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archivio > Lettere di Bordiga>15. La discussione nella Frazione (1), (Prometeo, n. 139, 22 novembre 1936)

aggiornato al: 08/08/2009

Prometeo n. 139, 22 novembre 1936

Siamo ancora al n. 139 del novembre 1936 di  Prometeo e pubblichiamo ora la prima parte di quanto si riferisce al dibattito nella Frazione; con la prossima puntata termineranno gli articoli che si riferiscono al n. 139 del giornale.

 

15

 

La nuova posizione della minoranza significa equivoco e duplicità

 

 

Conoscevamo la posizione degli «interventisti» della prima edizione, posizione che aveva pertanto una certa logicità nella sua aberrante illogicità. Battere avanti tutto Franco, poi si sarebbe passati alla seconda fase, alla rivoluzione proletaria di cui le «collettivizzazioni» in Catalogna rappresentavano una primizia. Presa Saragozza, vinta la sedizione dei generali, le milizie anarchiche e pumpiste avrebbero marciato su Madrid facendola finita coi Caballero e cogli altri agenti della borghesia. Mettendosi su questo terreno, abbandonando cioè quello classista che aveva permesso al proletariato nelle giornate di luglio di abbattere effettivamente il fascismo a Barcellona e a Madrid, bisognava essere logici sino al fondo.

Alla guerra come alla guerra.

Contro un esercito moderno, superiormente attrezzato, non si combatte alla partigiana come lo si è fatto nel 1793. Quando, del resto, ai generali del vecchio regime i rappresentanti della Convenzione prospettavano il dilemma: la vittoria o la ghigliottina. Mentre oggi i capi militari del Fronte Popolare possono impunemente sabotare le operazioni e mandar al macello i proletari.

Quindi diventavano necessarie la militarizzazione, il comando unico e la disciplina militare, vocaboli tutti che avrebbero fatto impennare gli anarchici e la C.N.T. anche in un passato molto recente. Ma la minoranza – o, per essere più precisi, la ex-minoranza che attualmente non sappiamo più che cosa precisamente rappresenti – si è fermata a mezza strada. Male, molto male. Si è adottata infatti una posizione che non sappiamo se più balorda o criminale. Prendendo pretesto dalla militarizzazione, essa ha disertato il fronte militare, ha abbandonato i proletari che sino allora aveva incitati e si è portati sul retrofronte a far… proprio quello che si è rimproverato a noi della Frazione, gabellandoci di disfattisti. La dichiarazione infatti che gli ex-combattenti della colonna del Poum hanno redatto, di ritorno a Barcellona, precisa che essi intendono «dare oggi un contributo di maggior efficacia alla causa del proletariato spagnolo col lavoro politico e sociale indispensabile a preservare e rafforzare l’efficienza ideologica rivoluzionaria delle organizzazioni operaie che devono riprender sul terreno politico e sociale l’influenza che le nuove condizioni hanno attenuato sul terreno della direzione militare». No, egregi compagni della ex-minoranza, la vostra dichiarazione è incoerente. Se si crede ancora di dover lottare –o far lottare gli altri- «sul fronte militare», non si può deviare in altro campo la propria attività e la esperienza.

Come durante la guerra imperialista combattemmo la formola equivoca del «non sabotare né favorire la guerra» perché ogni guerra non sabotata era ai fatti favorita, così oggi se si crede ancora alla «guerra rivoluzionaria» in Spagna chi non la combatte la sabota ai fatti. Lo si voglia o no.

Oppure ci si deve mettere sul terreno della Frazione che considera esiziale ogni «fronte militare» che sostiene il ritorno sull’unico fronte che la classe operaia può rivendicare, quello classista. E si diventa allora dei «disfattisti», dei «sabotatori».

Disfattisti e sabotatori  perché insorgiamo contro la turpe incetta di proletari per cui alla tratta dei neri, dei bianchi si aggiunge oggi la tratta dei «rossi» per conto del capitalismo mondiale. Di fronte alla campagna, più o meno aperta, di reclutamento i governi di Francia e di Belgio chiudono un occhio, se non tutti e due. E la borghesia si frega le mani: tanti sovversivi di meno in casa propria.

L’Unione sacra per la guerra mondiale, in mancanza di quest’ultima, serve tuttavia a qualcosa.

Solo la ex-minoranza non vede il baratro in cui precipita il proletariato spagnolo.

Franco massacra, di Vajo annuncia a Ginevra di aver messo al sicuro gli ostaggi –come è stato fatto coll’oro- perché domani possano, almeno in gran parte, partecipare al massacro finale dei proletari.

E’ la quinta colonna su cui fa affidamento Mola. Leggiamo oggi la notizia ufficiale –noi vi avevamo già accennato-  che Primo de Rivera figlio, il capo dei falangisti spagnoli, era tutt’ora in carcere e solo oggi condannato dal tribunale popolare di Alicante. Perché tanti riguardi con simili canaglie?

Per non urtare l’opinione societaria, si asserisce. Per non provocare complicazioni con Berlino o Roma o per determinare un più largo intervento della Russia e dei paesi «democratici»?

Che parli chiaro la minoranza. Approva o no l’incetta che si fa dei proletari per farne carne da macello sui fronti militari di Spagna e la campagna per la «levata del blocco» ai danni della Spagna, cioè per lo scatenamento del più vasto macello mondiale?

Il cittadino Candiani è stato, a tale proposito, reticente e sommamente ambiguo. Almeno con noi, ché con altri è stato più esplicito.

E’ ancora per l’andata in Spagna, ma non più al fronte militare. E’ dimissionario causa la militarizzazione ed al tempo stesso non lo è.

Sarebbe restato al fronte, se spagnolo o se avesse avuto dietro di sé una forte organizzazione. Questi distinguo –residuati certo della sua passata educazione presso i gesuiti-  debbono cessare. La minoranza deve pronunciarsi nel modo più cristallino e accettare in pieno la responsabilità.

La gravità dell’ora lo richiede. Sovratutto essa deve spiegare certe mene in atto.

Cosa significano certi contatti con rottami della fu NOI? Certe collusioni con noti avventurieri internazionali –in previsione forse di una V Internazionale- cui gli ex-minoritari dovrebbero apportare il contributo –prezioso per certe puttane della manovra e dell’intrigo- della appartenenza a quella Frazione di sinistra italiana contro la cui saldezza granitica ideologica ed organizzativa sino ad oggi si erano infranti tutti gli sforzi dei nemici di classe.

Di quella Frazione di sinistra italiana che, se pur oggi intaccata nel suo settore ideologicamente più debole, saprà superare la prova non permettendo, ce lo auguriamo, ai nemici di tutte le risme che racimolare delle scorie.

GATTO MAMMONE

 

 

 

 

LA DISCUSSIONE IN SENO ALLA FRAZIONE

 

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Primi sondaggi nella situazione internazionale

 

Gli avvenimenti che hanno accompagnato l’occupazione italiana dell’Etiopia, il riarmo della Renania, per non citare che i più importanti pongono una doppia ipotesi: il conflitto inter-imperialistico mondiale è stato semplicemente rinviato, orbene assistiamo ad una nuova evoluzione delle situazioni? Questo problema è messo particolarmente in evidenza dagli avvenimenti attuali in Ispagna che forniscono degli elementi importanti per arrivare a delineare le conclusioni interessanti il movimento proletario. Ma ancora una volta non di tratta di indovinare  una certa situazione per stabilire la tattica che vi sarebbe appropriata, ma di dare una soluzione di principio al problema che la realtà presenta, questa soluzione restando valida per qualsivoglia evoluzione della situazione giacché il proletariato ha una sua politica propria, si batte per essa giacché accoppiare la sua posizione a quella di altre forze sociali significa sacrificio definitivo della sua indipendenza, disfatta sicura della sua battaglia.

Se dunque noi riteniamo indispensabile un’indagine degli ultimi avvenimenti internazionali, non è perché consideriamo che la soluzione debba trovarsi nella profezia dell’indomani, ma perché, per agire nelle situazioni attuali, il proletariato ha urgente bisogno di dare una soluzione di principio a certi problemi sui quali finora aveva creduto di poter soprassedere, di non dare una risposta programmatica, rimettendo all’indomani di pronunziarsi definitivamente. All’ultimo Congresso della frazione, per accordo unanime, avevamo lasciato in sospeso la questione della definizione dello Stato russo (questo in modo esplicito) e non avevamo insistito per allargare la discussione sulla questione della guerra. Su quest’ultimo problema, in particolare nella questione coloniale, delle divergenze si erano manifestate ma avevamo creduto di non doverle portare ad uno sviluppo definito. Ed in un certo senso non si poteva agire altrimenti. I marxisti non possono operare sull’astratto, ma sulla tavola d’operazione che rappresenta la realtà sociale: gli avvenimenti recenti ed in particolare quelli spagnoli permettono ai marxisti di operare sul concreto e noi che pretendiamo essere dei marxisti, abbiamo il dovere di procedere alla indagine necessaria per individuare le questioni di principio da risolvere, giacché, insistiamo ancora un volta, quello che interessa non è di sapere quale è la prospettiva delle situazioni, ma quali sono le armi che fino ad oggi, e quale che sia la situazione domani, potranno permettere la vittoria della classe proletaria.

Per quello che concerne le due questioni dello Stato russo e della guerra noi ci eravamo in qualche sorta affidati al corso delle situazioni e, basandoci sullo schema degli avvenimenti del 1914, avevamo la ferma convinzione che le situazioni avrebbero proceduto al doppio e parallelo precipizio: da un lato antagonismi inter-imperialistici sboccanti nella guerra mondiale, dall’altro lato termine estremo della degenerazione centrista che, sotto la bandiera del “socialismo in un solo paese” avrebbe chiamato i proletari a farsi massacrare nella guerra.

La maturazione estrema del corso delle situazioni ci avrebbe permesso di dare una soluzione alle questioni politiche nelle quali esisteva il disaccordo e credevamo di essere tutti al riparo da eventuali errori giacché tutti eravamo d’accordo per rompere ogni solidarietà con lo Stato russo degenerato.

Quali sono i dati delle situazioni recenti ed attuale? Compromessi inter-imperialisti su tutta la linea, ma processo di maturazione completa dal punto di vista sociale. Se abbiamo la liquidazione dell’impresa etiopica ed il riarmo della Renania, quello che può essere interpretato come un rinvio della guerra mondiale, abbiamo però la manifestazione inequivocabile dell’Unione Sacra in tutti i paesi. Dei due confluenti verso lo sbocco della guerra: l’uno, quello degli antagonismi inter-imperialistici ha deviato verso il compromesso, ma l’altro è giunto verso il suo punto estremo, cioè alla realizzazione dell’Unione Sacra. Per dare uno sguardo – fuggitivo in questa occasione – alla crisi della nostra frazione, e nei confronti degli avvenimenti spagnoli, la minoranza afferma che nulla esclude che la guerra imperialista sorga da questi avvenimenti, ma che fino ad ora essa non si è ancora presentata ed esistono quindi delle possibilità di lotta per la rivoluzione. E perché la minoranza dice che la guerra imperialista non vi è ancora? Ma perché non appaiono, come posta della lotta, gli interessi opposti dei differenti imperialismi. È nostra convinzione profonda che questi antagonismi non si presenteranno e che la traccia degli avvenimenti spagnoli seguirà il corso del duello esclusivo fra borghesia e proletariato, mentre intorno alla prima si trova il blocco solidale di tutte le forze della conservazione sociale: degli Stati fascisti, democratici e socialista, di tutte le correnti ostili ed estranee al proletariato rivoluzionario: dai socialisti ai centristi, agli anarchici per finire alla minoranza della nostra frazione. Dalla parte del proletariato resta – può sembrare ridicolo ma è purtroppo così – la sola maggioranza della nostra frazione ed a quanto sembra – ma non possiamo ancora verificarlo – il gruppo dei comunisti olandesi.

La nostra frazione, per avere la forza politica necessaria ad affrontare fin dal primo giorno gli avvenimenti spagnoli, avrebbe dovuto possedere una soluzione inequivocabile sul problema della guerra e sullo Stato russo. Che cosa è la guerra? La manifestazione estrema e crudele del duello fra proletariato e borghesia, la manifestazione capitalista di questo punto terminale a cui si può unicamente opporre la rivoluzione e la lotta per la rivoluzione? Oppure è essa l’esplosione delle contraddizioni fra gli imperialismi che, perché  non interessa il proletariato, esige da parte di quest’ultimo una opposizione senza quartiere? Noi, e su questo punto i comunisti olandesi con noi, optiamo per la prima interpretazione della natura della guerra, basandoci sovratutto sul fatto che lo spostamento delle zone di influenza dei gruppi antagonisti non farebbe della guerra un elemento di conservazione del regime capitalista e di liquidazione  dei fattori più gravi del suo dissesto, mentre la distruzione colossale dei prodotti e della forza sociale della produzione che è il proletariato, rappresenta un elemento favorevole per la conservazione del regime borghese giacché attenua provvisoriamente la rivolta delle forze di produzione contro i limiti forniti dalle basi stesse della società borghese. Ed è bene questo lo scoglio su cui urta il regime e sul quale esso si romperà infine le vertebre, come Marx ce lo ha insegnato. L’applicazione di questo criterio avrebbe permesso alla nostra frazione di dare immediatamente una risposta agli avvenimenti spagnoli successivi al soffocamento dello sciopero generale. Ci saremmo posto il problema in altri termini: il fronte nel quale gli operai spagnoli credono di combattere per il socialismo è capitalista o proletario? Se è il primo, esso è l’opposto del secondo e la direttiva comunista consiste nella diserzione immediata per realizzare la condizione indispensabile per costruire il fronte opposto della lotta proletaria. È esatto che il manifesto della frazione parla nettamente di questa opposizione fra i fronti territoriale e sociale; ma è altresì vero che nella delimitazione politica nei confronti della minoranza della frazione noi non abbiamo categoricamente posto il problema nei termini conseguenti che consistono nella ripetizione, con il linguaggio del 1936, delle stesse questioni che il movimento proletario aveva tragicamente liquidato nel corso dell’ultima guerra.

Per definire la natura di un fronte, noi crediamo che la formulazione seguente non possa offrire la minima divergenza: dal momento che su quel fronte non si lotta verso la distruzione dello Stato capitalista, noi siamo in presenza di un bastione capitalista ed opposto al proletariato. E qui vogliamo insistere, per evitare un artificio polemico, che non avrebbe nessun senso, che intendiamo parlare di tendenza verso questa distruzione e non della realizzazione immediata di essa. Non si tratta di fare la rivoluzione ad ogni istante, ma di restare sul terreno che può condurre alla rivoluzione, quello della lotta di classe ed unicamente di esso. Ciò che può significare – come ne è il caso attualmente per la Spagna – che la superiorità del nemico può essere tale da rendere impossibile ogni lotta proletaria, ma allora si deve almeno tradurre, in termini politici, la lezione dell’ora e, come nel 1914, più ancora che nel 1914, constatare l’impossibilità di agire giacché il fatto stesso dell’immobilità materiale (che è poi estrema mobilità dal punto di vista politico) rappresenta la continuità della lotta del proletariato, l’ancora a cui potranno agganciarsi le masse nel corso dell’evoluzione ulteriore delle situazioni.

L’altro problema è quello della natura dello Stato russo. È o non è uno Stato proletario? All’ultimo Congresso un compagno della minoranza ci rispondeva: secondo Vercesi, se non esistesse, il capitalismo lo inventerebbe lo Stato russo. A parte la formulazione, che evidentemente nemmeno nell’idea del compagno voleva avere una significazione, resta il fatto importante e di una eccezionale importanza, che lo Stato russo può essere utile alla causa del capitalismo unicamente perché è uno Stato proletario. In effetti che cosa ci dicono gli avvenimenti spagnoli? Nel campo delle zone controllate dai bianchi nessun dubbio è possibile: è attraverso il terrore spietato che il proletariato è spiazzato dalle sue basi di classe? Gli avvenimenti parlano chiaramente: è lo Stato russo e questo non solamente dal punto di vista dell’intervento militare, ma altresì per quanto concerne l’evoluzione politica.

In Spagna, in effetti, il pilone del Fronte Popolare è rappresentato dal partito centrista che sospinge alla prima costituzione del governo Azana nel febbraio di quest’anno, determina l’elezione presidenziale dell’“antifascista” Azana e, successivamente, evolve verso un più aperto intervento che sarà rappresentato dal governo di Caballero. Le differenti altre formazioni politiche e quelle numericamente estremamente più forti, gli anarchici, come il POUM (partito anticentrista, ma ancora più arretrato dello stesso partito centrista) si concentreranno intorno al governo Caballero. In Ispagna, come in tutti i paesi, la forza più attiva per trattenere la classe operaia del paese ed internazionale sulla base dei fronti capitalisti è rappresentata dai partiti centristi i quali sono all’avanguardia  nella formazione delle rispettive Unioni Sacre.

Lo Stato russo, se non fosse ancora oggi proletario, si troverebbe nella impossibilità assoluta di svolgere una tale funzione nel seno del movimento operaio internazionale. Come i sindacati belgi, inglesi, francesi, non potrebbero svolgere la funzione controrivoluzionaria, che noi malauguratamente conosciamo, se essi non fossero ancora delle organizzazioni di classe. È noto che nei confronti dello Stato – ed a causa del suo ruolo nel quadro della lotta di classe, della sua natura fondamentalmente ostile al proletariato, di flagello malgrado tutto necessario, come diceva Engels – noi sosteniamo che non è possibile di ripetere la tattica impiegata nei sindacati diretti dai riformisti: la lotta contro lo Stato russo degenerato non può essere fatta nel senso della sua conquista, ma di una lotta frontale contro di esso, allo stesso titolo che contro gli Stati capitalisti.

Non dipende dal caso se quelli che nella nostra frazione sostenevano un apprezzamento più radicale sullo Stato russo, si trovano oggi – nella situazione attuale – accodati a questo stesso Stato (per un marxista le proclamazioni di intenzioni contano nulla, e questo nel migliore dei casi) e sono integrati in un apparato statale – il catalano – che è mille volte più reazionario di quello stesso russo. Lo abbiamo sempre detto e gli avvenimenti non fanno che confermarlo: la degenerazione di un organismo (l’Internazionale Comunista) deve spingerci a trovare una soluzione nel senso del suo superamento, ma restando sullo stesso terreno dell’arricchimento delle nozioni politiche e teoriche della lotta proletaria attraverso il partito di classe, questa degenerazione non deve giammai portarci ad uscire dal terreno maestro: le proclamazioni più radicali dell’apprezzamento dello Stato russo dovevano portare la nostra minoranza a rompere brutalmente con il marxismo, come lo avevano fatto i sindacalisti nel periodo che precedette nel periodo che precedette il 1914.

Anche se i problemi dell’opposizione inter-imperialista non si presentano, il fronte è capitalista e vi si risolvono gli stessi problemi di quelli di una guerra imperialista mondiale. Tutte le forze che gridano ad una rivoluzione in Ispagna, ma non chiamano gli operai a disertare questo fronte, rappresentano altrettanti ganci dell’influenza capitalista nel seno delle masse a cui fanno credere che ci si può battere per il socialismo in un fronte dove esse sono massacrate nel nome e per interessi capitalisti. L’istrione che è messer Tasca ha detto che le iene fasciste sperano di trovare nel cimitero che essi contano diventi la Spagna, un territorio dove sarà possibile investire capitali ed inviare operai. L’istrione non aggiungerà – e questo è nella logica – che è nella stessa direzione che agisce l’imperialismo francese in combutta d’altronde con quello degli altri paesi e con lo Stato sovietico.

Gli avvenimenti spagnoli possono rappresentare una indicazione per l’evoluzione degli avvenimenti anche in Italia. Essi ci dicono in modo inequivocabile che, se il fascismo riuscirà ad impedire che l’attacco rivoluzionario del proletariato si estenda su tutto il paese, se esso conserverà il suo dominio sulle parti più arretrate del paese, la condizione indispensabile per impedire il successo nemico consiste nella formula di Lenin: non abbiamo territori da difendere fino a quando non avremo lo Stato nelle mani; e fino a questo momento, l’unica direttiva consiste nella trasformazione in guerra civile della guerra imperialista o altrimenti dello smantellamento del fronte capitalista per la costruzione dell’opposto fronte di classe del proletariato.

 

VERCESI