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archivio > Archivio sulla sinistra>La diplomazia degli stracci all'aria (Battaglia comunista, n. 11, 16 - 23 marzo 1949)

aggiornato al: 22/06/2013

Battaglia comunista, n. 11, 16 - 23 marzo 1949

 Un bell'articolo di fine anni quaranta sulla politica estera dell'Italia, vaso di coccio tra vasi di latta, in cerca di una sua autonomia nella sudditanza al più forte.

Buona lettura!
 
La diplomazia degli stracci all'aria
 

Eravamo tentati di scrivere quasi un elogio del conte Sforza per la «finezza» dimostrata nel condurre la schermaglia diplomatica per l'inserimento dell'Italia nel «patto atlantico»; ma poi abbiamo pensato che se un riconoscimento è dovuto all'opera di questo vecchio diplomatico, tutto il merito in fondo non è suo, del suo prestigio e della sua intelligenza, ma va per buona parte attribuito anche al prestigio e all'intelligenza di Nenni e di Togliatti, a coloro, cioè, che, subito dopo la liberazione, seppero impostare tutta la politica italiana non esclusa quella estera su quel binario obbligato che avrebbe dovuto logicamente condurre come ha condotto, al patto atlantico.

E vedete un po' quale strana ironia della storia: mentre stiamo formulando il riconoscimento d'una legittima paternità dovuta più che a Sforza e De Gasperi a Nenni e a Togliatti la cui politica, che non era mai stata del resto di urto con l'interesse del capitalismo in genere e di quello americano in particolare, per essere una politica europea doveva tener conto della prevalenza delle effettive forze vittoriose della guerra, quelle più precisamente che vanno sotto le ferre sigle dell'O.N.U.. dell'O.E.C.E. e del Patto Atlantico, ecco che proprio Nenni e Togliatti se la pigliano ora col patto e con coloro che lo hanno portato a compimento continuando più che nella forma, nello spirito originario la politica della resistenza.
Ma le diatribe parlamentari che si sono accese intorno al patto atlantico tra i partiti al governo da una parte e l'opposizione dall'altra, non vertono tanto sul patto in sé e per sé quanto sulla «ragione sociale» che lo caratterizza. Se il patto invece che a indirizzo americano fosse stato concepito e realizzato a indirizzo russo, Nenni e Togliatti non avrebbero avuto nulla da eccepire, perché è nel comune convincimento dei partiti democratici, dalla democrazia cristiana al P.C.I., che l'Italia non può vivere senza il suo inserimento, a parità formale s'intende, nel gioco delle intese economiche e politiche, quindi anche militari, tra le maggiori potenze internazionali.
Questa dell'adesione ai patti è una malattia cronica della borghesia italiana, vecchia quanto la sua storia, manifestazione ricorrente della sua insufficienza costituzionale. E sì che ne hanno fatte di esperienze negative e umilianti gli italiani; ma a che sono valse se la nostra classe dirigente è manifestamente incapace a liberarsi dalla retorica dei sogni di grandezza tuttora romana e della più aggressiva e puntuta volontà di potenza?
Non c'è davvero da attendersi dalla nostra borghesia un atto purificatore che liberi la sua storia da questa insistente nota di ridicolo.
Incominciò Cavour nel 1858 a dare all'Italia il primo patto, quello uscito dal Convegno di Plombières, che doveva ridurre il problema dell'indipendenza italiana a episodio marginale, buono tutt'al più a servire da espediente nelle mire della diplomazia francese per assicurare la supremazia sull'Europa di Napoleone III, che era assurto a capo della borghesia francese abbattendo nel '49 la repubblica romana e nel '52 la stessa repubblica francese.
Sarà poi Depretis nell'82, un democratico progressista del periodo umbertino, a inserire l'Italia nel secondo patto, quello della Triplice di Bismark che obbediva al disegno tutto tedesco di servirsi del potenziale italiano come spregevole materiale d'opera per costruire quella «corazza di bronzo» entro cui chiudere la Germania Imperiale, e che gli avrebbe poi consentito di esercitare la più assoluta egemonia nell'Europa per oltre trent'anni.
Quindi sarà Mussolini che regalerà agli italiani il patto d'acciaio: e con esso le rovine e le ferite tuttora aperte e sanguinanti della seconda guerra mondiale.
Ora è De Gasperi che, spinto da carità cristiana fa dono all'Italia del patto atlantico, schieramento di potenze armate con bombe atomiche americane a... presidio di pace. E si deve certo alla perfida volontà di chi sa quale nemesi storica se agli italiani è stata negata la soddisfazione di sentirsi protetti anche da un altro patto, quello di Stalin e delle democrazie popolari che, a sentire Nenni e Togliatti avrebbe assicurato alla nostra travagliata umanità pace, lavoro e felicità eterni.
Così è evidente che a forza di patti e di pace armata si vanno creando le condizioni materiali della terza guerra mondiale. C'è una logica nelle vicende storiche del nostro paese che ha la linearità e la inesorabilità di una condanna, cui la stentata e goffamente presuntuosa borghesia italiana è incapace di sottrarsi: ogni patto è la guerra; e ogni guerra è una sconfitta.
Come sempre il problema è di sapere se questa Italietta può rimanere o no neutrale nel cozzo delle due forze essenziali dell'imperialismo, e a risposta negativa, verso quale dei due contendenti deve intonare la sua politica di servitore non sempre, per la verità, fedele e di combattente, per la verità, non sempre volitivo ed eroico. Presa nel groviglio dell'economia e degli interessi americani la nostra borghesia, squassata dalla sconfitta, affida nella sua sudditanza verso l'imperialiasmo anglosassone vittorioso, la possibilità di una sua ripresa e la speranza d'una sollecita e sicura rinascita.
Da qui la violenta, a parole, «cagnara» parlamentare e la minaccia di far entrare in scena la piazza e le organizzazioni operaie.L'opposizione grida: Per la pace abbasso il patto! I partiti di governo rispondono: Per la pace evviva il patto!
E allora? Si tratta soltanto d'una dissonanza apparente perché in realtàsono entrambi gridi di guerra.
Mentre De Gasperi vede nel patto atlantico la strada diritta anche se obbligata della sicurezza nazionale, Togliatti e Nenni vorrebbero deviare il corso naturale della storia italiana, quello che porta le impronte di Cavour, di Giolitti e di Mussolini, non quelle del proletariato, verso l'esperienza più recente delle democrazie popolari.
L'accanimento portato nella lotta potrà accentuare i termini del dissidio tra le forze del capitalismo, ma l'istanza che fondamentalmente le anima e le guida è sempre una istanza di conservazione del privilegio basato sullo sfruttamento morale e materiale del proletariato.
Fino a tanto che c'è tempo, e tempo non manca, il proletariato ha ancora la possibilità di dire tutto il suo disprezzo per questa mistificazione immonda della pace, tanto se varata dagli americani, come se varata dai russi, perché è la pace di chi vuole e prepara la guerra, e di affermare attraverso il partito di classe che la guerra del capitalismo potrà essere vinta solo con l'azione rivoluzionaria del proletariato internazionale.
 
Battaglia comunista, n. 11, 16 – 23 marzo 1949