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archivio > Archivio sulla sinistra>Punti fermi, (Battaglia comunista, n. 2, 25 gennaio - 8 febbraio 1950)

aggiornato al: 06/02/2012

Battaglia comunista, 25 gennaio - 8 febbraio 1950
A più di novant'anni dalla nascita del Partito comunista d'Italia, in una situazione di disastro sociale e politico, un breve articolo del 1950 che rilancia la necessità dell'organo politico del proletariato, su posizioni antidemocratiche e rivoluzionarie, della sua esistenza e della sua affermazione.
 
Punti fermi
 
Oggi più che mai ritornare al congresso di Livorno non sta a indicare per noi il rispetto formale d'una tradizione, ma l'urgente necessità di viverne e farne rivivere lo spirito animatore, quale è maturato dall'opera geniale di Lenin.
E' del resto facile la constatazione che non c'è oggi analisi politica di situazioni, di forze politiche e di orientamenti che non si rifaccia per un verso, o per un altro a questo congresso per certi aspetti d'importanza indubbiamente fondamentale. La storia odierna del nostro paese è del resto per tre quarti legata alla scissione di Livorno: e il fatto stesso che si attribuiscano a questo avvenimento ora tutti i mali poi capitatici, tra cui non ultimo il fascismo, ora il merito d'aver chiarito, caratterizzato e persino tonificato il mondo dei partiti e lo stesso contrasto di classe, ciò vuol dire che qualcosa di questo congresso perdura, vive ed è sempre attuale. Che cosa?
Al di sopra delle divergenze contingenti, degli urti di persone, di gruppi e di scuole, e della cronaca minuta a volte composta e più sovente pettegola dell'accadimento, il congresso di Livorno ha posto per la prima volta di fronte al proletariato italiano il problema della necessità inderogabile del partito di classe spezzando brutalmente e radicalmente la lunga e troppo fertile tradizione dei partiti parlamentari. Questo partito di classe doveva infatti nascere ed è nato nella fase più acuta della crisi italiana dalla dissociazione nettissima tanto ideale che fisica della autentica avanguardia rivoluzionaria dal numeroso gregge della conservazione socialdemocratica nell'ambito stesso del vecchio e... glorioso partito socialista che fino allora aveva riunito bene o male e in concordia discorde tanto le forze dell'opposizione parlamentare del riformismo che quelle dell'opposizione rivoluzionaria di classe.
La scissione avvenuta a Livorno aveva così aperto il varco per il quale si sono lanciate le prime formazioni di combattimento del partito comunista, mentre il partito socialista autentico figlio della rivoluzione borghese rimaneva insabbiato nella legalità, nelle secche cioè dell'azione democratico parlamentare.
Ecco un punto fermo della strategia proletaria: la necessità del partito di classe come strumento di lotta rivoluzionaria.
Più precisamente, le esperienze accumulate negli anni, pur così duri e formativi, seguiti alla scissione hanno dimostrato con abbondanza di prove concrete che in qualsiasi clima politico la permanenza della lotta operaia postula comunque la necessità permanente del partito di classe. In questa affermazione le preoccupazioni che si rifanno alle masse, al numero, alle possibilità obiettive della lotta tradizionale, alla durezza della situazione e così via, non hanno, né possono avere alcuna importanza fondamentale e determinante.
E' ridicolo pensare ad un partito d'avanguardia rivoluzionaria che non sappia adeguare la sua organizzazione e le sue forze di combattimento, al clima, anche il più rigido, della reazione capitalista.
Ma quale doveva essere il metodo della organizzazione interna del partito nato a Livorno? Il partito bolscevico forgiato nella rivoluzione d'ottobre dava ai partiti dell'Internazionale e quindi al partito comunista d'Italia la dimostrazione dell'antidemocrazia tradotta da enunciazione teorico politica a realtà di organizzazione.
A ventinove anni di distanza dalla scissione a differenza di chi in questa fase di deflusso della lotta operaia si attarda a vivisezionare ipotetici risultati negativi della pratica antidemocratica fatta propria dai partiti a tradizione comunista, noi pur vigili e attenti nell'esame critico di questa stessa esperienza preferiamo rinunciare al feticcio della libertà individuale e al rispetto della nostra personalità per l'accentramento più totale e autoritario del partito in quanto strumento della rivoluzione, che piega questo alle esigenze, sempre deteriori per la lotta rivoluzionaria, delle libertà astratte e del ruolo presuntuoso delle personalità.
Il partito rivoluzionario nella funzionalità dei suoi quadri permanenti offre pertanto il tipo di una democrazia proletaria che trae la ragione della propria esistenza e delle sue conquiste proprio da un regime di vita e di organizzazione schiettamente e apertamente antidemocratico; esso ha viva la coscienza della propria disciplina ideologica, organizzativa e politica, e fa di questa non solo un suo abito mentale e una sua norma di vita, un elemento vivo e operante di realizzazione rivoluzionaria.
E' un altro punto fermo tra tanto sconcertante problemismo dei revisionisti pullulanti in questa grigia ora di ristagno della lotta politica del proletariato alla destra e alla sinistra di Lenin.
 
Battaglia comunista n. 2, 25 gennaio - 8 febbraio 1950