fino a poco tempo prima guidato il potere sovietico, l'esercito rosso, l'Internazionale si sono lasciati strappare dalle mani le armi ad una ad una? Non solo, il controllo della forza armata dello Stato da parte della controrivoluzione può spiegare rapporti di forza drasticamente squilibrati, magari anche una sconfitta militare rovinosa, lo sviluppo di una modalità di guerra tipica di una situazione di netto divario di forze (guerriglia, guerra partigiana, etc.) ma non necessariamente l'assenza dello scontro armato.

Le due questioni sono intimamente legate.

Denunciare la comparsa di una burocrazia capace di inceppare il corso socialista e persino indicare un potere fondato su ibride coalizioni di piccoli e medio borghesi russi alleati con il capitale internazionale, ha significato non individuare quella forza con le caratteristiche, nelle condizioni per sostenere la controrivoluzione nella continuità organizzativa con la rivoluzione. Se si pensa alla controrivoluzione stalinista come espressione principalmente di moltitudini piccolo e medio borghesi (in Russia giocoforza da cercare in buona misura tra i proprietari contadini sterminati da Stalin),  di classi «intraprenditrici dissimulate», di capitalisti internazionali fluidamente associati, la sua conquista dello Stato e del partito, degli organismi della rivoluzione ci appare come qualcosa di estremamente difficile, un processo irto di interrogativi e di zone d'ombra, tanto più se si considera come sia maturato in un arco di tempo tanto breve. La piccola borghesia russa, il capitale internazionale che in un pugno di anni si conquistano i galloni all'interno del partito rivoluzionario proletario, si fanno largo appropriandosi dei suoi simboli, della sua terminologia, spodestano ed emarginano i suoi maggiori esponenti? Non a caso Lenin, pensando ad una rivoluzione animata sostanzialmente da queste classi, aveva evocato le guardie bianche, i generali reazionari.

La marcia della controrivoluzione dentro le istituzioni sovietiche, all'interno del partito diventa invece molto più comprensibile se la si pensa come espressione dello sviluppo dl capitalismo di Stato, di una forza che era stata autorevolmente ed ampiamente indicata come componente alleata, come fattore di avanzamento della lotta del socialismo. Tutto diventa più chiaro se si individua l'essenza sociale della specifica controrivoluzione stalinista in una forza sociale verso cui il partito rivoluzionario era stato educato, si era formato come strato dirigente nel segno del compito vitale del suo potenziamento, del suo incremento, tanto più che il controllo politico da parte del partito proletario vittorioso avrebbe tenuto a bada i rischi insiti nello sviluppo capitalistico statale. Il capitalismo di Stato, questo sì, ha avuto le carte in regola, la «cittadinanza» nel partito, tra i suoi esponenti migliori per farsi largo nel segno della continuità.

Per capire l'affermazione della controrivoluzione stalinista occorre mettere bene a fuoco il nesso tra l'evolversi della situazione internazionale e quello della situazione russa, condizione politica e tessuto sociale. Le reciproche influenze sono di primaria importanza. L'aspetto determinante è la fine della prospettiva di una rivoluzione occidentale. Il tramonto delle possibilità di apertura di questo fronte rivoluzionario si riflette potentemente sulla situazione russa. Lo sviluppo del capitalismo di Stato cessa oggettivamente di rivestire la funzione di sorreggere un potere proletario in attesa del congiungimento con la rivoluzione internazionale. Questo sviluppo, che è sviluppo pienamente capitalistico si ricava crescenti spazi nel partito e nelle istituzioni dello Stato sovietico. Esprime, seleziona personale politico, imposta sullo spartito della fraseologia rivoluzionaria, della continuità organizzativa, nuove formulazioni, nuove parole d'ordine funzionali ai propri interessi. La tesi del socialismo in un solo paese, della costruzione del socialismo (e per di più in Russia) non sono, torniamo a ripeterlo, semplici asinerie, miseri incespicamenti di cervelli poco avvezzi al marxismo. Certo, dal punto di vista del marxismo sono bestemmie, ma non vanno più considerate da quel punto di vista. Il capitalismo di Stato che, come giustamente rimarca Bordiga e tutta la Sinistra comunista italiana, è in tutto e per tutto capitalismo, non può riconoscersi nel marxismo. Non può che sfornare ideologie e tesi di marca borghese (la storia dello stalinismo ha spaziato senza freni: nazionalismo, pacifismo, terzomondismo, democraticismo, etc.). Affermare che queste tesi, queste ideologie, queste pratiche politiche non rientrano nel marxismo è scontato, se si è compresa la loro natura sociale e la forza che le esprime. Occorre semmai verificare come e con che grado di efficacia rispondano agli avversi interessi di classe. Il capitalismo di Stato però può, e qui risiede gran parte del dramma storico dello stalinismo, presentarsi a gran voce e con grande efficacia come comunista anche quando persegue i propri interessi capitalistici. Non è mancata la lotta marxista contro lo stalinismo, ma la sua politica, la sua ideologia, la sua capacità di distorcere con grande efficacia l'impostazione marxista e di utilizzare le forme politiche della rivoluzione non sono derivate dalla presenza di una burocrazia corruttrice dello sviluppo socialista e nemmeno dall'abbandono da parte del potere politico stalinista della corretta impostazione comunista nei rapporti con le «classi medie». Il capitalismo in Russia, senza il congiungimento con la rivoluzione internazionale, ha partorito, come doveva, le sue ideologie nazionaliste. Il capitalismo di Stato ha potuto farlo nelle specifiche forme della controrivoluzione stalinista.

Oggi lo possiamo chiaramente constatare: non si trattava di convincere uno Stalin o un Bucharin (e il fatto che persino l'eroico, il devoto Bucharin sia finito per una fase non irrilevante a tirare il carro della controrivoluzione la dice lunga sulla potenza di processi sociali profondi che riescono a trovare interpreti grandi e piccoli, consapevoli o meno) a tornare sulla retta via marxista, a lasciare spazio all'interno dell'Internazionale a voci critiche libere di esprimersi sulla situazione russa. Chiusosi lo sbocco rivoluzionario internazionale, il partito del capitalismo di Stato, proprio per la sua natura sociale capace di appropriarsi della stragrande maggioranza delle organizzazioni e delle istituzioni del partito e dello Stato che erano stati dalla parte della rivoluzione, andava combattuto. Combattuto non come «corrente» degenere del partito rivoluzionario, non nel tentativo di metterlo in minoranza all'interno di ambiti politici in cui ormai aveva vinto (proprio in ragione delle dinamiche russe condizionate dagli sviluppi internazionali), ma combattuto senza nessun riguardo, senza esclusione di colpi, come espressione politica del capitale, come partito della classe avversa, come nemico mortale.

Questa consapevolezza è mancata nei grandi oppositori dello stalinismo e questa mancanza ha pesato anche sulle opzioni, sulle modalità della loro opposizione, della loro lotta alla controrivoluzione.

Concordiamo fermamente sul giudizio in base a cui la vittoria dell'Ottobre sancisce la vittoria scientifica del marxismo mentre l'affermazione della controrivoluzione sul terreno dei rapporti sociali non comporta una sconfitta dell'impianto scientifico marxista o la necessità di apportarvi revisioni. La controrivoluzione stalinista non mette in discussione in nessun modo il marxismo. La scienza, intesa come patrimonio verificato e acquisito di conoscenze, non ne esce sminuita. Diverso è però il giudizio se consideriamo non la scienza, ma gli scienziati, non intesi in senso meschinamente individualistico, ma come quegli esponenti, quelle correnti, quei movimenti che in una certa fase storica hanno rappresentato la scienza, si sono cimentati con il tentativo di applicare la scienza, i suoi strumenti teorici ad una situazione non ancora indagata, sperimentata, compresa. Un loro eventuale, totale o parziale, fallimento non pregiudica la scienza, ma può comportare una sua fase di stallo, una fase di difficoltà a fronte del compito di interpretare e spiegare un fenomeno. E' tipico delle mentalità religiose e in generale antiscientifiche, equiparare l'incapacità contingente della scienza a spiegare un fenomeno, un evento, un processo, al fallimento della scienza in quanto tale, del metodo scientifico. Gli scienziati invece continueranno a lavorare, a formulare ipotesi, da scienziati, senza svicolare su dimensioni irrazionali e idealistiche. Né si ridurranno a fare della stessa scienza una caricatura parareligiosa, un feticcio scientista affermando, in nome della difesa della falsa scienza divinizzata, che il fenomeno che ha avuto l'impudenza di non lasciarsi comprendere per questo non esiste. La scienza si trasmette, vive come fattore sociale attraverso esistenze, vite, percorsi umani storicamente determinati e può conoscere soste, rallentamenti, accelerazioni, balzi in avanti e persino regressi. Per quanto riguarda la storia dl marxismo, scienza del moto sociale, gli stalli, le difficoltà hanno significato immensi dolori e sacrifici.

Non si tratta nemmeno di redigere liste di colpevoli o di fare le pulci a chi ha speso energie ed intelletto ben superiori al nostro in battaglie di gigantesca difficoltà. Abbiamo già avuto modo di chiarire come le nostre considerazioni critiche sull'esperienza e sull'elaborazione di Trotskij non significhino in nessun modo una negazione del ruolo di primissimo piano che questi ha svolto nella storia del marxismo, ma anzi, rientrino in un tentativo di imparare il più possibile da questa grande esperienza. Lo stesso ragionamento, e per noi a maggior ragione, vale per Bordiga e in generale per la Sinistra comunista italiana. Senza l'esperienza della Sinistra comunista risulterebbe immensamente più difficile tenere viva anche oggi la piccola fiammella del marxismo. La riflessione, il dibattito della Sinistra anche sulla natura sociale dell'URSS ha posto binari sui quali anche noi, nel nostro piccolo, ci siamo mossi. Trotskij e Bordiga rientrano a pieno titolo e in prima fila nella scuola marxista ma proprio per questo e proprio i marxisti hanno il dovere di riflettere seriamente tanto sugli aspetti validamente risolti nella loro esperienza quanto su quelli insoluti. Proprio perché sono grandi marxisti, lo studio e la comprensione di entrambi gli esiti possono risultare sommamente istruttivi. Si tratta in fin dei conti di continuare ad assolvere un compito che la Sinistra comunista italiana ha saputo definire in termini molto chiari: capire innanzi tutto le controrivoluzioni, imparare da esse. La scuola marxista ha pagato un prezzo altissimo alle difficoltà nel comprendere pienamente, tempestivamente la controrivoluzione stalinista. Questo ha avvantaggiato, aperto spazi, fornito armi a questa stessa controrivoluzione. Ancora oggi ne risentiamo.  

 

Prospettiva marxista, n. 25, gennaio 2009