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archivio > Archivio sulla sinistra>Hanno scoperto la "società senza classi" (il programma comunista, n. 10 e 11, maggio e giugno 1955

aggiornato al: 06/06/2011

il programma comunista, n. 10 e 11, maggio e giugno 1955

Nei numeri di il programma comunista della metà degli anni cinquanta del secolo scorso talvolta si trovano articoli sotto la denominazione, come è il caso di questo che riproponiamo, Spaccio del bestione trionfante motto usato da Giordano Bruno contro il "luogo comune", contro quelle che si atteggiano a  pretese verità ma sono solo sonore panzane.

Questo si riferisce a quanto stava avvenendo negli USA alla metà del secolo scorso e cioè alla sbandierata e pretesa  ... abolizione delle classi!

 

 

Spaccio del bestione trionfante

Hanno scoperto la "società senza classi"

 

La faccia tosta dei nostri gazzettieri è pari al monopolio che purtroppo hanno della cultura: cioè dell'imbonimento dei crani. Nessuno di loro si è mai sforzato non diciamo di capire ma nemmeno di leggere Marx: tutti però si sentono autorizzati - e lo sono certo dal punto di vista della difesa del Capitale anche se non lo sono da quello della tanto osannata «cultura» - a proclamare il tramonto del marxismo «smentito dai fatti della storia moderna». Lo stemma della moderna cultura giornalistica è il bestione trionfante.

Uno dei clichés d'obbligo del giornalista che voglia farsi strada è questo: gli Stati Uniti hanno realizzato il sogno di una società senza classi. E' vero che gli stessi autori degli articoli in cui questa mirabolante notizia è annunciata non sono, nel raccontare la favola, molto sicuri di sé e, per esempio, l'esimio Ivo Antonelli Nicastro - su «Due più due» rivista interna della Montecatini - annuncia nel titolo che l'America è «senza classi» e che quindi «Carlo Marx si è profondamente sbagliato in molte sue previsioni sull'evoluzione del capitalismo», mentre nel testo precisa: «sarebbe falso affermare che non sopravvivano ancora certi avanzi dell'ideologia di casta, ma le distinzioni di classe si sono molto ridotte e non è lontano il giorno in cui scompariranno del tutto»; è vero che l'esemplare più perfetto del bestione trionfante (chi sarà mai?, inutile dirlo, è Indro Montanelli) scrive nel «Corriere della Sera» dell'8 maggio che «se Henry II (Ford) realizzasse il suo progetto... (vedremo poi quale è) sarebbe l'abolizione finale delle classi», il che vuol dire che non ci siamo ancora; è vero, dicevamo, che i nostri bravi gazzettieri sono loro i primi a smentirsi; ma intanto la fiaba circola sulle ali dei soliti grandiosi «servizi» (bel termine e molto espressivo: il servizio è un servizio a chi paga!) e la si sente per radio, e domani la si «vedrà» per televisione.

Su che cosa si appoggiano, nelle loro straordinarie profezie fatte passare per constatazioni di una realtà già presente, i nostri imbottitori di crani? Nessuno di loro sospetta che, per Marx, il capitalismo fosse qualcosa più che un regime d'ineguaglianza sociale, e che la critica alla società borghese fosse qualcosa più che un pianto versato sulla divisione della società in straricchi e strapoveri, nessuno di loro mostra di sapere che, per Marx il capitalismo andava combattuto e rovesciato perché reca nel suo seno il germe delle più spaventose convulsioni, spaventose anche nella ipotesi che gli operai «vivano già in case identiche a quelle degli impiegati e dei tecnici, vestano i loro panni e possiedano le medesime automobili» (Montanelli dixit), e perché si fonda sul pilastro dell'economia mercantile, della caccia al profitto, del lavoro salariato e della produzione per azienda. Tutti ci raccontano invece, che, primo, il livello di vita dell'operaio americano è cresciuto, che, secondo, in America la strada è aperta a tutti, che, terzo, operai e padroni collaborano, che, quarto, l'istruzione si è largamente diffusa, che, quinto, le macchine lungi dal produrre disoccupazione, hanno dilatato i consumi e assorbono nella produzione  sempre nuove unità, ecc: ergo il marxismo ha fatto bancarotta.

E con questo? Ci dicano i nostri bravi signori se lo scarto fra il salario ricevuto dall'operaio e il plusvalore intascato dal capitale è aumentato o diminuito (e consultino le stesse statistiche ufficiali americane sul «valore aggiunto alla produzione» per farsene una pallida idea); ci dicano se l'aumento vertiginoso del consumo ha abolito la realtà delle crisi e dell'esercito permanente di riserva dei disoccupati, se il ritmo poderoso dell'economia americana sarebbe stato possibile senza due massacri mondiali, una serie interminabile di guerre localizzate, la rovina di legioni di piccoli produttori, lo sfruttamento della mano d'opera di colore ed immigrata, la valvola di scappamento dei consumi imposti attraverso metodi altamente persuasivi e altamente democratici! Ci dicano se il «tormento di lavoro» è diminuito (giacché la «miseria crescente» era per Marx anche questo); se la concentrazione finanziaria, economica ed aziendale (a proposito della quale si parla appunto di «miseria crescente») tende a sparire; ci dicano questo ed altro, e poi «vedremo» se il capitalismo ha finito o no di esistere negli Stati Uniti e se laggiù, a solenne smentita di Marx non esistono più classi. Ma questo i gazzettieri non ce lo diranno mai perché dovrebbero smentire invece di Marx, nientemeno che se stessi!

Risparmieremo al lettore le perle distribuite dal bestione trionfante, soffermandoci solo su quelle che ci trovano d'accordo. Ivo Antonelli Nicastro scrive non essere vero che il capitalismo, come disse Marx, ha bisogno dell'ignoranza del lavoratore, giacché il «capitalismo americano punta sull'istruzione generalizzata». D'accordo, a parte il fatto che, come aggiunge lo stesso gazzettiere il capitalismo lo fa «non per motivi filantropici ma per un suo reale bisogno», la cultura che impartisce e di cui sono splendido esempio i «servizi» dei giornalisti di tutto il mondo e, in realtà, la coltivazione scientifica della «ignoranza generalizzata», l'imbottimento dei crani con l'ideologia della classe dominante, l'incretinimento ottenuto con i più raffinati metodi della tecnica moderna: alla fine del corso accelerato di istruzione «generalizzata» l'operaio è più abbruttito che se l'avessero lasciato fuori di scuola, digerisce cultura in scatolette come i maccheroni pronti e le pillole ultravitaminiche, ed è più disposto a subire lo sfruttamento di quel che fosse da analfabeta. La super-ignoranza coltivata con «l'educazione per tutti»: Marx è a posto! Ancora (grave smentita secondo l'Antonelli, alle previsioni di Marx): «il numero dei domestici nelle case dei ricchi non solo non è aumentato, è diminuito». Verissimo anche qui: è cresciuto in compenso¸ e più che proporzionalmente, il numero dei domestici e lustrascarpe della cultura tipo Antonelli e Montanelli e quello dei domestici aziendali, i servilissimi «tecnici»; il risultato è il medesimo, anzi superiore.

Ma il più spassoso è l'implacabile Indro quando racconta che Henry Ford II sta progettando di assicurare ai suoi operai il lavoro annuo garantito. Vedete? in America è abolito il salariato! Chiaro, no? Cambiate il nome, cambia la cosa. Il fatto del salario non consiste più nella necessità in cui l'operaio si trova di vendere la propria forza-lavoro per vivere, e nel ricavarne un certo ammontare in denaro, di gran lunga inferiore all'equivalente in prodotto uscito dalle sue mani, con cui dovrà andare sul mercato ad acquistare i beni di consumo necessari; no, per Indro Montanelli basta trasformare il salario in stipendio annuo perché... il salariato sia abolito! Non solo: «essi (gli operai americani) non sono più, da tempo, dei veri e propri «salariati» anche se continuano a percepire un salario. Non sono più nemmeno operai (udite!, udite!). Sono dei «funzionari» addetti alle macchine». Lavorano le macchine, gli operai stanno a guardare, le classi sono abolite. Ma, curioso, nello stesso tempo Indro racconta come Ford, partito da una società anonima con capitale fornito da un numero elevato di piccoli e grandi azionisti, abbia a poco a poco divorato tutti i pacchetti di azioni e sia oggi padrone assoluto del favoloso capitale aziendale oltre che di un  «patrimonio personale valutato ad oltre un miliardo di dollari» grazie al quale può fare tutti gli esperimenti che vuole compreso quello di abolire il nome «salariato» per sostituirgli il titolo di «impiegato» o «funzionario addetto alla macchina». Anche mettendoci dal punto di vista cretino da cui partono costoro diremo che siano abolite le classi e arginata la concentrazione del capitale? Ford è lì a rispondere: «tutt'al contrario; il contrasto fra gli estremi è cresciuto a dismisura, il capitale è riunito in un numero sempre più ristretto di mani».

E' riunito in un numero più ristretto di mani anche il monopolio della cultura o, che è lo stesso, delle panzane. E gli Indri e gli Ivi sono i «funzionari addetti alle macchine» destinate a produrre in serie i crani ad aria condizionata che diranno sempre di sì al bestione trionfante e disoccupati o spediti in trincea canteranno le lodi del paradiso in terra: il paradiso della «società senza classi», con Henry Ford stramiliardario in testa...

 

il programma comunista, n. 10, 25 maggio - 4 giugno 1955

 

 

 

Spaccio del bestione trionfante

 

In un articolo del numero precedente avevamo commentato le mirabolanti scoperte di quell'esimio rappresentante del pennivendolismo contemporaneo che è Indro Montanelli, secondo il quale starebbe per realizzarsi in America  - o, restrittivamente, nell'industria automobilistica americana - l'abolizione delle classi, con la trasformazione dell'operaio da salariato in stipendiato (salario annuo garantito) e quindi al clamoroso... crollo del marxismo: tutto ciò per la geniale iniziativa di Henry Ford II.

Tutto questo diceva circa un mese fa il suddetto bestione trionfante: ma nell'epoca degli articoli e delle articolesse, dei servizi e dei serviziali giornalistici, un mese, o anche 15 giorni sono un lasso di tempo sufficiente perché sulla memoria di quel povero martire di lettore passi la spugna, e si possano tranquillamente dire le cose esattamente opposte con la stessa dottrinale sicumera di chi passa le sue giornate a studiare le questioni e a documentarsi prima di erudire il pupo - cioè il pubblico, anzi la «persona umana» con relative ed inviolabili dignità e libertà.

Il Corriere della Sera può quindi, un mese dopo, passare la penna ad Ugo Stille, altro «esperto» in faccende americane per spiegarci come a Detroit si stia svolgendo una «battaglia di giganti» (31-5) fra il sindacato degli operai dell'industria automobilistica che chiedono il salario annuo garantito e, guarda guarda, proprio Henry Ford II e la General Motors coalizzati nel rifiutarlo. «Salario annuo garantito?» grida il Ford di Stille «Ohibò! Se volete un aumentino di salario e qualche azione della mia società ve li concedo; ma salari annui garantiti manco per idea».

«Salario annuo garantito, non inutili aumenti di salario!» grida il Ford di Montanelli. Inutile dire che ha ragione Ugo e torto Indro, ma che importa? Missiroli ha fatto ben altre capriole in vita sua, può farle tranquillamente fare al suo giornale.

Adesso poniamo il caso che Reuther, dopo uno sciopero di una certa entità, imponga il salario annuo al Ford II che, secondo Montanelli, era lui a volerlo magnanimamente elargire; che cosa scriverà il Corriere? Evidentemente che i sindacati operai hanno fatto una pacifica rivoluzione... abolendo le classi. Cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia: il salmo finisce in rinnovata gloria per la democrazia vittoriosa su Marx, poco importa se ad opera di industriali filantropici - come tanto piacerebbe a Montanelli - o ad opera di dirigenti sindacali riformisti - come per dovere di cronaca informerà Stille. dal che si può concludere per certo che una cosa è garantita senza discussione: lo stipendio annuo dei venditori di fumo, di creatori di «servizi» a tanto il braccio.

Il bestione trionfante non ha bisogno di agitarsi per il «G.A.W.» (salario annuo garantito): ce l'ha già, vita naturale (del capitalismo) durante.

(Di fatto è avvenuto poi che, sotto la minaccia di un importante sciopero, Ford II ha ceduto ma da buon «innovatore» solo a metà: ha cioè promesso il salario semestrale garantito. L'ha fatto a denti stretti e minacciato; Indro intanto continua e continuerà a ricevere lo stipendio... semestrale con diritto a pensione).

 

Bè, non chiamiamo bestione il prof. Bresciani-Turroni che almeno, nei limiti dell'economismo borghese, è uno studioso. Tuttavia, anch'egli deve rendere omaggio alla Gran Bestia, e proclamare sempre sul Corriere (ma com'è divenuto garibaldino questo giornale in pantofole): ecco signori, «una smentita al marxismo» (3 giugno).

Quale? direte voi: Semplice: il 3° censimento generale dell'Industria e del Commercio ha dimostrato (la grande novità!) che l'Italia è sempre un paese a media e piccola industria; dunque è così smentita «la concezione marxista secondo la quale la grande impresa distrugge la piccola e media industria e sostituisce il monopolio alla concorrenza». Straordinaria tesi: prima l'autore ci dice che le aziende con non più di 50 addetti rappresentano il 99,31% del totale delle aziende, che le aziende grandi con 500-1000 addetti sono appena 414 e quelle con più di 100 addetti appena 397, ma che queste ultime, da sole, occupano il 22,8% delle persone complessivamente addette all'industria e al commercio, ed è quindi da supporre che il 40% degli addetti siano occupati da aziende che rappresentano lo 0, 09% del numero delle aziende; detto questo, il Bresciani ne conclude che la tesi della concentrazione aziendale capitalistica sarebbe... smentita! Ancora, il Bresciani scrive: «l'evoluzione economica porta alla crescente prevalenza delle grandi imprese»; però... il marxismo è smentito!. E più oltre: «ma anche il numero delle piccole e medie imprese cresce», dimenticando però di osservare che un enorme numero di piccole e medie aziende sono in realtà filiazione e depandances delle grandi e grandissime aziende che vi fanno produrre accessori, parti, riparazioni con una mano d'opera più a buon mercato o più specializzata, e la tengono in vita - finché loro fa comodo e sempre salvo a riassorbirle - anche per disperdere all'occhio del fisco la realtà dei profitti (si pensi solo alle officinette che, a Torino,  costellano la Fiat: sono tutte... indipendenti).

Ma, a parte la questione quantitativa, resta il peso qualitativo. Lo 0,69% delle aziende italiane rappresenta, o no un peso finanziario ed economico schiacciante? Totalizza o no l'enorme maggioranza della produzione? Detta si o no legge al mercato? Assorbe si o no di anno in anno - come documentano le relazioni annuali della Montecatini, della Fiat, ecc. - piccole e medie aziende? Esercita si o no un peso decisivo sul governo? Questo dice la «teoria» marxista della  «crescente prevalenza» delle grandi imprese. Il 3° censimento non solo la conferma, ma la ribadisce.

 

il programma comunista, n. 11, 10-24 giugno 1955