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archivio > Archivio sulla sinistra>L'annuale pacchia nazionale del Po (il programma comunista, n. 22, 23 nov. - 7 dic. 1957)

aggiornato al: 14/11/2011

il programma comunista, n. 22, 23 novembre - 7 dicembre 1957

Nell'anniversario del sessantesimo dell'alluvione del Polesine del 1951 e in quello di molte altre inondazioni anche recenti e recentissime un articolo del 1957 su queste catastrofi "naturali" che, nella società capitalista,  sono sempre più catastrofi sociali.

 

L'annuale pacchia nazionale del Po

 

Anno Domini 1957, come negli anni precedenti e come negli anni che verranno finché l'ordine dominante starà in piedi, le acque del Po invadono il Delta e le popolazioni fanno fagotto: ogni anno si grida alla disdetta nazionale, ogni anno la sciagura si ripete e gli «onest'uomini» si chiedono scuotendo il capo come mai sia possibile che, in un'epoca di realizzazioni tecniche incredibili, tutto ciò possa accadere, o come mai Babbo Stato non provveda a tempo. Alternativamente, la opposizione chiede al governo di intervenire con energia spendendo in opere di «pubblica utilità» i soldi che getta, putacaso, nel riarmo o, viceversa, gli innamorati del liberalismo vecchio stile tuonano contro la insipiente burocrazia e a favore dell' «iniziativa privata».

Nel 1951, all'epoca del primo grande disastro del Polesine, osservammo che il fenomeno era di ordine sociale e quindi destinato a ripetersi regolarmente per cause non legate a singole persone o  partiti, ma a tutta la storia della dominazione di classe. La borghesia nazionale che aveva appena costruito il suo Stato usciva da un periodo eroico e, per consolidare il suo potere, doveva anche crearsi un'organizzazione statale efficiente nel cui quadro la sua attività si svolgesse in piena tranquillità e sicurezza: creò quindi una burocrazia giovane e cosciente che affrontava seriamente i problemi. Ma — aggiungevamo, e non abbiamo nulla da modificare, abbiamo solo da registrare la conferma dei fatti —, man mano che il sistema capitalista si sviluppa in profondità ed estensione la burocrazia subisce un doppio assalto alla sua incorrotta egemonia. Nel campo economico i grandi imprenditori di opere pubbliche e di settori di produzione assistiti dallo Stato levano la testa. Parallelamente nel campo politico il diffondersi della corruttela nel costume parlamentare fa si che ogni giorno i «rappresentanti del popolo» intervengano a premere sulle decisioni dell'ingranaggio esecutivo e di amministrazione generale, che prima funzionava con rigida impersonalità e imparzialità.

Le opere pubbliche che prima erano studiate dai migliori competenti, ingenuamente felici di avere un pane sicuro come funzionari del governo, e del tutto indipendenti nei loro giudizi e pareri, cominciano ad essere imposte dagli esecutori: si tratta dei classici «carrozzoni» che cominciano a circolare. La macchina delle spese statali diventa tanto meno utile alla collettività quanto più onerosa.

Questo processo grandeggia nel tempo giolittiano, e tuttavia la situazione di migliorante prosperità economica fa sì che i danni ne siano meno palesi. Questo sistema, ed è in ciò il capolavoro politico, piano piano invischia il nascente partito dei lavoratori. Appunto in quanto in Italia abbondano le braccia e scarseggia il capitale, si invoca da ogni lato lo Stato datore di lavoro, e il deputato che vuole i voti del collegio industriale od agrario sale le scale dei ministeri alla caccia della panacea: lavori pubblici!

Dopo la prima grande guerra, sebbene «vinta», la borghesia italiana vede troppo spostarsi tutte le rosee condizioni dei tempi eroici, e si ha il fascismo. Il concentrarsi della forza poliziesca dello Stato, insieme al concentrarsi del controllo di quasi tutti i settori dell'economia, permette al tempo stesso di evitare l'esplosione di moti radicali delle masse e di assicurare alla classe abbiente libera manovra speculatrice, a condizione che essa si dia un centro unico di classe, che ne inquadri la politica di governo. Ogni medio e piccolo datore di lavoro viene stretto alle concessioni riformiste invocate in lunga lotta dalle organizzazioni dei lavoratori, che (al solito) si distruggono rubando loro il programma; con tutto ciò mentre viene favorita l'alta concentrazione capitalista, viene resa pacifica la situazione interna. La forma totalitaria consente al capitale di attuare l'inganno riformista dei decenni precedenti andando incontro alla collaborazione di classe prospettata dai traditori del partito rivoluzionario.

La manovra della macchina statale e la stessa pullulante legislazione speciale sono messe al servizio palese delle iniziative di affari. Da legge tecnica  — per tornare al nostro assunto di partenza, che trattava di fiumi — che aveva avuto verso il 1865 alcuni effettivi capolavori, diventa un vero scolabrodo di scempiaggini aperto a tutte le manovre, ed il funzionario è ridotto ad una marionetta delle grandi imprese. I servizi idrologici sono proprio tra quelli che fanno a calci con l'ideale della famosa iniziativa privata. Essi esigono impianto unitario e pieno potere: avevano tradizioni rilevantissime. L'amministrazione e la tecnica borghese avevano anche allora scopi di classe, ma erano una cosa seria; oggi sono una bagatella.

Da qui deriva l'andazzo che ha determinato il degenerare anziché il progredire del sistema delle difese idrauliche nella Valle padana: da un processo che non riguarda un solo partito né una sola nazione, ma da vicende secolari di un regime di classe.

In parole povere, se una volta la burocrazia — indipendente se non onnipotente — studiava a tavolino i suoi progetti e poi chiamava a gara le «imprese» di pubblici appalto e le astringeva, rifiutando anche le tazze di caffè, ad una rigorosa esecuzione, e quindi in via di massima la scelta delle opere a cui dedicare gli stanziamenti era fatta secondo criteri generali; oggi il rapporto è invertito. Debole e serva, la burocrazia tecnica si fa stendere i progetti dalle imprese stesse e li passa senza quasi guardarli, e le imprese ovviamente scelgono quegli interventi che offrono profitto, e lasciano cadere le delicate opere che comportano impegno grave e spese meno ripetibili.

Non che il fatto morale sia alla base di tutto questo, e nemmeno che di regola il funzionario ceda alla corruzione di alte mance. Egli è che se un funzionario resiste, non solo il suo lavoro diviene dieci volte più pesante, ma gli interessi che egli urta mobilitano a suo danno decisive influenze di partito negli alti cerchi dei ministeri da cui dipende. Una volta progrediva il tecnico più valente, oggi quello più abile a muoversi in questa rete.

Allorché il monopartitismo fascista ha ceduto il posto ad un pluripartitismo ignoto alla stessa Italia giolittiana, alla perfetta Inghilterra modello di costituzionalismo, e così via,  il male si è aggravato. Dovevano colle armate alleate rientrare gli esperti e gli onesti! Quale sciocca attesa dei tanti e tanti: il nuovo cambio della guardia ha dato la peggiore di tutte le guardie , come sugli argini padani.

E' assai sintomatico per la diagnosi dell'attuale fase del regime capitalistico che un alto funzionario del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici si sia lasciato andare a dire che i servizi di guardia alle piene hanno defezionato al momento buono: il solo che costituiva lo scopo per cui gli si stipendia in permanenza; questo lo stile della moderna burocrazia (per alcuni pretesa nuova classe dominante! Le classi dominanti arrivano con fauci spalancate, ma non con cuore tremante).

Tutto ciò è il risultato del moderno tipo di produzione capitalistica. Il Capitale è ormai reso inadatto alla funzione sociale di trasmettere il lavoro dell'attuale generazione alle future e di utilizzare per questa il lavoro delle passate. Esso non vuole appalti di manutenzione, ma giganteschi affari di costruzione: per renderli possibili, non bastando i cataclismi della natura, il capitale crea, per ineluttabile necessità, quelli umani, e fa della ricostruzione post-bellica «l'affare del secolo».

Questi concetti vanno applicati alla critica della bassa, demagogica posizione dei partiti cosiddetti operai italiani. Date alla speculazione  ed all'impresa capitalistica da investire nelle opere idrauliche i capitali delle commesse per armamenti, ed essa (salvo a mettere in crisi i pseudo rossi nei centri metallurgici, se la cosa si facesse davvero) li userà nello stesso stile: imbrogliando e speculando al mille per cento e levando il calice al venire, se non della prossima guerra, della prossima inondazione.

Oggi come ieri: la grande «trovata» di quella che si chiama la «seconda rivoluzione capitalista» consiste nel fare, con una tecnica raffinatissima, nel peggiore dei modi quello che all'origine —  con una tecnica meno progredita — il «cavaliere d'industria» faceva nel migliore, per poter ricostruire a distanza di un anno quello che si è costruito e così tenere in moto l'ingranaggio ansimante della macchina produttiva. La grande arte dei costruttori ultramoderni di automobili è di produrre macchine che dopo un anno sono fruste, e quindi devono essere sostituite; la grande arte delle imprese di lavori pubblici gavazzanti all'ombra dello Stato è di costruire argini che non reggono. E' il lubrificante della prosperità nazionale: i profughi del Polesine sono gli ... accidenti necessari e ipocriticamente commiserati delle patrie fortune!

 

Il Programma comunista, n. 22, 23 novembre - 7 dicembre 1957