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archivio > Archivio sulla sinistra>1848 - 1948 (Battaglia comunista, n. 11, 7 - 24 marzo 1948)

aggiornato al: 16/10/2011

Battaglia comunista, n. 11, 7 - 24 marzo 1948

In quest'anno in cui si celebra, in modo alquanto floscio e squallido, il centocinquantenario della unità dell' Italia, un bell'articolo che celebrava, più di sessanta anni fa, in altro modo il centenario dei moti rivoluzionari del 1848.

 

1848 - 1948

 

In questi giorni ricorre l'anniversario delle giornate rivoluzionarie milanesi del secolo scorso, e vedremo in quell'occasione i più ignobili connubi e le peggiori mistificazioni presentate sotto la veste di consacrazioni storiche.

Il 1848 è stato un anno di terribili esperienze, di gloriosi avvenimenti, di accanite lotte rivoluzionarie, che videro in lizza i vari strati dell'ancor giovane borghesia contro le esistenti impalcature feudali. Anche il proletariato partecipò a queste lotte e la sua partecipazione fornì ai suoi storici Marx ed Engels materia per fondamentali analisi di strategia rivoluzionaria.

E' nel 1848 che vede la luce il Manifesto dei Comunisti, è nel 1848 che si inseriscono i primi tentativi coscienti di lotta proletaria e si delinea in modo aperto e insuperabile il fondamentale contrasto fra la borghesia capitalistica, piccola, media e grande, e la classe dei diseredati, di quanti da una rivoluzione non hanno nulla da perdere e tutto un mondo da guadagnare.

La storia, in una di quelle esplosioni che si manifestano d'improvviso e che fino all'ultimo rimangono ai più insospettate, aveva posto all'ordine del giorno in tutte le nazione di Europa, dalla monarchia prussiana alla corte borbonica del napoletano, il problema del rinnovamento sociale e civile e questo rinnovamento si compiva nel sangue della lotta fra classi oppresse e classi opprimenti, in una contemporaneità di avvenimenti che, in una epoca che ignorava il telegrafo e la radio, sta a dimostrare il carattere sempre internazionale delle crisi rivoluzionarie.

Lotta sanguinosa, lotta terribile, che si svolgeva del resto in modo ben diverso che nell'idiozia delle affermazioni democratiche, cioè fuori dei consessi parlamentari.

Marx scriveva a proposito della costituzione tedesca: «La Assemblea era affetta dall'incurabile malattia del cretinismo parlamentare che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare Consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada al di fuori delle pareti di questo edificio non conti nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all'importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l'attenzione dell'onorevole loro assemblea».

La borghesia creava il regime democratico coi fucili e con le barricate. Naturalmente, fin dal principio, sulle barricate furono soprattutto proletari ed è a proletari che si devono le vittorie conseguite contro il vecchio regime.

Ma la borghesia, se utilizzò il proletariato come ottimo combattente, appena il rivale rappresentato dal feudalismo e dai governi assoluti fu rimosso, rivolse le stesse armi e gli stessi cannoni contro l'incomodo alleato prima che potesse chiedere qualcosa anche per sé.

E' allora che le masse proletarie, pur essendo state le vere protagoniste delle giornate rivoluzionarie del '48 furono ovunque disarmate e macellate. A Milano la cacciata del Maresciallo Radezky provocò un'ondata di terrore nella borghesia indigena, che si affrettò a far entrare in città Carlo Alberto il quale con i suoi elementi piemontesi e con i suoi amici d'alto rango milanesi, si preoccupò anzitutto di combattere le classi inferiori della città e della provincia, di impedire che fossero armate, di non concedere loro alcuna possibilità di giocare un ruolo decisivo.

A Parigi, invece, il proletariato resiste per qualche giorno, e per qualche giorno combatte nelle vie contro i nuovi oppressori sostituitisi alla cacciata monarchia. Ma la mancata coerenza organizzativa e l'incapacità di distinguere esattamente i propri obiettivi doveva naturalmente portare il proletariato alla sconfitta, anche perché non si poteva dire che la sua ora storica fosse suonata.

Così fu a Berlino, a Vienna, a Budapest. Nonpertanto, se sconfitta vi fu, fu sconfitta onorevole, e sconfitta seguita a una battaglia altamente educativa per le masse stesse. Marx così commentava quei giorni:

«Una sconfitta dopo una lotta seria è un fatto di importanza rivoluzionaria altrettanto grande quanto una vittoria sostenuta a buon mercato... Il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un avversario, soltanto combattendo il quale il partito dell'insurrezione raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario».

Orbene, in questi giorni si commemorano quelle giornate e le si commemorano secondo l'ipocrito schema scolastico presentandole come giornate di lotta nazionale, di guerra allo straniero. Indubbiamente, i tedeschi furono cacciati nelle cinque giornate di Milano, ma la entrata degli «italiani» e l'andata al potere dei milanesi, significarono per il proletariato milanese di allora qualche cosa di ben più grave che lo stesso governo Radetzky. Come a Milano, in tutti gli altri paesi di Europa, a Budapest per causa dei russi chiamati dagli austriaci, in Francia a causa della piccola e media borghesia mascherata dallo svenevole Lamartine, il proletariato combatté e fu sconfitto, non dagli stranieri ma dai suoi concittadini. Sia onore ai combattenti del 1848. a coloro che pur confusamente cercarono nelle strade e sulle barricate non l'ipocrita indipendenza nazionale, ma la libertà dalla oppressione di classe per una società senza classi!

 

Battaglia comunista, n. 11, 17-24 marzo 1948