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archivio > Articoli su Bordiga>25.Articoli di "Prometeo" sulla guerra di Spagna. (Prometeo, n. 145, 30 maggio 1937)

aggiornato al: 18/03/2010

Prometeo, n. 145, 30 maggio 1045

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Dividiamo gli articoli del n. 145 di Prometeo  (30 maggio 1937) riguardanti la guerra di Spagna in tre parti di cui riportiamo qui la prima.

In questa parte è riportata la notizia della morte di Antonio Gramsci e di Camillo Berneri a cui sono dedicati altri articoli che riproporremo nella prossima puntata.

 

 

 

 

 

La “conquista della Rivoluzione”

 

 

Gli avvenimenti spagnoli immediatamente posteriori al 19 luglio 1936, sconvolsero i cervelli di larghe masse di operai e – quello che fu molto più grave – di numerosi proletari di avanguardia. Questi ultimi avrebbero dovuto resistere alla tempesta delle situazioni grazie al lavoro politico sviluppato nel seno di organismi i quali devono la loro ragione di essere giustamente al fatto che è ad essi che le masse si rivolgono per avere delle direttive nei momenti in cui le situazioni precipitano. Le molteplici e sanguinose esperienze precedenti avrebbero dovuto risparmiare al proletariato spagnolo ed internazionale la catastrofe che dura da dieci mesi e che si è complicata con lo sterminio dei proletari di Barcellona. Eppurtanto la confusione fu generata ed anche la nostra organizzazione traversò una grave crisi che si concluse, nel mese di novembre, con la espulsione della ex minoranza perché essa si rifiutò persino [di] confrontare le sue posizioni con i documenti fondamentali dell’organizzazione, e questo nella sede opportuna, in occasione del Congresso della frazione.

Di che cosa si trattava immediatamente dopo il 19 luglio? Di questo: le masse avevano imposto un vigoroso ALT all’attacco capitalistico di Franco e nel corso della lotta avevano generato una serie di organismi di classe, nel campo economico, attraverso la violenta espulsione dei capitalisti, nel campo militare con la costruzione dei primi organismi di difesa e di attacco: le milizie proletarie. È vero che il 19 luglio, di già il governo repubblicano vacillante, insinuò fra gli operai insorti degli elementi appartenenti alle vecchie forze repressive, ma a parte il fatto che sarebbe estremamente difficile stabilire se questa infiltrazione rispondeva ad una manovra diretta del governo,  resta il fatto che si assisteva allora ad uno spostamento di individualità da una base di classe capitalista verso l’opposta base rappresentata dagli organismi di classe degli operai. Il pericolo esisteva, ma la condizione era realizzata per spezzare questa manovra ed essa consisteva nel fatto che l’organizzazione raggruppante gli operai restava sulle sue basi di classe e non si ricollegava affatto con la macchina statale del capitalismo.

Qualche giorno dopo le cose dovevano cambiare radicalmente di natura e d’aspetto. Le situazioni arrivano al bivio. Gli organismi sorti spontaneamente il 19 luglio possono durare per alcuni giorni nel corso dei quali tutte le situazioni si concentrano intorno alla rivolta delle masse. In seguito, la fase ulteriore si apre inesorabilmente ed i proletari debbono dirigere il loro attacco non più contro un aspetto della vita e del governo del capitalismo (il fascismo o la democrazia), ma contro la macchina statale del capitalismo. Per realizzare questo obbiettivo il proletariato ha bisogno di uno strumento specifico che non può essere creato immediatamente perché, per risolvere il complicatissimo problema che sorge, è necessaria una lunga preparazione teorica e politica: questo strumento è il partito di classe. In effetti che cosa manca agli operai è quale è il fattore che può snodare le situazioni per determinare una situazione rivoluzionaria? Non degli elementi che danno il loro semplice contributo personale armato; non degli agitatori che proclamano la sola necessità della lotta giacché le masse armate sono nelle strade. Non di militanti che prendono unicamente posto di prima fila fra i combattenti operai. Non, d’altra parte di proletari d’avanguardia, che scuotono le masse per far loro comprendere la necessità della lotta armata giacché questa è di già nei fatti, ma dei comunisti i quali abbiano la capacità di comprendere la realtà degli avvenimenti e di improntare decisamente il cammino che può condurre alla vittoria. Dopo il 19 luglio il problema si pone del COME si dovrà agire per salvare le conquiste proletarie ed evitare che il nemico penetri nel campo proletario, preparando così le batterie che scoppieranno il 4 maggio 1937.

Ancora una volta il capitalismo riesce nel suo gioco e nel suo mercato. Un comitato operaio di direzione dell’industria, una milizia proletaria, sono ben poca cosa per infrangere l’attacco del capitalismo spagnolo, il quale può appoggiarsi sulla solidarietà della borghesia di tutti i paesi. Per vincere questa battaglia occorre di più, occorre togliere al capitalismo una parte almeno degli appoggi di cui essa può approfittare, occorre mettere dalla parte proletaria tutte le pedine possibili: Companys può essere utilizzato, Caballero altresì la sinistra repubblicana, il tutto sta a controllare questi amici infidi, mantenere la direzione degli organismi sorti nel corso della battaglia e domani si potrà passare oltre nella lotta per la rivoluzione. Il Comitato di gestione dell’industria, la milizia proletaria, acquistano una forza ben più grande, e si prendono una figura costituzionale e possono così avvantaggiare la lotta delle masse perché non appariranno come degli organismo rivoluzionari.

In qualche parola, il problema si pone così: gettare negli operai la convinzione che se restano soli nella lotta, essi saranno certamente sconfitti, dire loro che l’organismo che essi hanno creato è smisuratamente inferiore per rapporto ai compiti del loro combattimento ed introdurre nei loro cervelli la persuasione che essi potranno, di un colpo, costruire degli organi che potranno fare due cose insieme: la rivoluzione e, nello stesso tempo, coprire questa lotta sotto l’insegna costituzionale e governativa in modo che anche sul terreno diplomatico le migliori condizioni saranno realizzate per spezzare la manovra del fascismo che vuole montare l’“opinione pubblica” contro i rivoluzionari.

Qualche giorno dopo il 19 luglio Companys si presenta agli operai e, prendendo la figura del servitore (non vi sarebbe stata altra possibilità per farsi accogliere dalle masse), dice agli operai che è disposto a mettere tutta la sua influenza e quella dello Stato alla disposizione della lotta contro Franco. L’indomani tutto è cambiato: gli organi sorti il 19 luglio sono enormemente cresciuti in importanza, essi sono diventati degli organismi statali aventi forza legale e capaci di intervenire altresì nello scacchiere diplomatico internazionale. Ma la natura di questi organi è stata irrimediabilmente compromessa e, da istituzioni proletarie, esse sono diventate delle istituzioni capitaliste. Quella che era una conquista della rivoluzione è diventata una conquista del capitalismo.

Non si tratta tanto del problema di guadagnare o di perdere la battaglia immediata. A questo proposito, anche nel campo della lotta del momento, il 19 luglio aveva provato che il proletariato può ottenere dei risultati immediati alla sola condizione di restare sul suo terreno di classe. Ma il problema è ben più grave e si tratta di vedere come si può non compromettere tutto l’avvenire della classe proletaria. Anche nell’ipotesi dell’impossibilità di ottenere direttamente la vittoria si tratta di adottare una politica che possa preservare il proletariato dal disastro di domani.

Dopo il 19 luglio l’alternativa si presenta così: o lottare per il proletariato attraverso degli organismi ricollegati allo Stato capitalistico; o lottare per disincagliare IMMEDIATAMENTE questi organi dall’apparato nemico. Qui risiedeva il fondo dell’opposizione fra la nostra organizzazione e tutte le altre che cadendo nel tranello capitalista hanno preso una responsabilità enorme che la strage del 4 maggio ha messo in evidenza. Il contrasto non è fra chi vuole lottare e chi preferisce restare alla finestra, ma fra due forme, due direttive di lotta: la prima che doveva condurre inesorabilmente al 4 maggio, l’altra che, ricollegatesi a tutte le esperienze precedenti in tutti i paesi, rappresentava la condizione essenziale per la salvezza del proletariato.

E se la situazione faceva apparire che i proletari comunisti i quali volevano combattere sulla base di classe, si esponevano per questo, ad essere immediatamente strangolati dal nemico, senza alcun’eco fra le masse guadagnate dalla manovra del nemico, se dunque la lotta per la rivoluzione esponeva questi proletari ad una avventura senza che un risultato politico si produca, allora è la situazione che determina una impossibilità reale di lotta per la rivoluzione, ed i comunisti hanno il dovere di occupare quelle posizioni che permetteranno ai proletari di riconoscere, il 4 maggio, l’errore che essi commisero il 19 luglio.

L’attacco poliziesco alla Centrale Telefonica del 3 maggio, potrebbe far pensare che il combattimento si è svolto su questi termini: da un lato la borghesia, che vuole smantellare le “conquiste della rivoluzione”, dall’altro i proletari che difendono queste conquiste. Ma anche se si esamina l’incidente che ha determinato il primo attacco poliziesco, se ci si limita all’occasione che ha dato pretesto all’offensiva capitalista, occorre domandarsi come è stato possibile che una polizia controllata da forze ricollegatesi alle organizzazioni che si reclamano del proletariato, possa gettarsi contro una istituzione che era gestita da queste stesse organizzazioni. La spiegazione è semplice: se questo ha potuto avvenire, se il proletariato di Barcellona è stato sconfitto, malgrado avesse sotto il suo controllo le forze che si sono scatenate contro di esso, questo è stato possibile unicamente perché la natura di classe di questi organismi, di TUTTI questi organismi, era non proletaria, ma capitalista. [Ci sono quindi alcune righe incomprensibili, che non ricopiamo].

La prova è crudelmente fatta che le “conquiste della rivoluzione” furono in definitiva delle conquiste del nemico. Questi cedette tutto per restare in piedi il 19 luglio, e, com’era avvenuto in tutti gli altri paesi, per poter in seguito passare alla riorganizzazione del suo apparato di dominio. Il 4 maggio la borghesia ha sentito che poteva passare a questa riorganizzazione ed essa vi è riuscita con il concorso di tutte quelle stesse forze che l’avevano salvata il 19 luglio. Questa terribile esperienza che si aggiunge a tutte le altre vissute dal proletariato, impone ai proletari di riflettere alle responsabilità che presero nel luglio scorso quando condannarono all’isolamento la nostra organizzazione, la quale lottò su questa divisa: per battere il fascismo, occorre combattere contro il capitalismo, mascherare come una “conquista della rivoluzione” un successo capitalista, significa preparare le basi per lo sterminio di domani del proletariato.

 

 

 

   

Antonio Gramsci – Camillo Berneri

 

 

Li hanno assassinati a poche settimane di distanza.

L’uno si è spento in una casa di salute dove il regime fascista l’aveva ricoverato quando la sua debile salute era stata senza rimedio compromessa dai lunghi anni di segregazione cellulare e dalle torture fisiche e morali. L’altro a Barcellona con un crimine di pretto stile squadrista: farlo rilevare a casa, assicurare i suoi che verrà rilasciato, mentre già il corpo straziato giace alla Morgue.

Il capitalismo li ha ambedue ferocemente soppressi sebbene sul primo pesasse la lorda responsabilità del centrismo italiano e l’altro esprimesse quell’ideologia anarchica che, al fuoco degli avvenimenti di Spagna, si è confermata forza negativa ed ai fatti controrivoluzionaria.

Perché li hanno dunque assassinati?

Gli è perché potevano rappresentare una minaccia per domani, un polo d’influenza per le masse nell’immancabile giorno della riscossa; essi che per il loro passato potevano servire di simbolo, essi che colla onestà e saldezza delle loro convinzioni sferzavano tanti ignavi, tanti profittatori, tanti avventurieri; essi che a quanto si può dedurre da certi loro atteggiamenti evolvevano verso una revisione degli errori del passato …

Il regime fascista ha commesso lentamente il crimine nelle galere dove aveva gettato il suo prigioniero di classe! Il Fronte Popolare ha adoperato i sicari centristi malgrado che i sedicenti corrilegionari di Berberi partecipavano e partecipano tutt’ora al governo di unione sacra e sovratutto per colpa loro i proletari spagnoli stanno dissanguandosi in questo primo atto di guerra imperialista, caduti nel tranello della manovra “antifascista”.

La borghesia, mostri essa la faccia “fascista” o “democratica”, non perdona ai suoi nemici di classe e lo ha provato, a pochi giorni di distanza, in modo così lampante che dovrebbe illuminare anche i cervelli più ottusi e refrattari fra i proletari. Ma purtroppo il proletariato è oggidì talmente dislocato, talmente disorientato, che neppur ammaestramenti così palmari, così inequivocabili non bastano a fargli ritrovare il cammino di classe.

Il centrismo, che aveva lasciato, ancora in vita, cadere ultimamente il “capo”, certo perché la galera fascista lo aveva salvato dalla ignominia finale, lo rivendica, morto, e si getta sul suo cadavere, come lo sciacallo, per speculare ai fini innominabili della sua immonda politica di tradimento.

Gli anarchici, da parte loro, rivendicano Berberi mentre, colla loro politica, accumulano i fattori che hanno condotto al massacro del 4 maggio.

No, né Gramsci né Berberi, dopo il loro olocausto, non appartengono né al centrismo né all’anarco-sindacalismo.

Essi appartengono ormai unicamente al proletariato che nel loro sacrificio saprà ritemprarsi e trovar le energie necessarie per continuare la lotta fino alla vittoria finale.

Solo l’Ottobre mondiale potrà degnamente commemorare queste nuove vittime della guerra di classe che allungano ormai la sterminata teoria di coloro che li hanno preceduti nell’olocausto della vita per la causa del proletariato.

In altra parte del giornale trattiamo diffusamente dell’uno e dell’altro.

 

 

Prometeo n. 145, 30 maggio 1937