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archivio > Articoli su Bordiga>Due articoli del 1970 del Pci su Bordiga (L'Unità 29 luglio e 31 ottobre 1970)

aggiornato al: 06/11/2009

L'Unità 29 luglio e 31 ottobre 1970

Amadeo Bordiga muore a Formia il 24 luglio 1970.  Alla sua morte L'Unità pubblica un trafiletto dandone notizia. Pochi giorni dopo, il 29 dello stesso mese di luglio, appare questo articolo di Aurelio Lepre che qui riproponiamo.

Il PCI, pur facendo acqua da tutte le parti è ancora il partito togliattiano che si richiama a Gramsci e deve attaccare Bordiga e precisare che, ad evitare equivoci tra i propri fedeli: «Gli ultimi quarant'anni della vita di Amadeo Bordiga non appartengono alla storia del movimento operaio ma costituiscono una vicenda privata».

Non contenti di questo articolo i nostri piccisti lo completeranno con un altro, scritto da una cariatide staliniana e cioè  Arturo Colombi , intitolato Amadeo Bordiga che apparirà su L'Unità del 31 ottobre 1970 e che riproduciamo dopo il primo dato che completa le falsità, e aumenta le infamie e le calunnie  contro un uomo che sempre mantenne limpida e chiara (oltre al suo comportamento personale) la sua posizione politica.

Eravamo incerti se riproporre questi due articoli nella sezione "articoli su" oppure in quella "gli scheletri nell'armadio" dove avevamo cominciato a riprodurre gli attacchi e le infamie degli anni trenta e quaranta del secolo scorso. Abbiamo optato per  "articoli su" per rimarcare che se non erano cambiate le falsità profuse a piene mani era cambiato il periodo storico e il pci,  ormai preda dello sbracamento democratoide, che un ventennio dopo avrebbe portato alla sua dissoluzione.

Tra i tanti errori (pro domo sua) che gli articoli contengono ci preme correggere quello con cui inizia l'articolo di  Colombi, sull'assegnazione cioè a Bordiga della carica di segretario del partito. Lo facciamo riproponendo qualche brano di una lettera di Bordiga del 2 febbraio 1967 dove si legge:

Il Partito comunista d'Italia costituito a Livorno il 21 gennaio 1921 non ha mai avuto di fatto e per le sue norme statutarie la carica personale di segretario del Partito e quindi io non ho mai ricoperto una tale inesistente carica, ma ero solo, (...), uno dei cinque membri del comitato esecutivo designato dal Comitato Centrale del Partito nominato a Livorno. Io e i compagni della mia corrente non abbiamo mai approvato il metodo di queste cariche unipersonali, e ne deploriamo i molti esempi tanto per i partiti della storica II Internazionale, tanto per tutti quelli contemporanei che hanno avuto la debolezza di farsi rappresentare dal "Segretario del Partito" o, peggio ancora, dal "presidente del Partito". Il Partito è organo collettivo e di natura collettiva sono anche gli ingranaggi in cui articolava e articola la sua azione quando sia conforme alla dottrina e al programma comunista, come noi li abbiamo sempre considerati."

 

 

* * *

 

 

Uomini, momenti e problemi della storia del movimento operaio

 

Bordiga

 

L' «astensionismo» - La concezione del partito come un piccolo partito massimalista, e la sua interpretazione del fascismo - la sconfitta del settarismo e la costituzione con Gramsci di un nuovo gruppo dirigente

 

La scomparsa di Amadeo Bordiga ha riproposto il tema della sua figura e della sua opera. Era nato a Resina (Napoli) nel 1889. Nel 1910 si iscrisse alla federazione giovanile socialista, che si collocava alla sinistra del partito e si distinse in essa per la sua intransigente opposizione  alle posizioni riformiste. Particolarmente dura fu la sua polemica contro i maggiori esponenti del socialismo napoletano e le loro «degenerazioni bloccarde»: nel 1912 fondò il circolo «Carlo Marx» che divenne il centro di raccolta dei socialisti rivoluzionari napoletani. Al congresso di Ancona nel 1914, opponendosi a quanti affermavano che nel Mezzogiorno i socialisti dovevano adottare una linea particolare, afferma che il processo rivoluzionario aveva uno svolgimento simultaneo e che di conseguenza, il, partito socialista doveva adottare una tattica unitaria. Apparivano già evidenti alcuni degli elementi positivi e negativi che sarebbero rimasti poi fondamentali nell'ideologia bordighiana; il rifiuto di ogni soluzione parziale o localistica ma, nello stesso tempo, l'identificazione di tattica e strategia, la difficoltà di passare in maniera efficace dall'elaborazione teorica all'attività pratica.

Particolare importanza, in quel periodo, ebbe la sua intransigente opposizione alla guerra

Anche per Bordiga, come per la direzione del PSI, la guerra sarebbe stata una parentesi: occorreva fare in modo che essa arrecasse il minor danno possibile al partito e, in particolare, non incrinasse la sua compattezza ideologica. Gli avvenimenti del 1917, e, soprattutto, la rivoluzione russa modificarono, in parte, queste posizioni. Nel novembre, i rappresentanti della frazione intransigente rivoluzionaria, che si era costituita nell'estate, e di cui faceva parte anche Bordiga, si riunirono a Firenze con i rappresentanti della direzione. Può anche darsi che in quella riunione Bordiga abbia posto la questione della conquista del potere, ma è certo che non solo dal convegno non venne fuori una linea rivoluzionaria, ma anche da parte di Bordiga il problema della rivoluzione continuò ad essere considerato un problema del dopoguerra. Di qui la mancanza di una indicazione politica di organizzazione e di lotta e la differenza notevolissima  dalle posizioni leniniste.

Nel novembre del 1918 Bordiga fondò  il «Soviet» che, non ostile in un primo tempo, alle posizioni della direzione massimalista andò poi assumendo atteggiamenti sempre più intransigenti, in particolare sulla questione dell'espulsione dei riformisti. Ma il «Soviet»  non diventò un centro di raccolta della sinistra, anche perché pose come motivo centrale della sua polemica quello dell'astensionismo: occorreva astenersi dalle elezioni per poter meglio preparare la rivoluzione. Ma si trattava poi di una preparazione che era vista in termini essenzialmente educativi e propagandistici, sicché Bordiga per questo aspetto fondamentale non si distaccava dalle posizioni massimalistiche.

La parola d'ordine dell'astensionismo non ebbe grande risonanza all'interno del PSI dove, nel maggio del 1919 aveva cominciato ad operare a Torino il gruppo dell' «Ordine Nuovo». Bordiga attacca subito la concezione dei «consigli» contrapponendo ad essa quella del partito, non leninista, ma inteso come un  nucleo di «puri», ideologicamente assai coeso, ma intorno a principi assai semplici, che si richiamavano al «manifesto dei comunisti»; un partito di propagandisti che elaboravano e diffondevano parole d'ordine, intorno alle quali si sarebbero raccolte le masse al momento della rivoluzione. In realtà, in quegli anni, pur ponendo al centro della sua attenzione  i «consigli» Gramsci era più vicino di Bordiga alla concezione leninista del partito.

Nel congresso di Bologna del 1919 le posizioni astensioniste furono nettamente battute. Alla constatazione dell'impossibilità di portare la maggioranza del partito socialista sulle sue posizioni, apparsa evidente già nel dibattito precongressuale, deve essere collegato il tentativo di Bordiga di entrare in rapporto diretto con Lenin comunicandogli la sua decisione di fondare un partito comunista in Italia, attraverso due lettere che furono intercettate dalla polizia. E' a queste lettere che si fa risalire la priorità di Bordiga nell'aver posto la questione del partito in Italia, ma quello voluto da Bordiga era, in realtà, un piccolo partito massimalista, che avrebbe dovuto lanciare rigide parole d'ordine, e svolgere un'intesa propaganda, nell'attesa dell'inizio del processo rivoluzionario, di cui esso avrebbe poi preso la direzione. Il gruppo bordighiano non si poneva il problema di come dare avvio al movimento, di come intervenire attivamente in esso, sicché, a questo proposito si può parlare dell'esistenza di forti legami fra le concezioni bordighiane di quel periodo e quelle serratiane.

In realtà il solo strumento d'intervento attivo nel processo rivoluzionario, che sia stato teorizzato e costruito in quegli anni furono i consigli di fabbrica. Ma la concezione ordinovista si affermò soprattutto a Torino e le tesi gramsciane, anche se ricevettero l'approvazione di Lenin alla vigilia del II congresso dell'IC, rimasero isolate nel PSI. La sconfitta del movimento di occupazione delle fabbriche accentuò questo isolamento e le polemiche che precedettero il congresso di Livorno, anche per l'intervento dell'Internazionale, si accentrarono intorno alla questione dell'espulsione dei riformisti. Era un problema che Bordiga aveva posto con maggiore insistenza degli altri, ed egli, di conseguenza, fu in quei mesi il maggiore antagonista di Serrati e diventò poi il capo del Pcd'I, che nacque dalla scissione di Livorno. I primi anni di vita del nuovo partito furono fortemente improntati dalla direzione di Bordiga, che ottenne l'approvazione della maggioranza per le sue tesi al congresso di Roma del 1922. Le difficilissime condizioni create dall'affermarsi del fascismo, la ferrea disciplina di partito rivoluzionario, la popolarità di Bordiga presso la base resero assai lenta la nascita di un gruppo leninista che potesse prevalere.

Soltanto nel 1923, per iniziativa di Gramsci, ebbe inizio la formazione di un nuovo gruppo dirigente, le cui posizioni però, come mostra la conferenza di Como del 1924, incontrarono forti resistenze nel partito. Quando, nel 1924, Bordiga partecipò al V congresso dell'Internazionale, poteva ancora contare sul sostegno di una parte del partito comunista italiano. Intervenendo nella discussione sul fascismo affermò che si era trattato solo di «cambiamento del personale governativo della classe borghese» e si oppose decisamente ad ogni tattica di fronte unico così come si era già opposto alla partecipazione dei comunisti al movimento degli arditi del popolo. Ma il congresso dell'IC insistette affinché i comunisti italiani arrivassero all'unità con i «terzinternazionalisti» guidati da Serrati.

Bordiga sembrò accettarne le decisioni, ma ritornato in Italia riprese la lotta per l'affermazione della sua linea che fu definitivamente sconfitta solo nel gennaio 1926 al congresso di Lione. Nel febbraio dello stesso anno Bordiga partecipò al VI plenum dell'esecutivo dell'IC, scontrandosi duramente con Stalin. Ancor più che al V congresso egli apparve come il maggior rappresentante della sinistra estrema ed il discorso che vi pronunciò fu, secondo il Carr, «l'unica seria opposizione che si udì durante la sessione»; il suo intervento fu diretto soprattutto contro le concessioni che venivano fatte ai contadini dell'URSS, ed in esso egli riprese tesi dell'opposizione interna russa, ed in particolare di Trotzkj. Tornato in Italia nel novembre dello stesso 1926, Bordiga che era stato già arrestato e processato nel 1923, fu nuovamente arrestato e inviato al confino. Fu liberato nel 1930. Invitato dal  partito comunista a ritornare alla lotta, non accettò e fu espulso. Gli ultimi quarant'anni della vita di Amadeo Bordiga non appartengono alla storia del movimento operaio ma costituiscono una vicenda privata.

 

Aurelio Lepre

 

 

 L'Unità, 29 luglio 1970

 

 

 

 

 

Amadeo Bordiga

 

Il primo segretario del Partito espulso nel 1930 - Rifiutò di riprendere il suo posto di lotta - Una concezione superficiale del fascismo ed una visione dogmatica del marxismo - La risatina ironica di Gramsci

 

Il primo segretario del Partito comunista fu l'ingegnere napoletano Amadeo Bordiga, ma la sua recente scomparsa non ha avuto un'eco nel Partito e nel movimento operaio. La spiegazione si trova nel fatto che Bordiga aveva abbandonato il partito e la vita politica da oltre quarant'anni per dedicarsi a private attività imprenditoriali. Coloro che, in tempi lontani, lo avevano conosciuto e stimato - i superstiti della generazione del 1921 - non ne hanno un buon ricordo.

L'espulsione di Amadeo Bordiga dal partito avvenne nel 1930. La motivazione del grave provvedimento fu il rifiuto, al momento in cui veniva liberato dal confino di Ponza, di mettersi a disposizione del partito e di riprendere il suo posto di lotta . Le divergenze ideologiche che certamente esistevano, non giustificavano il «no» a recarsi presso il centro del partito, per discuterle, dopo aver preso conoscenza dei documenti e avere un'informazione precisa sui termini del dibattito; tanto meno giustificavano il ritiro a vita privata.

L'abbandono della milizia attiva di un dirigente della statura e del prestigio di Bordiga fu un colpo per il partito impegnato in una lotta durissima contro la dittatura fascista. Quale effetto aveva sul militante e il dirigente di base, che metteva a repentaglio ogni giorno la sua libertà e la sicurezza della famiglia, sapere che il capo prestigioso verso il quale aveva avuto tanta fiducia, abbandonava la lotta per dedicarsi ai propri affari e alla propria famiglia?

Erano tempi difficili per il partito e le masse. la dittatura sembrava consolidata nelle sue strutture poliziesche e nel controllo organizzato delle masse; oscura si presentava la prospettiva di un mutamento della situazione; il partito era stato duramente provato dai colpi della polizia e dal fatto di trovarsi relativamente isolato. Una parte importante del quadro dirigente e molto militanti comunisti – compresi Gramsci, Terracini, Scoccimarro, Roveda, Parodi, ecc. che erano stati con Bordiga protagonisti del convegno di Imola e del congresso del San Marco a Livorno – erano sepolti per la loro fedeltà al partito e alla causa del comunismo, nelle prigioni e negli ergastoli del regime.

Le cause del ritiro di Bordiga sono di ordine politico e investono la sua formazione ideologica, che partiva da una concezione dogmatica e per tanti aspetti astratta del marxismo, e i suoi schemi deformanti che si scontravano con la dura realtà della dittatura di classe del fascismo e con gli aspetti acuti che aveva assunto la lotta politica di classe nel nostro Paese.

Bordiga aveva una concezione superficiale del fascismo, come dimostrava la risposta che egli diede ai dirigenti dell'Internazionale comunista a Mosca, nel momento in cui avveniva la marcia su Roma. A chi chiedeva il suo giudizio sulla portata e conseguenze politiche di tale avvenimento, Bordiga rispondeva che si trattava di un semplice cambiamento del personale governativo della classe borghese, un fatto che chiariva la situazione e che le cose per noi sarebbero andate meglio di prima.

Se si confronta questo giudizio, prodotto tipico dello schematismo bordighista, con quello che realmente aveva significato il cambiamento portato dall'ascesa del fascismo al potere e poi, con la emanazione delle leggi eccezionali per la difesa dello Stato, alla dittatura aperta, ci si rende conto della colpevole irresponsabilità di colui che era il capo del partito.

La prospettiva che si presentava al partito e a tutti i comunisti in quegli anni era quella di una lotta lunga e dura, combattuta senza esclusione di colpi, che richiedeva fermezza e tenacia, spirito di sacrificio, la capacità di sacrificare la propria libertà, con tutte le conseguenze che sarebbero ricadute anche sulla famiglia. Per affrontare una tale prospettiva occorreva avere una profonda coscienza rivoluzionaria e, per un dirigente come Bordiga, la conoscenza e comprensione del socialismo scientifico di Marx e di Lenin. E questo non era il caso di Bordiga.

Qui si trova anche la spiegazione del carattere definitivo del ritiro a vita privata. Infatti dal 1930 alla sua morte sono passati quarant'anni; in questo lungo periodo  vi sono stati profondi mutamenti della situazione interna e internazionale. Il fascismo è stato abbattuto con il concorso dell'azione delle masse e delle forze popolari alla cui direzione ha avuto una parte decisiva il partito comunista, divenuto una grande forza politica, il primo partito della classe operaia. Di fronte a questi avvenimenti, Bordiga è rimasto inerte spettatore, limitandosi a borbottare le vecchie formule schematiche e settarie, nutrite da insulti volgari verso il partito e uomini tanto più grandi di lui.

 Amadeo Bordiga ebbe una funzione di primaria importanza nel periodo della fondazione del partito. Tutti i comunisti lo consideravano una forte personalità politica, un capo impegnato, dinamico, dalla parola eloquente, che esercitava un forte fascino su un partito fatto di giovani protesi verso l'azione rivoluzionaria.

Bordiga portava al partito la vecchia frazione astensionista che al congresso di Bologna del PSI aveva ottenuto circa settantamila voti. Era la sola forza della sinistra socialista che fosse organizzata nazionalmente; aveva una disciplina di frazione e i suoi aderenti erano particolarmente devoti al loro capo. Allora ci apparve un fatto molto positivo, ma credo che guardando più a fondo le cose, ci si rende conto che l'esistenza di una tale frazione ha avute delle conseguenze negative per il partito, ne ha ritardato lo sviluppo ed ha reso tanto difficile il ricupero dei quadri e dei militanti educati da Bordiga. Aderendo alla frazione comunista. gli astensionisti avevano rinunciato alla loro pregiudiziale, ma conservavano tutte quelle posizioni che Lenin definiva come «malattia infantile del comunismo» e di queste avevano permeato il partito.

La scelta di Bordiga come segretario del partito si impose da sé e venne accettata da tutti come la migliore; venne accettata come tale anche da Gramsci, da Togliatti e dagli altri compagni dell' Ordine Nuovo. Questo errore collettivo si deve attribuire al fatto che i compagni dell' Ordine Nuovo, non ancora liberati dall'innaturale modestia e da una sorta di complesso di provincialismo che li affliggeva avevano rinunciato a farsi conoscere ed apprezzare dal partito per il loro valore reale.

Giudicando storicamente la superiorità di Gramsci – e del gruppo torinese – su Bordiga, anche al momento della fondazione del partito, appare schiacciante; ed era superiorità teorica e culturale, superiorità dovuta alla esperienza acquisita con la partecipazione e direzione delle grandi lotte del proletariato torinese, superiorità morale per il legame stretto stabilitosi con il contatto permanente con la classe operaia più avanzata del tempo.

Bordiga che risiedeva a Napoli, aveva partecipato dall' esterno e da lontano alle grandi lotte della classe operaia degli anni 1919-20, non aveva mai avuto un contatto diretto con la classe operaia e con i suoi problemi. Il suo schematismo non si era mai scontrato con la realtà concreta del movimento operaio e dei suoi problemi.

Bordiga si attribuiva il merito di aver posto per primo il problema della esclusione dei riformisti dal partito, che a Livorno costituiva il problema di fondo che divise il partito socialista e portò alla fondazione del nostro partito. Nel corso del suo chilometrico intervento al III Congresso del partito a Lione, Bordiga vantava ancora una volta questa primogenitura per dimostrare che era stato il solo ad avere questa posizione lungimirante. Durante la pausa che ne era seguita, conversando con Gramsci, riprese l'argomento; ho sempre viva nella memoria la risatina ironica di Gramsci quando esclamava: leninista prima di Lenin, ehh, ehh!

Credo che questo giudizio espresso da Gramsci trascenda, per il suo valore, la risposta data alla presunzione di Bordiga. E' vero che Bordiga aveva posto il problema della esclusione dei riformisti dal partito nel convegno socialista di Firenze, già nel 1916 [sic, si tratta del 1917], ma ciò non toglie che egli non sia mai riuscito a comprendere il vero significato della concezione leninista del partito, che Bordiga concepiva come una setta. Bordiga non ha dato nessun contributo valido alla elaborazione teorico-politica e organizzativa del partito; il bordighismo riproduce il primitivismo schematico proprio del massimalismo, il suo primitivismo e lo spontaneismo, il tutto coperto dall'intransigenza formale e da una pretesa purezza. Il fatto è che non vi è discorso, documento o scritto di Bordiga che gli sia sopravissuto.

 

Arturo Colombi

 

L'Unità, 31 ottobre 1970