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archivio > Archivio sulla sinistra>La Conferenza del compagno Bordiga (Il Lavoratore, 2 settembre 1922)

aggiornato al: 10/01/2008

Il Lavoratore 2 settembre 1922

Riproduciamo questo sconosciuto resoconto di una conferenza tenuta da Amadeo Bordiga a Trieste il primo di settembre del 1922 tratto da « Il Lavoratore» del 2 settembre 1922.

Nell'estate del 1922 il Partito Comunista d'Italia si batteva compatto contro la fusione con il PSI indicata da Mosca mentre in Italia aumentavano gli scontri con i fascisti e l'Alleanza del Lavoro nata nel febbraio su iniziativa del sindacato dei ferrovieri proclamava per agosto uno sciopero generale. In un articolo di fine luglio («Il regime alla deriva», L'Ordine nuovo, 26 luglio 1922) Bordiga aveva scritto:

«I fascisti vogliono buttare giù il baraccone parlamentare? Ma noi ne saremmo lietissimi. I collaborazionisti vogliono la sciopero generale, che hanno sempre avversato e sabotato per la difesa diretta ed effettiva dei lavoratori, se sarà necessario per le manovre della crisi? Benissimo. Il pericolo maggiore è ancora e sempre quello che si mettano tutti d'accordo a non smuovere le acque per una soluzione parlamentare e legale».

Nella conferenza Bordiga prende in esame lo sciopero generale (lo sciopero iniziato il primo agosto il tre agosto è già sospeso: "sciopero legalitario" verrà poi chiamato) ed il suo fallimento. Lo sciopero che nelle intenzioni dei suoi promotori avrebbe dovuto creare le condizioni per un cambiamento della situazione contribuì invece a dare e lasciare l'iniziativa al fascismo.

Poi, nell'ottobre del 1922 si tenne il Congresso del PSI con l'espulsione dei turatiani e L'I.C. diede l'indicazione di organizzare commissioni paritetiche per la fusione tra PCdI e PSI; il 28 dello stesso mese ci fu la "marcia su Roma" e poi Bordiga partì per Mosca per partecipare al IV congresso dell'Internazionale Comunista.

 

 

Per la difesa di classe e la lotta ad oltranza

La conferenza del compagno Bordiga

 

Una folla di lavoratori è accorsa ieri sera alla Camera del lavoro per ascoltare la conferenza del comp. Bordiga.

Il nostro compagno ha subito iniziato il suo dire precisando che egli avrebbe svolto il tema «Il Partito comunista e il momento attuale», esaminando lo svolgimento dello sciopero generale, l'eredità lasciata dallo sciopero generale e le prospettive del Partito Comunista di fronte alla nuova situazione.

A voi tutti è noto - egli disse - che l'idea dello sciopero generale è stata lanciata dal partito comunista ed è stata agitata nella stampa nostra e nella nostra propaganda per un anno e mezzo. Lo sciopero generale è avvenuto. Anche quelli che per un anno e mezzo ci hanno aspramente combattuto hanno in parte desistito dagli attacchi contro di noi, perchè sono costretti a riconoscere la nostra dirittura e la nostra lealtà.

Ma noi dobbiamo domandarci: si è forse realizzato il programma che il Partito comunista poneva a base della sua agitazione per lo sciopero generale? I risultati ottenuti dallo sciopero generale non sono certamente quelli che ci eravamo ripromessi. La situazione del proletariato di fronte alla borghesia non è mutata ed è forse peggiore di prima.

 

L'agitazione comunista per lo sciopero generale

Noi abbiamo sempre ripetuto che lo sciopero generale è un'arma che bisogna saper impugnare. L'arma dello sciopero generale è stata male impugnata, e ciò è facilmente dimostrabile.

La nostra agitazione per lo sciopero generale si è basata su questo principio: l'offensiva borghese sferrantesi con tutti i mezzi obbedisce a un programma unico e generale. Per tenere testa all'offensiva borghese bisogna attuare la lotta generale. Noi dicevamo: lo sciopero generale è una mobilitazione del proletariato. Per fare questa mobilitazione occorre una preparazione. Questa preparazione deve essere ideale e materiale, ossia deve essere condotta nel campo delle opinioni, del pensiero e nel campo dell'organizzazione tecnica.

Abbiamo detto: noi siamo un partito di minoranza. Finché le masse proletarie non seguiranno tutte le nostre bandiere non potremo noi soli condurre la lotta generale, perchè vi sono altre masse le quali seguono altri partiti, altre correnti. Perciò abbiamo deliberato di rivolgerci alle altre organizzazioni. In questo senso abbiamo rivolto gli appelli per il fronte unico e per lo sciopero generale.

Ma, meno i libertari e i sindacalisti veramente rivoluzionari, tutti ci furono contrari. Abbiamo agitato tale proposta in tutte le assemblee proletarie e fummo combattuti non solo dai socialisti di destra, ma anche dai massimalisti. Per lungo tempo gli oratori comunisti sono stati urlati dalla maggioranza confederale in tutti i Congressi e in tutti i Consigli nazionali delle organizzazioni sindacali.

 

L'atteggiamento dei dirigenti

Alla nostra proposta di sciopero generale una parte dei socialisti, quella che ha in mano la dirigenza della Confederazione, ha risposto con la campagna per la collaborazione con una parte della borghesia. Alla nostra propaganda per la lotta e per la riscossa, questi capi indegni della classe operaia, hanno risposto proponendo l'alleanza parlamentare con la cosiddetta sinistra democratica, allo scopo di far avere ai deputati socialisti una parte dei posti nel gabinetto d'affari della borghesia. Una parte del proletariato fra la nostra proposta che significava sacrifici e lotte e la campagna dei D'Aragona e del Baldesi i quali propagandavano fra i lavoratori l'illusione che il fascismo sarebbe pacificamente scomparso qualora i deputati socialisti avessero partecipato al Governo insieme ai ministri della borghesia, ha preferito seguire questo secondo metodo.

Noi abbiamo intensificato la nostra campagna per il fronte unico e per la riscossa, e finalmente è stata costituita L'Alleanza del lavoro. Ma questa, invece di costituire l'affasciamento delle forze operaie e di assumersi l'immediata organizzazione della lotta, è sorta come un concilio di funzionari ove predominavano quelli stessi elementi che avevano condotto la più aspra campagna contro lo sciopero generale.

Noi allora abbiamo concentrato tutti gli sforzi perchè l'Alleanza fosse un organismo vivo. Noi abbiamo detto: non pretendiamo di risolvere ad un tratto il problema sociale, poiché nel campo operaio vi sono varie tendenze politiche. Ma noi vogliamo metterci d'accordo sulla questione della difesa dei salari, della lotta contro la disoccupazione e contro l'aumento dell'orario di lavoro, della difesa delle organizzazioni proletarie.

Gli operai di tutti i partiti e quelli che non appartengono a nessun partito sono impegnati in tali rivendicazioni. Non abbiamo che da unirle ed organizzare la lotta unica.

Poniamo queste rivendicazioni a base della lotta generale, e non vi sarà nulla di incompatibile né per l'operaio anarchico né per l'operaio socialista.

Poco prima della caduta del Ministero Facta negli organismi centrali veniva lanciata in segreto una quantità di programmi. Chi dichiarava che lo sciopero generale doveva essere proclamato solo alla vigilia della grande rivoluzione e trovava i nostri obbiettivi troppo modesti; chi voleva la repubblica con a capo D'Annunzio, chi la repubblica con a capo Nitti.

 

La crisi ministeriale

Finalmente dopo la caduta del Ministero Facta si cominciò a parlare segretamente di sciopero generale, ma fra grandi armeggi e con obiettivi confusi.

Noi abbiamo sempre ripetuto che una  delle prime condizioni per assicurare la riuscita dello sciopero generale era la scelta della situazione adatta. Lo sciopero generale non può essere proclamato ad una certa ora di un dato giorno ma invece quando una intera categoria o una regione  sono impegnate per la difesa economica delle istituzioni proletarie, allora è necessario far scendere in campo tutta la classe operaia.

Durante l'agitazione dei metallurgici noi abbiamo proposto l'allargamento del movimento. Al Consiglio Nazionale confederale di Genova la nostra proposta di allargamento dello sciopero metallurgico è stata respinta dalla maggioranza socialista di tutte le tendenze, meno la tendenza terzinternazionalista. Dopo i fatti di Novara abbiamo ripetuto la nostra proposta. Invece gli emissari confederali si sono recati nelle province in sciopero per ordinare la ripresa del lavoro. Altrettanto abbiamo fatto durante lo sciopero della provincia di Forlì e di Ravenna, ma con uguale risultato.

 

L'attuazione dello sciopero

Era insomma la politica della tendenza di destra che dominava l'Alleanza del Lavoro. La quale tendenza credette giunto il proprio momento quando cadde il Ministero Facta.

Allora sempre segretamente si è cominciato a ventilare l'idea dello sciopero generale non per alzare la bandiera della riscossa, ma per speculare sulla spinta offensiva delle masse e sulla lealtà del Partito comunista per dire alla borghesia: volete che noi facciamo rientrare le masse al lavoro? Ebbene firmate un patto con noi in modo che alcuni parlamentari socialisti facciano parte del nuovo gabinetto d'affari della borghesia. Ecco come è stato proclamato lo sciopero generale.

Ventiquattr'ore prima noi abbiamo detto ai dirigenti l'Alleanza del Lavoro: «Lanciate un manifesto ai lavoratori e spiegate che la vostra ostilità contro lo sciopero generale è caduta invitando le masse alla battaglia per la loro difesa di classe. Dite agli operai che si preparino». I dirigenti si sono rifiutati dicendo che essi avevano diramato ordine segreti per la simultanea proclamazione dello sciopero.

Ora io debbo dirvi che in molti posti i dirigenti riformisti si sono rifiutati di credere che i loro stessi compagni avessero proclamato lo sciopero generale e si sono trincerati dietro il pretesto della attesa di ordini. Invano i comunisti si sono offerti: in molte località è così passato il primo e il secondo giorno. Lo schieramento operaio si generalizzava a poco a poco e già si manifestava il proposito del sabotaggio da parte dei dirigenti perchè la soluzione della crisi parlamentare era diversa.

 

La cessazione del movimento

Creatasi dunque tale situazione i capi riformisti non avevano più ragione di persistere nello sciopero e terrorizzati dall' «ultimatum» fascista, essi proclamarono la cessazione dello sciopero sei ore dopo che l' «ultimatum» era stato lanciato, e mentre le squadre fasciste erano già in marcia.

Ora queste squadre erano prima esitanti, perchè lo sciopero generale le teneva impegnate nei vari posti. Ma quando lo sciopero cessò, esse riacquistarono libertà di azione, scelsero sette od otto località, ivi si sono concentrate ed hanno battuto il proletariato, malgrado la eroica difesa di quest'ultimo. Il tradimento e il disfattismo dei dirigenti riformisti hanno quindi raggiunto il colmo nella chiusura dello sciopero.

Quale è stato il contegno del Partito comunista?

Noi abbiamo fatto il nostro dovere fin dall'inizio della campagna nostra per lo sciopero generale, noi abbiamo sempre messo in guardia i capi sulla necessità della precisione degli obiettivi e soprattutto sulla preparazione e sull'organizzazione materiale del movimento, ma proclamato lo sciopero noi abbiamo saputo dimostrare che il Partito comunista è là dove si agisce e ci siamo imposti la disciplina durante tutta la durata dello sciopero.

 

Il disfattismo e il tradimento

Che cosa è avvenuto? Il Comitato Centrale del Sindacato Ferrovieri, composto in maggioranza di dannunziani, ha deliberato di spezzare il fronte unico operaio, staccandosi dall'Alleanza del Lavoro. L'Unione Italiana del lavoro, con un manifesto pieno di luoghi comuni e di frasi generiche, il quale conclude inneggiando alla repubblica dei Sindacati, che non si sa che cosa sia, ha deliberato anche essa di staccarsi dalla Alleanza del lavoro. Ora è bene ricordare che i capi dell'Unione Italiana del Lavoro sono quelli stessi che mentre nel periodo pacifico dello sviluppo proletario, fino al 1914, si erano proclamati sindacalisti rivoluzionari, scoppiata la guerra, sono passati all'altra riva ed hanno aderito alla politica di guerra della classe borghese. Finita la guerra essi sono rientrati nel campo di lotta del proletariato ed ora, in mezzo alla bufera, spezzano ancora una volta il fronte unico operaio, rafforzando così la reazione.

Mentre rendiamo il dovuto onore agli operai sindacalisti che si sono splendidamente battuti nelle vie di Parma e a quelli avanguardisti repubblicani che, malgrado la viltà dei loro capi, si sono battuti a fianco degli operai comunisti a Forlì e a Ravenna, dobbiamo pur rilevare che buona parte di responsabilità del distacco dell'Unione Italiana del Lavoro dall'Alleanza spetta ai capi del Partito repubblicano.

Ancora: All'indomani della chiusura dello sciopero generale i dirigenti confederali fanno sapere che essi romperanno il patto d'alleanza con il partito socialista. Ora noi non ci preoccupiamo di quel gran punto interrogativo che è il partito socialista, ma sappiamo che tale decisione dei capi confederali è determinata dalla volontà di svuotare l'organizzazione confederale di ogni contenuto rivoluzionario, cedendo alle imposizioni della reazione.

Già nei manifesti e sulla stampa dei riformisti noi leggiamo fra le righe il proposito di far entrare l'organizzazione di classe nella completa legalità borghese, avvicinandola al tipo delle corporazioni nazionali.

 

I propositi del Partito Comunista

Di fronte a tali fatti noi ripetiamo con più insistenza la parola d'ordine del fronte unico e diciamo a tutti gli operai, a tutti i lavoratori onesti che non vogliono piegarsi, che vogliono lottare: Noi non vi domandiamo la tessera dl nostro partito. ma se voi siete convinti che non c'è salvezza all'infuori della lotta e che il piegarsi alla borghesia è tradimento e complicità con i nemici di classe, unitevi a noi! Noi siamo convinti che i ferrovieri sconfesseranno la deliberazione dei riformisti e dei dannunziani del Comitato Centrale del Sindacato. Noi rimaniamo ostinatamente per l' Alleanza del Lavoro e chiediamo che siano mutate le rappresentanze negli organi locali e centrali dell'Alleanza nel senso che rispondano agli effettivi sentimenti delle masse organizzate in modo che siano rappresentate tutte le tendenze politiche in proporzione alle loro forze. Non è possibile che i riformisti abbiano la maggioranza nel Comitato Centrale quando a Genova la tendenza riformista è risultata in minoranza di fronte a tutte le altre tendenze sindacali confederali riunite.

Nel manifesto obbrobrioso lanciato dai riformisti è detto che questi sono per la lotta di classe, non per la guerra di classe. Le rivoltelle fasciste ci dimostrano che non vi è lotta di classe che non sia guerra di classe.

Noi siamo per l'organizzazione rossa, noi siamo per la guerra civile rossa contro la guerra civile nera. Noi ci batteremo fino all'ultimo per la lotta e per la riscossa del proletariato.

 

Il Lavoratore 2 settembre 1922