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archivio > Archivio sulla sinistra>Amadeo Bordiga: La traccia sicura (Il Comunista, 19 maggio 1921)

aggiornato al: 04/07/2011

Il Comunista, 19 maggio 1921

Questo articolo di Amadeo Bordiga che proponiamo ai nostri lettori è del maggio 1921 ad elezioni, cui il Partito, costituito da qualche mese e nel cuore astensionista  ma ligio alle indicazioni della Internazionale Comunista,  aveva partecipato, appena concluse.

Non ci risulta che, da allora, l'articolo sia stato in una qualche occasione  riproposto. Ma ne vale la pena e pensiamo di cominciare a riproporre scritti ed articoli che uscirono in quegli anni nella stampa del Partito Comunista d'Italia e che poi, immeritatamente, sono caduti nel dimenticatoio.

Buona lettura.

 

La traccia sicura

 

Scriviamo mentre ancora non ci può essere noto l'esito delle elezioni. In queste ore di attesa siamo certissimi di essere, tra i partecipanti alla lotta, gli unici immuni dalle spasimanti ansie delle ultime attese, di essere infinitamente al di sopra del gioco ripugnante delle più basse risorse e dei mezzucci più vili a cui, una volta ancora, ci ha fatto assistere l'ignobile meccanismo del sistema democratico borghese.

La ridda fantastica delle figure che spiccano nei campi avversari, e che sono, in parte grandissima, le stesse che altra volta, cogli stessi atti, collo stesso spirito e sotto il fuoco dello stesso nostro disprezzo, danzavano la loro sarabanda arrivistica in altri aggruppamenti ed in altre combinazioni, ci fa sorridere di compassione, ma il guardare in questo vortice abissale, della degenerazione politica non ci dà le vertigini, perché siamo troppo solidamente piantati su un terreno incrollabile e perché abbiamo troppo sicuro il senso dell'orientamento verso la meta cui tendiamo, perché troppo fieramente sentiamo, tra le contorsioni spregevoli di costoro di essere ancora e sempre sulla stessa via  e sotto la stessa bandiera.

La tempesta magnetica che li abbacina e li inebria tutti nella sadica vigilia dei loro più bassi appetiti di gruppi e di individui, non può fare impazzire la nostra bussola, farci fallire la nostra rotta.

Che cosa abbiamo in più di tutta codesta gente in fregola? Che cosa ci distingue da costoro? Una piccola cosa, su cui a volta a volta tutti hanno fatto piovere la schiuma dei loro sofismi e delle loro ironie senza pervenire a smontarci: la nostra coerenza ad una dottrina e ad una fede.

Ripetemmo e ripetiamo nelle molteplici contingenze e vicissitudini della vita politica, che dalla cronaca quotidiana incalza oggi in un precipitoso divenire di storia, quello che per i nostri critici di oggi e di mille altri precedenti momenti è uno sterile formulario sorpassato dalle peregrine trovate di cui ciascuno d'essi si vanta depositario: coerenza, disciplina, intransigenza del pensiero e dell'azione.

Credemmo e crediamo in una traccia della storia - oh, semplicistica, schematica, astratta, signori interpreti della realtà - lungo la cui via una lotta incessante separa le classi avverse al cui termine vi è tra le fiamme della rivoluzione il rovesciamento di questo odiato regime. Seguimmo e seguiamo questa via colla stessa convinzione e colla stessa fede che quella ne è la meta, colla stessa decisione a lottare per essa e per essa soltanto.

Dalle altre rive ci videro andare e ci dissero pazzi e criminali? Dalla nostra schiera, in cento occasioni, per cento motivi, con cento argomenti, cento e cento si distaccarono suadendoci e ingiuriandoci che eravamo stolti a non accorgerci che la via si doveva mutare, che essa non era la grande traccia della storia ma uno dei tanti vicoli ciechi della illusione e della teorizzazione, che non uscirne significava non sapere andare più innanzi della muraglia terminale contro cui la  nostra inutile cocciutaggine ridicolmente avrebbe cozzato.

Ebbene, è interessante rivolgere uno sguardo a tutti costoro nel momento in cui l'ardore erotico del cimento elettorale fa loro deporre ogni ritegno ed ogni memoria di passati impegni - non è per la intelligente e superiore pratica politica di costoro tanto più illuminata ed abile della nostra piatta monotonia, prima regola l'oblio di ciò che si fece e si disse? - in cui più oscenamente si abbandonano alle loro pose istintive svelando l'essere loro.

Tutti nell'andarsene ostentavano di "superarci", di togliersi dalla nostra rotta per non condividere il nostro naufragio ed attingere lidi da noi non intravisti, alcuni ci compativano, altri ci vilipendevano, tutti avevano qualche cosa da insegnarci che era colpa nostra il non comprendere.

Val la pena di passare distintamente in rassegna i diversi gruppi, i diversi "tipi" di disertori? Le diverse "scoperte" di nostri errori che essi compivano e le diverse formulazioni di nuove verità che sciorinavano ai nostri occhi attoniti contemplandoci dall'alto in basso, facendosi delle nostre sanzioni disciplinari nella cui efficacia avevamo ed abbiamo ingenuità di credere, l'aureola del martirio. Dovremmo fare una scorribanda attraverso le mille eresie che noi, infaticabili preti rossi, custodi spietati ed induriti del dogma abbiamo condannato, ricordare le mille forme di violazione della nostra intransigenza che in tante e in tante circostanze vennero perpetrate trescando con gli elementi della classe avversa, salendo in cattedra per spiegarci che il vero socialismo non era quello ispido e incartapecorito in cui ci eravamo cristallizzati, ma quello che con raffinatezza di critica e di tattica si adattava alla guerra coloniale e a quella nazionale, alle pratiche massoniche ed agli intrugli elettorali bloccardi e a mille altre imprese più o meno gloriose...

Riprendere la polemica con tutte queste deviazioni degenerative, ridurle al responso dei fatti posteriori che abbiamo atteso nella stessa posizione critica, ed inquadriamo in una vittoriosa constatazione della giustezza delle nostre vedute, ma gli altri vissero volta a volta sotto diversi angoli visuali nelle loro sublimi escursioni tra le varie scuole della dottrina sociale e i varissimi colori degli schieramenti politici, questo non è il compito di questo articolo ma il bilancio di tutta la nostra battaglia di partito che è fatta di studio di critica di preparazione di azione.

Ma va notato il dirizzone comune, monotonamente, piattamente comune che tutti costoro, partendo da diversissimi, come sopra diciamo, atteggiamenti e pose, finiscono col prendere, barattando quel pregio in cui piacque loro di mutare la nostra pesante regola della continuità in una dottrina e in una disciplina, della originalità della novità della mutevolezza verso cose nuove e prima non note.

Ci dissero tutti, lasciandoci, cose bellissime, e colla stessa compiacenza l'uditorio borghese sentì vacillare le sue sensibilità di decadente delle nuove e peregrine trovate intellettuali di coloro contrapposte alla nostra costante e uniforme asinità. Chi partiva verso  le nuove scoperte di una economia per cui il vecchio Marx era un principiante, chi dichiarava puzzare di rancido il nostro materialismo storico dinanzi alle luminose trovate del pensiero moderno e dei filosofi alla moda, chi irrideva alle nostre messianiche aspettazioni storiche di uno sviluppo rivoluzionario che un più sagace studio della realtà dimostrava relegato nel campo delle illusioni, ognuno abbandonava la nostra piattaforma avendo l'aria di porre il piede su di un gradino più alto. E sono invece scossi tutti, allo stesso modo, nelle più lubriche del politicantismo! E la storia di uno è la storia di tutti, e ci odiano e ci combattono oggi tutti da uno stesso fronte e colle medesime armi con cui già quando essi eran tra di noi ci si offendeva.

Dottoreggiava taluno, ferrato di cultura e di cerebrato scintillio, che le teorie, cui noi ci attaccavamo come allo scoglio le ostriche, sono zattere per varcare un ostacolo che taglia la nostra via, ma giunti sull'altra rivo dobbiamo abbandonarlo. Altri che per avventura era allora con noi contro queste e simili eresie, scoprì in appresso con sicumera pari alla disinvoltura, e predica con altrettanta superiorità sulla nostra scolorita insistenza nei soliti teoremi, che "superando", e chi non abbia qualche cosa da superare si faccia avanti!, le vecchie nostre concezioni sui rapporti dei partiti, sulle sinistre e le destre, si afferma che il movimento veramente moderno, innovatore, seppellitore delle nostre carogne ideali, è quello che si fa del tradimento e della diserzione un onore ed un vanto e distruggendo con tutte le forme della violenza le manifestazioni del comunismo, lotta non contro i nostri miraggi di una civiltà nuova, ma contro la tenebrosa barbarie da noi tramata...

Ognuno possiede una formulazione sedicente originale della stessa fedifraga dedizione. La guerra nella estrema decomposizione di tutte le manifestazioni di un'epoca, ha affinato questa morbosa capacità a cesellare nei lenocini delle forma vecchissima e notissime vergogne della sostanza.

Guardateli, questi cerebrali delle iper-rivoluzioni politiche nel travaglio elettorale. Vedete come terribilmente si rassomigliano, come praticano gli stessi tradizionali compromessi, come seguono, non già ognuno una sua aspra e particolare via verso l'avvenire, ma lo stesso percorso, incalzandosi, lottando coi gomiti per farsi luce verso le stesse  mete e la stessa conquista, che quando è la conquista massima ed ultima, è una livrea.

Davvero non faceva bisogno per intendere il complicato e differenziato divenire di questi campioni della modernissima politica, si seguisse il loro elevarsi, a un tirocinio fatto tra noi alle audacie delle idee rivoluzionarie, a pretese più alte sfere di ricerca di conoscenza di attività... Essi sono molto meno incomprensibili, e nelle loro spirituali complicazioni si ritrova una semplicità volgare, una monotonia vecchissima e arcinota. Spregiarono la poco estetica nostra monocorde funzione di custodia di una idea e di un metodo per le fogge variopinte del versipellismo, per ricadere in una uniformità che è la più orrida; persero il metodo della coerenza e della serietà ma non guadagnarono quello della originalità e della novità... L'abito multicolore di Arlecchino nelle sue capriole appare di un grigio scialbo e fetido, se i colori dello spettro si ricompongono nella luce monocromatica del bianco e del nero.

Per comprendere questi difficilissimi è inutile riprendere le raffinatezze della loro polemica contro di noi. Essi sono molto, molto più giù! Non è ad elementi di una critica modernissima che ricorreremo per decifrarli. La loro figura è nota, è disegnata, è tracciata da un pezzo, è la più stereotipa che le tradizioni abbiano consacrata. E' quella del politicante che calca le scene argute della commedia greca nel V secolo a.C., che ricomparve, oggetto della satira letteraria, in tutte le epoche, fino ai Rabagas e alle Eccellenze dei drammi e delle operette moderne, che fa la delizia dei pubblici odierni nelle riviste clamorose e sollazzevoli.

E' la ridda del volgare arrivismo, che si compie sul suo teatro nazionale, il lurido impalcato del parlamentarismo borghese. Ma le tavole sono tarlate e l'abisso è aperto sotto i piedi degli osceni personaggi della commedia umana, della tragedia di questa agonia di un regime.

Lungi da essi noi seguitiamo sulla nostra traccia sicura. Non è soltanto l'ardore di una fede e la tensione di una volontà che costruiscono la nostra costanza e la nostra tenace sicurezza. E' il saggiamento continuo di una incessante riprova, opera che trascende gli atteggiamenti e le attività personali, e che nella sorte di ogni avverso movimento, scuola, sottoscuola, ci riconferma la certezza uscita dalla nostra dottrina, dalla sua elaborazione incessante nel crogiuolo della realtà ad opera delle moltitudini che sommovendosi sacrano in essa l'unità formidabile del loro sforzo e vanno, su quella stessa traccia, all'urto finale a cui nulla resisterà.

 

Amadeo Bordiga

 

Il Comunista, 19 maggio 1921