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archivio > Archivio sulla sinistra>Lacrimevole coro nel mondo ... (il programma comunista, n. 23, 14 - 30 dicembre 1963)

aggiornato al: 12/08/2011

il programma comunista n. 23, 14-30 dicembre 1963

Ripubblichiamo oggi un articolo che il nostro giornale pubblicò nel 1963 dopo l'assassinio a Dallas di Kennedy. Lo facciamo non solo perché, come al solito, l'articolo è bello ma anche perché in questi giorni i nostri giornali sono pieni delle rivelazioni che, all'epoca dell'assassinio, Jacqueline  Kennedy, la moglie del presidente ucciso, fece durante una intervista allo storico Arthur Schlesinger. Questa intervista-confessione concessa quattro mesi dopo l'attentato di Dallas e poi subito secretata, viene fatta conoscere ora dalla figlia di Jacqueline, Carolina, prima dei canonici cinquanta anni stabiliti dalla madre.

Ebbene, secondo queste rivelazioni, chi organizzò l'assassinio di Kennedy fu Lyndon Johnson (il vice-presidente che poi lo sostituì) e come contorno a questa notizia, come scrive Vittorio Zucconi («La Repubblica» del 9 agosto): "filtra come un vento acre la collera di una donna che dietro il sorriso diafano ed enigmatico, sotto gli abiti di "haute couture" che indossava per il pubblica da magnifica mannequin del mito, sapeva tutto delle porcherie del marito, raccontando a Schlesinger di aver trovato slip da donna ovviamente non suoi sparsi per casa. E di avergli reso pan per focaccia, racconta in quei nastri ascoltati dalla figlia Caroline, tradendolo con uomini come Giovanni Agnelli, il presidente della Fiat durante vacanze italiane e con il suo attore preferito, il bellissimo William Holden".

Un bell'ambientino, non c'è che dire; senza falsi moralismi ai "grandi" tutto è permesso. Ovvio che vengano alla mente le vicende goderecce del nostrano presidente del Consiglio che, nella sua paranoia forse si immaginava come novello Kennedy. Ma, ahinoi, i tempi non sono più quelli e anche ricordare questi fatti non provoca più brividi o sconvolgimenti che invece vengono provocati dalle borse mondiali allo sfascio e dallo scricchiolio sinistro di questa civiltà.

 

 

 

Lacrimevole coro nel mondo pseudo-comunista

alla mitomania borghese dell'Uomo

 

 

Non è il decesso dell'uomo, «grande» o «piccolo» che sia, né tanto meno la causa della sua fine, che inducono nei singoli e nelle masse reverenza e rispetto, che ne strappano un cordoglio profondo e talvolta li spingono a portarlo con l'animo ai «cieli».

L'uomo, come qualunque altra specie di animale, l'individuo come qualunque altro esemplare zoologico, trapassa e sparisce. La sua vita può arrestarsi in mille modi, sebbene, fondamentalmente e generalmente, o crepi o venga fatto crepare. Ma la sua posizione sociale, l'insieme degli interessi materiali e intellettuali da lui rappresentati, il posto ricoperto nello schieramento contrapposto delle forze sociali e politiche in lotta, tutto ciò che d'ordinario resta oltre la sua traiettoria vitale e unisce generazioni successive e diverse, forma il campo da cui la sua figura si delinea, da cui prende contorni la sua statura. Nel meccanismo generale della vita sociale, nella dinamica delle lotte delle classi, nel posto in essa occupato e nel ruolo in essa svolto, risiedono i fattori delle dimensioni e dell'ascendenza dell'uomo, del singolo.

I vivi «non commemorano i morti»: li magnificano o li dannano, secondo che in essi si identifichi o meno, non un esemplare della loro specie, ma, nella storica lotta fra le classi, la loro condizione sociale e di classe; secondo che le idee e le azioni del morto costituiscano o meno il programma e la prassi delle forze sociali antagoniste.

Il presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, è morto vittima di un attentato. Tale la notizia che ha fatto il giro del pianeta nelle note a catapulta ripetute dalle rotative. Nel succedersi dei dispacci ufficiali, l' «America» viene rappresentata nel dolore e nell'afflizione più profondi. Tutte le centrali borghesi del globo, e accanto ad esse le centrali cosiddette «socialiste» da Mosca in giù, abbrunano le loro bandiere, si chinano in segno di lutto. Capi di Stato, ministri, esponenti di quasi tutti i paesi della terra, di qualunque «campo» preteso diverso, sfilano in corteo funebre dietro la bara. Sfilano afflitti e in silenzio i Mikoyan, i De Gaulle,  i lord Home, e tanti e tanti altri: al «capo» del massimo stato imperialista del mondo vanno i segni di ossequio e l'ultimo omaggio dei compari dell'Est e dell'Ovest.

Il morto nella tomba, i vivi all'opera. «Il faro di occidente» s'è spento. L'uomo della pace non è più. Che succederà senza di lui? Quo vadis, mundus? Questa la lamentevole pantomima  borghese, a cui fa eco strepitosa l'insieme dei movimenti pseudo-comunisti che a Mosca fanno capo.

Le colossali, immense forze produttive evocate dal modo di produzione capitalistico, che ha sbrindellato l'individuo come una impercettibile molecola, avrebbero dunque affidato alle mani di un uomo il potere di sciogliere i nodi storici e sociali, di decidere la sorte dei popoli, la pace e la guerra? Ritornerebbe così in pericolo la pace,a dispetto degli eserciti che si tengono per la sua salvaguardia armati fino ai denti: a dispetto di tutti i deterrenti nucleari, la cui funzione protettrice non ci si stanca di affermare? Oh suprema balordaggine di una borghesia giunta al vertice della sua decomposizione storica e che, dopo di aver scaraventato dio giù dagli altari e dalla storia, ha messo al suo posto la ragione, l'individuo, la personalità: idoli ignavi e feticci stolidi se altri mai, tutti raccattati e tenuti su dall'apparente parte avversa, da tutti i movimenti che usurpano il nome di comunisti! 

La pace di Kennedy, quella di Johnson che le succederà, quella di Krusciov e compari, è l'interguerra più rapace, il periodo di più feroce oppressione, di sfruttamento più esoso del proletariato e dei popoli di colore del mondo, da parte del capitale di cui tutti loro sono i rappresentanti insigni con gli Stati Uniti in testa per ruolo e posizione. E' stata ed è la pace dei ladroni. E' stata ed è la pace dei mercanti che prepara la guerra: una guerra più sanguinosa, più distruttiva, più catastrofica di quelle che l'hanno preceduta.

Ora può andar negletta la figura del presunto omicida. La sua fine, non diversa da quella che si dice abbia prodotto, lo ha reso meno esecrabile all'isterismo quacchero e protestante della campionissima borghese «America».

Per la filistea morale borghese, la vita è «sacra». E tuttavia di essa si può disporre, purché nei casi previsti, purché nelle forme di legge. Così la canaglia razzista e la violenza organizzata dalla classe dominante - lo stato - possono legittimamente mietere le vite di coloro  che si ribellano a un sistema inumano di sfruttamento bestiale.

La democraticissima «America» è maestra in sevizie e repressioni massicce di «schiavi» salariati, bianchi e di colore.

I comunisti autentici hanno sempre definito sterile la violenza individuale. Non si esce dalla società di classe, dal terrore e dalla violenza organizzati dello stato borghese, con un colpo ben assestato di fucile che abbatte un capo illustre. La violenza rivoluzionaria è di classe e di Partito. Ma non si è mai scagliato l'olio caldo e approvato l'urlo della canea forsennata sull'attentatore, al quale non si è mai potuto negare coraggio e decisione nell'avventarsi su un potente  col proposito dichiarato. e reso orgoglio, di abbattere un nemico di classe.

La tragica farsa di Dallas, tuttavia, neppure a tanto si solleva. La vittima e l'attentatore, vittima essa pure non di «furor popolare», ma di un presunto e molto preteso giustiziere, sono una grigia emanazione della triste «civiltà» del dollaro in cui tanto più si innalza l'inno alla persona, tanto più vile dev'essere il gioco della sua funzione servile, la sua dipendenza dal sacco d'oro.

La storia «scritta» conosce «tiranni» messi fuori e capi eliminati da congiure. In questi casi, l'affare ha fatto quasi sempre scena per e all'interno della classe dominante. Le classi sottomesse e aggiogate hanno poi dovuto imparare a caro prezzo che la trasformazione delle cose poteva nascere soltanto dalla loro vittoriosa insurrezione, e che sarebbe stato stoltezza imperdonabile «piangere» la fine di un uomo o, peggio, del rappresentante della classe da abbattere.

L'orrore per la fine violenta di colui o di coloro che sono preposti a un meccanismo di classe da rovesciare, equivale ad orrore per il proprio compito di abbattimento e di soppressione della classe che governa e che opprime: è lo stesso terrore di classe del nemico, fattosi coscienza morale nell'oppresso, nello «schiavo».

La borghesia inocula nel proletariato, tramite l'opportunismo, l'orrore del proprio compito storico di  rovesciarla e sopprimerla politicamente. Con la complicità organizzata del pseudo-comunismo, essa aspira a che il «becchino» pianga la morte di ciò che deve seppellire; a che rinunzi a farlo e il «cadavere ancora cammini».

Nel quasi mondiale intrecciarsi di omaggi, di parole di riconoscenza e di onore, tributati da tutte le parti al defunto, le frasi più commosse e più alate partono dal Kremlino e dalle sue centrali minori: «Salvatore della pace» «Benefattore dell'umanità», «Amante del progresso dei popoli»...

Si fa inchinare il proletariato davanti al «personaggio», in segno di profonda, di infinita stima.

L'esponente del più rapace imperialismo, della controrivoluzionaria per eccellenza «America», può dormire in pace; grazie all'irretimento dei proletari di tutti i paesi, il dollaro e zio Sam possono dominare senza il ricorso diretto alle armi e al tiro dei cannoni. Come, nella seconda guerra mondiale, Russia e satelliti «immolarono» alla difesa del decrepito mondo borghese e della sua putrida democrazia milioni e milioni di proletari. così oggi gli stessi vengono da quella e da questi chiamati a prosternarsi ai loro piedi.

Sciaguratamente ancora sale la forza del colosso immenso: gli Stati Uniti; cresce l'accumulo di forze e riserve del mostro imperialista che esercita sul pianeta il ruolo di iugulatore di prima forza della rivoluzione internazionale proletaria; di strangolatore, laddove si presenti, dell'immancabile prospettiva comunista.

Possano, in un avvenire non lontano, i calpestati proletari americani e le masse di salariati bianchi e di colore, preparare degna sepoltura alla classe dei successori dello scomparso e ai suoi gendarmi, e spezzare il meccanismo sinistro del più potente stato capitalista di una terra sanguinante e insanguinata.

 

il programma comunista, n. 23, 14-30 dicembre 1963