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archivio > Articoli su Bordiga>Fernando Garosi, Il caso Bordiga, (Avanti!, 25 maggio 1930)

aggiornato al: 20/04/2011

Avanti!, 25 maggio 1930

Un caro amico ci ha fatto avere questo articolo, praticamente sconosciuto, apparso nel 1930 su «L'Avanti!» e riguardante l'espulsione dal Partito comunista d'Italia di Amadeo Bordiga. (Nel nostro sito è già presente la Risoluzione sulla espulsione di Amadeo Bordiga che apparve su Lo Stato Operaio del marzo 1930).

L' articolo è interessante, vivace, fuori dagli schemi e, sotto certi aspetti, sorprendente. Alcune delle critiche che Garosi rivolge bonariamente a Bordiga possono essere rivolte, meno bonariamente, a suoi seguaci nostrani odierni.

Dobbiamo precisare però due cose: la prima che riguarda il giornale in cui apparve e la seconda che riguarda l'autore.

«L'Avanti!» a questa data è organo del  minoritario  Partito Socialista Italiano (massimalista) guidato da Angelica Balabanoff (lei è la proprietaria della testata che viene quindi sottratta ai maggioritari nenniani) che continuerà ad uscire fino al 1940; infatti dopo il convegno di Grenoble del marzo 1930 il partito socialista si era scisso e separato tra i massimalisti, come abbiamo visto e l'ala nenniana che si era riunita con i riformisti, espulsi nel 1922, e che comincerà a pubblicare «Il Nuovo Avanti!».

Ferdinando Garosi nato a Firenze nel 1888 fu amico e compagno di  Spartaco Lavagnini nella sezione socialista di Firenze e nell'opposizione alla guerra. Nel 1919 fu segretario della Federazione socialista fiorentina; a Livorno, nel 1921 aderì al partito comunista e dopo l'assassinio di Lavagnini gli subentrò alla direzione del settimanale della federazione provinciale comunista fiorentina, L'azione comunista.

Dopo il 1924 si rifugiò in Francia e, a Parigi, aprì un negozio di cappellaio. In questi anni uscì dal Partito Comunista forse disgustato dall'imperante stalinismo, e si avvicinò ai socialisti massimalisti diventandone elemento di punta. A metà degli anni trenta emigrò in Argentina dove pur staccandosi dal gruppo socialista tenne contatti politici con altri emigrati italiani.

Visse ancora a lungo in una azienda agricola di sua proprietà fino agli anni sessanta del secolo scorso.

 

 

 

IL CASO BORDIGA

 

 

 

L’espulsione dal Partito Comunista Italiano del mio vecchio amico Amadeo Bordiga, col quale non sono mai andato d’accordo sul terreno teorico né su quello pratico, ma di cui ho sempre ammirato l’alto ingegno e la correttezza così rara nel campo comunista ufficiale – è un altro segno caratteristico della degenerazione politica e morale del PCI, e, più ancora, della Terza Internazionale che permette, quando non suscita, simili mostruosità.

Bordiga è stato il principale artefice della fondazione del PC in Italia, e, per lunghi anni, il suo animatore. Imbevuto di dottrine ma sprovvisto, benché profondamente buono, della più elementare conoscenza del cuore umano e delle sue leggi, Amadeo aveva creato un movimento che per la sua assoluta mancanza di basi terrestri era artificiale e destinato all’insuccesso. Egli non teneva conto del momento e dell’atmosfera politica del paese, degli avvenimenti che si profilavano all’orizzonte, e proseguiva impavido la sua via ch’era l’applicazione – integrale più che possibile – della “sua” dottrina. Tutta la malattia infantile del comunismo è passata per là. La macchina, l’enorme macchina, ch’egli voleva costruire con l’elemento “massa” e in cui l’uomo, cieco, sordo e muto, doveva essere un pezzo, un semplice pezzo di ricambio, non ha dato, né poteva dare alcun risultato apprezzabile. Bordiga disprezzava la politica e i suoi insegnamenti: antistorico e, teoricamente, antisentimentale, egli vedeva il mondo sotto un aspetto tutto cerebrale, vagliato e deformato ai suoi occhi dalle più curiose teorie ch’io abbia mai inteso e letto, a cominciare dal suo famoso “astensionismo”,

farmaco miracoloso che doveva – come due e due fanno quattro – salvare il proletariato da qualsiasi degenerazione e condurlo alla sicura vittoria.

Nella realtà Bordiga era un sognatore impenitente e un filosofo bonario, che – per un capriccio degli avvenimenti e contro ogni logica – era diventato capo-partito. Oratore splendido, intelligente e colto, gli mancava (mi riferisco al periodo della sua direzione quasi dittatoriale ch’io combattei con Graziadei e Tasca e altri ancora) quell’elasticità e quella libertà di giudizio necessarie per comprendere le situazioni, dati così indispensabili al generale, all’uomo di stato e al capo di masse. Tiranneggiato e asservito dalle sue stesse dottrine, dominato dal concetto della “linea retta” e dell’integralità in ogni cosa e in ogni momento, egli disprezzava quel senso di opportunità – da non confondersi con l’opportunismo – che ha fatto grande Lenin e reso i più segnalati servizi alla rivoluzione russa. A questo proposito ho la convinzione che se l’Esecutivo del PC – di cui Bordiga era il cervello – avesse derogato per qualche settimana dalla sua intransigenza e unito, momentaneamente, le sue forze a quelle socialiste e democratiche su un terreno comune, nel periodo precedente al colpo di Stato mussoliniano e specialmente al tempo dell’agitazione degli Arditi del Popolo – molto più importante di quello che non si creda – l’avventura e la dittatura fascista non sarebbero state possibili e il proletariato sarebbe uscito quasi intatto dalla bufera.

Ciò detto – e non sembri la mia critica ingenerosa ad alcuno perché quello che dico oggi l’ho espresso e ripetuto quando Bordiga era tutto possente – debbo inchinarmi da avversario leale davanti alla buona fede, alla convinzione, al disinteresse del leader che i suoi amici di ieri colpiscono subdolamente e alle spalle, quando cioè il forte lottatore è nella quasi impossibilità di difendersi.

Bordiga è stato espulso dal PC non per i suoi errori del passato (da lungo tempo amnistiati dai dirigenti di Leningrado, che gli avevano offerto persino la vice-presidenza della Terza Internazionale – se i miei ricordi sono esatti – subito dopo la sua eliminazione dalla direzione dell’Esecutivo Italiano) ma per il suo atteggiamento contrario allo stalinismo trionfante. La motivazione dell’espulsione – controrivoluzionario, traditore, ecc. – è, al solito, sbalorditiva e dimostra ancora una volta che le persone intelligenti e in buonafede non hanno più diritto di cittadinanza nel PC, dove la follia della epurazione assume proporzioni addirittura fantastiche. Chi potrà ormai più salvarsi dalla “charrette” staliniana?! Trotski, Racovsky, Bordiga, Tasca e tanti, tanti altri, eliminati come nemici del proletariato, come disprezzabili piccolo-borghesi!!! Chi dunque è rivoluzionario nel PC Ufficiale? Che resta a fare ancora agli attuali dirigenti della Terza Internazionale per disonorare un movimento, già così glorioso?... Punti interrogativi che non avranno per risposta che delle ingiurie. Il fatto però rimane, brutale e assurdo.

Il dittatore russo non vuole, nel suo partito, degli uomini, ma dei servi; della gente cioè che dica sì e no a seconda dei suoi ordini. Ecco la verità. Il grande pontefice e i sottopaperottoli non si facciano però illusione alcuna: finché durerà il mondo vi saranno pure degli esseri amanti della libertà di pensiero e capaci di lottare contro tutte le tirannie.

 

Fernando GAROSI

Avanti!, a. XXXV, n.20 (Seconda serie), [Paris] 25 maggio 1930