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archivio > Archivio sulla sinistra>Al fondo dell'indifferentismo I (Battaglia comunista, n. 15, 4 - 17 settembre 1952)

aggiornato al: 30/08/2012

Battaglia comunista, n. 15, 4 - 17 settembre 1952
Questo articolo di cui riproponiamo oggi la prima parte (la seconda al prossimo inserimento) apparve, in due puntate, negli ultimi due numeri di Battaglia Comunista ancora nelle mani della tendenza che si richiamava a Bordiga.
Bordiga e i compagni che con lui lavorarono sulla linea della Sinistra, lavoro che dall'ottobre del 1952 continuò con Il Programma comunista,  furono sempre contrari ad ogni indifferentismo.
 
 
Al fondo dell'indifferentismo 
I
 
Il processo del mostruoso accentrarsi del potere, nel campo economico intorno agli istituti finanziari e bancari, in quello sociale nazionale intorno allo Stato, si è completato, in quello sociale internazionale dopo la seconda guerra mondiale, intorno ai due poli di Mosca e Washington. Le compagini nazionali sono spezzate in due (amplificazione ed internazionalizzazione di quanto avvenne in Ispagna nel 1936-39) e se, nel dominio economico, per quanto concerne il pernio del sistema capitalista ― lo stabilimento del rapporto capitale-salario ― l'apparato statale indigeno mantiene la sua importanza primordiale, in quello sociale e politico non è più la frontiera nazionale che costituisce il centro motore. A quest'ultima si è sovrapposta l'altra che trova i suoi due poli apparentemente opposti ma complici e solidali dal punto di vista storico: Russia, Stati Uniti.
Nei paesi compresi nell'orbita di Washington vediamo spezzarsi in due il campo sociale, ma non in corrispondenza con le due classi antagoniche della società borghese. Se è vero che la massa di manovra è costituita dai lavoratori, il programma di lotta su cui questi sono allineati non è quello della distruzione del regime capitalista, ma l'altro di una riforma dello stato borghese per renderlo più idoneo alla difesa di quelli che sono proclamati «gli interessi del popolo»; in realtà più rispondente alle attuali esigenze di una struttura economica basata sul principio del salariato.
Nei paesi compresi nella zona russa la situazione appare altra perché ogni raggruppamento sociale e politico richiamantesi a Washington è rigorosamente interdetto, essa è però sostanzialmente analoga poiché tutto il programma dell'attività economica sociale e politica è volto a difendere «l'integrità nazionale dalle infiltrazioni reazionarie» e dalle influenze del capitale americano.
I due demoni sono agitati nelle zone rispettive per salvaguardare due strutture sociali egualmente capitalistiche, per realizzare piani economici in difesa della pace o della libertà, gli uni e gli altri volti in effetti a portare al massimo lo sfruttamento dei lavoratori nelle attuali condizioni della tecnica di produzione, che da un lato impongono, con un vertiginoso aumento della produttività del lavoro, una formidabile estensione della massa dei prodotti, dall'altro lato ― in virtù delle basi stesse della società borghese ― determinano una progressiva diminuzione della parte relativa attribuita ai lavoratori della massa di questi prodotti, il che si estrinseca nel programma di austerità e di sacrifici in vista della difesa della libertà o della pace.
Nel 1918-21 assistemmo ad una frattura del mondo capitalista: a quella verticale opponente Stato a Stato e che si espletava nell'orgia di sangue della prima guerra imperialista si oppose clamorosamente nell'immediata fase di dopoguerra l'altra orizzontale dello spezzamento di ogni nazione nelle due classi fondamentali della società borghese; da una parte il capitalismo di ogni paese coalizzato per stroncare il movimento rivoluzionario originatosi in Russia nel 1917, dal'altra il proletariato do ogni razza e lingua che si concentrava in vista di sfondare il fronte borghese nazionale ed internazionale.
Senza o senza ancora un'orgia di sangue, l'attuale atmosfera internazionale che oppone blocchi e programmi di «indipendenza nazionale» è opposta a quella del 1918-21 che vedeva nella contesa storica l'urto di due classi con due opposti programmi internazionali. Non si insisterà mai abbastanza sulla differenza fondamentale di situazione storica fra i due periodi di dopoguerra; sul fatto che nel secondo agiscono da protagonisti unicamente apparati statali e in nessun paese partiti rivoluzionari autonomi da ogni potere costituto nel mondo.
Nella indicata atmosfera politica mentre le opinioni delle grandi masse sono fabbricate dall'uno o dall'altro dei due poli [ , ] negli sparuti gruppi che si sforzano di resistere all'invadere dell'offensiva ideologica borghese, non è facile mantenere fisso il punto di orientamento marxista; ed alcuni proletari ritengono avere risolto il problema unicamente perché i termini in cui questa soluzione si esprime hanno l'aspetto seducente di una radicale opposizione di classe.
Si dice che lo svolgersi dell'alternativa Mosca-Washington è indifferente al proletariato come lo è anche il risultato della contesa, non potendo la vittoria dell'uno o dell'altro avere alcuna influenza sulle sorti del movimento rivoluzionario.
Cominciamo con l'osservare che, mentre nel corso della prima guerra imperialista del 1914-18 il conflitto fra gli stati fu bensì parzialmente dissimulato e presentato come un conflitto sociale, e si pretese che le masse dovessero parteciparvi nel loro proprio interesse oltre che per fini nazionali, ottenendo successi importanti ma non irrevocabili; oggi invece tutti i veli sono caduti e si parla apertamente di obiettivi sociali e politici per i quali i lavoratori devono battersi e la mobilitazione dei cervelli o delle braccia ha raggiunto proporzioni molo superiori a quelle del 1914-18, come è provato dal fatto che, al contrario di quanto avvenne allora, oggi non si delinea nessun movimento di opposizione impostato su basi di classe e nessun movimento del genere è esploso dopo la fine della seconda guerra imperialista.
Dire che le sorti di un conflitto in cui le masse cadono, in misura totalitaria nell'inganno, e di fatto si battono guidate da inquadramenti che proclamano quei falsi obiettivi sociali, sono indifferenti al proletariato ed ai gruppi che pretendono rappresentarlo, é evidentemente un' enormità che non regge di fronte al minimo esame critico. Qualcuno replicò: «o se ti è indifferente perché lo dici?» al che si può aggiungere: «se lo dici gli è perché non ti è indifferente» e se ne può dedurre che, come vedremo, la pretesa indifferenza nasconde lo accodarsi ad uno dei due inquadramenti.
(continua)
 
Battaglia comunista, n. 15,  4 - 17 settembre 1952