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archivio > Archivio sulla sinistra>Un morto che calpesta i corpi dei vivi (il programma comunista, n. 21, 15 - 29 novembre 1963)

aggiornato al: 08/09/2011

il programma comunista, n. 21, 15 - 29 novembre 1963

Riproponiamo un articolo del 1963, scritto dopo la tragedia del Vajont, e che ci pare non sia presente in linea. Oggi articoli del genere non se ne scrivono molti (e non che negli ultimi anni le tragedie sociali, fatte passare come tragedie naturali, siano diminuite o abbiano provocato meno vittime).

Come cataloghiamo e come consideriamo le continue tragedie che avvengono nel tratto di mare tra Africa e Sicilia? Le navi che affondano non sono moderni Titanic colpiti dalla sfortuna, ma carrette strapiene ed ingestibili abbandonate al loro destino come lo sono i loro occupanti, umanità sofferente e disperata che anche quando ha la fortuna di arrivare in qualche porto viene poi ammassata in nuove galere.

 

 

Un morto che calpesta i corpi dei vivi

 

Il disastro del Vajont, se ha costruito una tomba di fango per tremila esseri umani, è servito alla borghesia italiana per costruire un monumento funebre ai suoi «ideali»: l'ideale della comunità nazionale, l'ideale della comunità europea, l'ideale della fraternità umana.

Noi osserviamo dunque, in primo luogo, che anche i cadaveri, soprattutto i cadaveri, vengono utilizzati dalla borghesia ai fini della propaganda politica. Il capitale non incorpora soltanto il lavoro vivo, incorpora anche i morti.

Noi osserviamo, in secondo luogo, che la stampa d'informazione (ad esempio La Stampa di Torino) ha ricordato, fra le pieghe della gigantesca macchina pubblicitaria per l'industrializzazione e la commercializzazione della carne dei morti, una piccola notizia. Da questa piccola notizia risulta che il progetto di costruzione della diga del Vajont risale all'epoca fascista; senonché nel ventennio fascista il progetto fu accantonato perché i rilevamenti del terreno ne avevano dimostrato la pericolosità.

Noi osserviamo, in terzo luogo, che se la diga ha resistito all'urto provocato dalla gigantesca frana, questo fatto dimostra una cosa sola: le dighe non dovrebbero crollare; questo fatto ricorda una cosa semplice: le dighe crollano dovunque, dagli USA all'URSS (crollo della diga davanti a Kiev con centinaia di morti). Perché???

Noi osserviamo, in quarto luogo, che la reazione dell' «opinione pubblica» borghese, degli intellettuali e degli esperti di fronte a questi disastri tecnici vengono trasformati nella coscienza sociale, in disastri naturali. Così come l'estorsione di plusvalore, la distruzione del plusvalore estorto al proletariato nelle guerre imperialiste, il capitale, non sono per la borghesia decadente fenomeni sociali e storici, ma fenomeni naturali ed eterni.

Noi osserviamo infine che la trasformazione di disastri sociali in disastri naturali rappresenta nell'epoca dell'imperialismo in putrefazione, la decadenza della borghesia contemporanea nei confronti della borghesia rivoluzionaria del XVIII secolo.

Noi ricordiamo che il terremoto di Lisbona costituisce una tappa classica nello sviluppo dell'ideologia rivoluzionaria borghese, nello sviluppo dell'illuminismo. Il terremoto di Lisbona, avvenuto nel 1775, attrasse l'attenzione di tutto l'illuminismo europeo (in Italia, fra gli altri, ne scrisse Giuseppe Baretti). Esso fornì la base alla polemica famosa fra Voltaire e Rousseau. Di fronte a Voltaire che si serviva del terremoto di Lisbona per ironizzare intorno all'ottimismo di Leibniz e dei filosofi che teorizzavano «il migliore dei mondi possibili», Rousseau rispose che l'elevatissimo numero di morti provocato dal terremoto era un fatto della civiltà, non  della natura: l'urbanesimo, sostenne Rousseau, è un prodotto della civiltà, non un prodotto della natura.

Oggi, la borghesia decadente nega allo stesso tempo Voltaire e Rousseau. Per essa, non solo i disastri sociali divengono disastri naturali, ma nello stesso tempo questi disastri forniscono alla borghesia contemporanea l'occasione per dimostrare agli uomini che essi vivono «nel migliore dei  mondi possibili».

La menzogna, l'ipocrisia, l'assassinio legalizzato, l'affarismo travestito da pietà, di cui sono stati oggetto in questi giorni i tremila cadaveri di Longarone, superano non solo ogni limite dell'immaginazione, ma ogni limite nella storia finora trascorsa. Il paragone fra il divieto fascista alla costruzione della diga del Vajont, e il vergognoso spettacolo offerto in questi giorni dalla borghesia italiana, ci permettono di definire ancora una volta la società borghese uscita dalla seconda guerra mondiale non solo come erede del fascismo, ma come superfascista.

Di fronte agli esperti, agli onorevoli, ai ministri, ai preti, ai giornalisti, agli intellettuali, ai tecnici, agli affaristi,che hanno pubblicamente assassinato e venduto la carne dei morti di Longarone, di fronte a quelle che sono le condizioni spregevoli quanto spregiate della società borghese contemporanea, noi ripetiamo dunque le parole di Karl Marx sulle condizioni tedesche del 1844:

«In lotta con esse, la critica non è una passione del cervello, essa è il cervello della passione. Essa non è un coltello anatomico, è un'arma. Il suo oggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare, bensì annientare. Infatti, lo spirito di quelle condizioni è confutato. In sé e per sé non sono oggetti memorabili, ma spregevoli quanto spregiate esistenze. Per sé, la critica non ha bisogno di venire in chiaro nei confronti di questo oggetto, perché è già in chiaro con esso. Essa non si pone più come fine a sé stessa, ma ormai soltanto come mezzo. Il suo pathos essenziale è l'indignazione, il suo compito essenziale è la DENUNCIA» (Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel - Introduzione - Ed. R. - pag. 92).

Il compito della nostra denuncia è lo stesso compito che Marx assegnava nel 1844 alla critica:

«Bisogna descrivere la reciproca sorda pressione di tutte le sfere sociali l'una sull'altra, il generale inerte disaccordo, la limitatezza che altrettanto si riconosce quanto si misconosce, il tutto racchiuso in un sistema di governo che, vivendo della conservazione di ogni meschinità, non è esso stesso altro se non LA MESCHINITA' AL GOVERNO».

Il capitalismo contemporaneo non si è solo trasformato in imperialismo, ma è imperialismo che sopravvive a se stesso, imperialismo in putrefazione. Il capitale, oggi più che mai, è un morto che calpesta i corpi dei vivi. Il mondo contemporaneo, già lo abbiamo affermato commentando questo stesso scritto di Marx, è un mondo che riproduce le condizioni tedesche (non le condizioni francesi) del 1844. Di fronte alle condizioni del capitalismo contemporaneo, noi diciamo dunque con Marx:

«Esse stanno sotto il livello della storia, sono al disotto di ogni critica, ma rimangono un oggetto della critica, così come il delinquente che sta sotto il livello dell'umanità rimane un oggetto dei boia».

La critica è il partito comunista rivoluzionario. Il boia, l'esecutare della sentenza, sarà il proletariato.

Il giorno in cui il partito comunista rivoluzionario sia ricostituito alla scala mondiale, il proletariato, distruggendo la delinquenza organizzata della società dell'imperialismo putrefatto, vendicherà anche i tremila esseri umani, assassinati per essere venduti, di Longarone.

 

il programma comunista, n. 21, 15 - 29 novembre 1963