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archivio > Archivio sulla sinistra>Plaidoyer pour Staline (Il programma comunista, n 14, 29 giugno-13luglio 1956)

aggiornato al: 28/03/2011

Il programma comunista, n 14, 29 giugno-13luglio 1956

Questo bellissimo articolo non necessita di commenti particolari. Basti solo dire che per noi se la storia non la "fanno" gli eroi, non la fanno nemmeno i traditori e che stalinismo fu il nome usato dalla controrivoluzione per distruggere le forze rivoluzionarie comuniste ed internazionaliste.

 

PLAIDOYER POUR STALINE

Tutte le Rivoluzioni hanno preso sbornie di processi agli individui, si sono nutrite di innocenze e di colpe, di accuse e di difese. La Rivoluzione che noi attendiamo non lo farà, se alla fine della teoria marxista vi è, come noi crediamo, la Rivoluzione. Tale teoria non conosce responsabilità personali, assoluzioni o condanne. Conosce atti di forza, che sono necessità sociale, e non hanno a che fare con la qualifica giuridica o morale delle vittime, o degli autori.

Sarebbe dunque sciocco se chiedessimo la parola per la difesa di Stalin, imputato postumo. Sono gli atti di accusa contro di lui che vanno svergognati, in quanto concludono per la condanna, in strana concordia, vengano dagli esasperati nemici di decenni addietro, quando era odiato in quanto comunista e insieme ai comunisti rivoluzionari degli scorsi decenni, quando a nostro parere aveva disertato il comunismo, e dagli amici di quegli stessi decenni che oggi gli scoprono infamie infinite.

* * *

O si tesse la storia delle società umane come res gestae, come imprese attuate da uomini sommi e grandi condottieri, nella cui geniale volontà i fatti sono vissuti come un film, che dopo gli uomini generici hanno recitato in masse di comparse - o la si tesse, come i marxisti, cercandone le cause motrici nelle condizioni di vita fisica comuni alle masse collettive, e che le mettono, non coscienti né volenti, in moto.

Se si è ancora alla prima visione, non è proprio il caso di stupire se lo stesso nome reso "immortale" per la gloria delle imprese e la creduta forgiatura dei destini successivi dei popoli, giri per la notorietà di azioni turpi e di incredibili vergogne, che classificherebbero l'uomo comune come bruto, criminale, rifiuto della società. Vieto, e non nuovo il caso di Stalin, levato sugli altari come uomo eccelso, e descritto come soggetto degenere e mostruoso.

Questo va ricordato, e non spiegato, pel momento, con un tantino di marxismo: ossia confrontando la descrizione della classe e della parte di cui l'Uomo famoso fu difensore, e poi quella della classe e parte nemica e colpita. Sono proprio i soggetti e i seguaci, per frenesia o per vile interesse, che hanno messo nella doppia luce, di regola, tutti quelli con la collana dei cui nomi si è scritta la storia corrente, quelli che noi per derisione diciamo i Battilocchi.

Il Saggio che, richiesto di politico consiglio, fece passare la falce a una certa altezza dal suolo, recidendo del rosso campo di papaveri i fiori che sovrastavano più alti il prato, sapeva che chi si innalza sui suoi simili per speciale forza e valore, lo fa anche perché eccelle nel nuocere e nell'infierire, e nella sinistra capacità di opprimere altri.

Noi ci dimetteremmo da marxisti, e quindi da studiosi della storia, se pensassimo che un simile sterminio dei più Grandi o dei più Farabutti potesse mai fare perdere una battuta a quella Rivoluzione, di cui siamo assertori, e le cui radici sono connaturate in tutti i gambi del campo dell'erba umana.

Se volessimo seguire la casistica storica della doppia versione sugli uomini "speciali" - pretesi, per i nostri contraddittori, motori degli eventi generali - non basterebbe una vita umana. Non sfuggirebbe nessun nome eccelso, profeta o sapiente, santo o reggitore di popoli, semidio o semidemone delle leggende che ci furono trasmesse, nemmeno in quanto riflesso nelle opere di fantasia letteraria; in cui in altra forma fermarono gli uomini le stesse loro comuni tradizioni. La sublimità, e l'ima vergogna, le dimostreremmo da tutti toccate. E per le due ragioni tutti ricordati, o forse meglio sognati, da misteriose trasposizioni delle prime forme di umana conoscenza e trasmissione dei dati del passato. Inutile dunque, cercare su questa trafila dell'uomo causa di storia, in cui si scivola dalla banda dei Dulles come da quella dei Krusciov (tanto per intenderci alla buona), la chiave del problema Stalin.

 

* * *

Potremmo sondare le religioni e i miti, che altro non sono che prime scritture di vissuta storia sociale, non inventate secondo arbitrio e caso, ma derivate per successive deformazioni da materiali condizioni della vita comune, i primi esempi che immedesimano il genio buono e il cattivo, il salvatore degli uomini e la belva che ne beve il sangue. Dio, in ogni stadio, è il primo modello dell'essere amato e temuto al contempo, negli stessi tremendi estremi.

I primi personaggi storici stanno campati in mezzo tra il mitico e l'umano. La tradizione che li costruisce smarrita oscilla tra le loro virtù preclare e i loro vizi orrendi. È anzi l'orrido che appare all'uomo, anche nei tempi non antichi, più atto ad innalzare ad un uomo il piedistallo sugli altri.

Di molti grandi capi e signori e sovrani il ricordo delle infamie ha nella narrazione storica scavalcato quello dei meriti, e al massimo si è con questi sposato senza che la fantasia popolare se ne staccasse. Ricorderemo i feroci sacrifizi e stragi dei re assiri ed egizi che la storia ricorda per fondazioni ed opere giganti di civiltà millenarie? La regolazione del Nilo, le piramidi, le città dalle mura settemplici, o la bonifica idraulica come nella ferace Mesopotamia, che Semiramide trasformò da foresta infestata dalle belve in un giardino ridente tra le domate acque del Tigri e dell'Eufrate, per passare alla storia poi come una massima puttana, in quanto è il lato sessuale della deviazione umana che immancabilmente affiora attorno a questi clamorosi nomi? Tutto ciò sarebbe troppo lungo. E se i grandi imperatori si imposero alle popolazioni non fu per i bellici disagi delle gloriose campagne, quanto per aver saputo davanti ai loro occhi fare crocchiare i corpi vivi dei prigionieri sotto le ruote dei carri trionfali. Vi è oggi tanta distanza da questo? La morbosa commozione del civile popolo americano per qualche decimetro di intestino di Ike, vi sarebbe forse, senza la gioia di avere appreso e ammirato sugli schermi la magnifica schiacciata di centinaia di migliaia di corpi vivi, che un Serse, un Ciro, un Tamerlano, un Gengis-Kan non avrebbero saputo celebrare, sotto le atomiche di Nagasaki o di Hiroshima?

Bruciamo le tappe. Ovvio il collegare alla grandezza dei Condottieri le loro gesta sessuali con le Favorite di ogni razza, loro recate da tutte le vittorie. Ottaviano scende in popolarità di alcuni cubiti dinanzi a Marcantonio e a Giulio Cesare, per il merito di essere stato il solo a non entrare nell'alcova di Cleopatra. Virilità con le donne si accoppia letterariamente bene con il valore dinanzi al nemico, come per Astolfo che epicamente batte nella notte dodici vergini e il seguente dì dodici cavalieri; posta della sfida la propria testa.

Ma anche la degenerazione e l'inversione sessuale più turpe hanno ben condite le qualità preclare degli uomini di eccezione. Socrate resta il fondatore della filosofia morale, malgrado certi suoi scherzi col giovane Alcibiade, prediletto allievo. Per tornare a Cesare, è banale ricordare che secondo Svetonio i suoi fedeli legionari - non i suoi avversari - cantavano nel trionfo, in quel latino che consente di riferire porcherie: Hodie Caesar triumphat - qui subegit Gallias - Nycomedes non triumphat - qui subegit Caesarem. Vero o non vero, l'episodio con Nicomede, re di Bitynia, è un fatto storico di peso comparabile al travalicare della forma sociale romana classica nella Gallia e nella Britannia e alle origini dell'Impero Latino? Sono tali eventi umani condizionati dalla figura di uomo di Cesare, qui visto come un invertito, lì come il più grande generale, ingegnere, scrittore, storico, statista, di un secolo ricordato come aureo, ossia fecondo di uomini di rilievo - in quanto, secondo noi marxisti, era fecondo di un divenire di forze collettive, non personali?

Cadrà l'impero dopo avere avuto Nerone, Caligola, Tiberio, macchiati nel credere volgare di tutti i delitti; ma anche le forze nuove che schiuderanno la via alle nuove forme avranno l'aspetto dei feroci invasori; Attila flagello di Dio farà morire l'erba sotto gli zoccoli dei suoi cavalli, ma germinare un mondo originale: maledetto, benedetto? Ambo le cose. Con Vandali, Eruli, Goti, Normanni e i loro re dai nomi famosi, dai feroci costumi e dalle cristiane benemerenze.

Boia e Padri della patria, Santi e Inquisitori, Riformatori e Tiranni, si affollano alla memoria storica cogli stessi nomi, e colle stesse imprese gloriose si incrociano, senza fare troppa impressione ormai a nessuno, venefici, incesti, parricidi, roghi e tratti di corda... Il giudizio morale sui nomi fa a chiunque, di ogni scuola, scrivere una storia ubriaca e sconnessa. Evidentemente le ragioni di essa vanno cercate fuori dalle infamie, quanto dalle meravigliose opere, della grandinata allucinante dei Nomi Immortali. Questo doveva essere fatto, e fu fatto, dai materialisti storici.

Dobbiamo ancora trascrivere le due presentazioni della Rivoluzione Francese, dal lato feudale e da quello borghese? Ricordare le accuse alle belve del Terrore, del Termidoro e della Restaurazione? Contrapporre la luminosa costruzione che risolve apologie ed esecrazioni sorpassate e fatue nel vivo dramma delle classi in lotta, nella forza motrice della lotta economica, allorché il marxismo appare? E per sempre impallidisce ogni giudizio morale?

Non sfuggono i personaggi più recenti a queste norme. Lo scontro della Prima Guerra Mondiale fu legato al nome di Guglielmo di Germania, idolo degli uni, mostro degli altri: fece a tutto ciò da premessa una sporca storia di convegni col conte di Eulenburg. Sempre con quest'arma propagandistica del pettegolare sessuale si vollero condurre le battaglie politiche, né se ne salvò mai il Vaticano. Quando Mussolini era al vertice circolarono basse voci di illeciti amori, si diffamarono suoi segretari e fiduciari, si usò largamente come in tutti questi casi l'arma di sventolare i panni sporchi di famiglia. Che non si disse di Hitler? Gli uomini del proletariato furono anche non poche volte colpiti con questi bassi mezzi. Si sono incontrati porci che spiegarono in modo osceno il legame di Engels con la famiglia di Marx. Eppure la storia del comunismo ha esempi che hanno fatto tacere tutti: uomini che forse come Marx e Lenin non ebbero altra donna che l'ammirevole moglie, malgrado la teoria sessuale professata. In questi giorni si è trovato un idiota che ha parlato di una visita di Lenin a una casa chiusa di Parigi invece che alla Biblioteca Nazionale, che lo avrebbe infettato... Ma crediamo di non avere mai incontrato uno tanto maiale che non abbia parlato con rispetto della impareggiabile compagna di Lenin, esempio eccezionale di moglie di uomo potente, unicamente devota non tanto al marito, quanto al partito, di cui virilmente ricordò a Stalin di non essere l'ultimo dei membri. Può a queste alte figure di Jenny e Nadejda unirsi Natalia, la vedova di Trotzky.

Ora vorreste sciogliere il problema dell'indirizzo storico, che si lega convenzionalmente al nome di Stalin, col fatto vero o inventato - che mai, in sostanza, ciò importa? - che si sarebbe, vecchio, fatto condurre giovani donne, e quasi bambine?!

In questa schifosa materia, più dei sistemi nervosi che non reggono, sono sozze le bocche che si compiacciono a raccontare. E la politica che lega un successo all'impiego - ripetiamo vere o false che siano - di così miserabili risorse, non fa che dare una misura della pochezza e della insipienza umana. Se si tratta di chi una volta si sia detto marxista, la china discesa è di una profondità tanto spaventosa, che ci troviamo in presenza di cervelli degenerati in modo cento volte più patologico, di qualche glandola sessuale i cui ormoni non siano chimicamente conformi alla regola generale.

Alla fine del suo studio su Stalin, ricco di incredibile materiale e rivendicato dagli eventi posteriori in modo drammatico, Trotzky, al quale non potremo mai perdonare di essere stato tanto spesso biografo e psicologo, lui grandissimo storico marxista, conchiude con questa frase: "Lo Stato sono io è una formula quasi liberale in confronto con l'attuale (1940) regime totalitario di Stalin. Luigi XIV si limitava a identificare sé stesso con lo Stato. I Pontefici romani identificavano sé stessi insieme collo Stato e con la Chiesa, ma ciò solo nell'epoca del potere temporale. Lo Stato totalitario russo giunge molto più lungi del Cesaro-Papismo, perché esso ha sottomesso del pari tutta l'economia del paese. Stalin può ben dire a differenza del Re Sole: la Società sono io".

La distinzione tra Stato e Società è nella teoria marxista ed engelsiana fondamentale. Fino a che Stato vi sarà, sono due enti distinti e nemici. Lo Stato è una macchina di classe che pesa sul corpo della società umana. Per erigere uno Stato, se marxismo è marxismo, non basta un Uomo, occorre una Classe sociale.

Trotzky non ha scritto quelle parole che a titolo di feroce sarcasmo. Egli non ha voluto dire che Stalin ha messo il suo tallone sullo Stato e su una società di cento milioni di uomini; sarebbe sceso all'altezza di un Krusciov che vuole farci tremare col mignolo di Stalin.

Anche Lenin nel suo testamento insistette sull'esame psichiatrico di Stalin. Questo testo può fare molta impressione, ma non è di Lenin il più grande e il più utile. Lenin stesso si scusa: queste cose (il caratteraccio di Stalin, la sua maleducazione coi compagni) sembrano minuzie, ma non sono...

Lenin, come vedeva chiaramente la moglie, voleva passare le funzioni di Stalin a Trotzky, a Zinoviev, a Kamenev. Ma soltanto perché egli sentiva che quegli uomini erano sulla via di diverse forze del fondo della storia, e avrebbero lottato, e lui come tutti noi avrebbe - se non moriva - lottato, dalla parte contro Stalin.

Lenin cominciò a star male nel marzo del 1922. Il primo attacco di arteriosclerosi gli bloccò il lato destro e la parola il 26 di maggio. Al IV Congresso del Comintern, dal 4 novembre al 5 dicembre 1922, egli partecipò pienamente: il suo era un fisico formidabile; si era ripreso. Ma il 16 dicembre soggiacque al secondo colpo. Scrisse il testamento il 25 dicembre, il poscritto il 4 gennaio 1923. Il 9 marzo, pochi giorni dopo la lettera di rottura con Stalin, ebbe il terzo e più tremendo colpo. Sembrò in ottobre 1923 migliorare lievemente; morì il 21 gennaio 1924.

Ma già chi potette avvicinare Lenin nel giugno del 1922, durante l'Esecutivo Allargato a cui egli non poté intervenire, si vide venire incontro un uomo gonfio, dagli occhi cambiati, che faceva visibili sforzi per ricordare e parlare: sebbene colui fosse proprio di quelli per cui la storia si fa senza gli uomini, o senza dati uomini, uscì esprimendosi ai compagni con una frase drastica, irripetibile: siamo definitivamente fregati, ragazzi - all'incirca.

* * *

Quanto Lenin espresse negli ultimi tempi della sua vita va dunque adoperato con circospezione. Il fenomeno del novembre-dicembre 1922 fu senza dubbio l'ultimo fenomeno che la natura poteva produrre, con l'aiuto dei più validi medici disponibili a Mosca, e l'opera incredibile di Nadejda, che dopo il secondo colpo doveva ricominciare ad insegnargli a parlare e a leggere come a un bimbo. Quando Trotzky narra nel suo libro che Stalin voleva dare a Lenin il veleno da lui chiesto, dice che il medico non escludeva la ripresa e così si espresse: il virtuoso sarà sempre un virtuoso. La parola, italiana, non ci pare che calzi. Un Uomo è forse la stessa persona per dio, il diavolo, e la legge, in tutta la sua vita; ma certamente non è sempre la stessa Cosa, per il medico soprattutto. Tratteremo la questione, in breve e per chiudere, non giusta la brillante frase di Trotzky, né secondo le ultime manifestazioni, tragiche, del pensiero di Lenin.

Chiunque adopera lo Stato, lo adopera contro una parte, una classe o talune classi della Società. Il problema è la relazione tra Stato e Società. La società è una naturale colonia di animali-uomo messi dalla natura in date condizioni, che distinguiamo in gruppi di condizioni. Lo Stato è una macchina organizzata formatasi nella Società, e unita a una parte della Società. La base dello Stato non può coincidere colla Società in modo uniforme: ciò è la menzogna della teoria democratica e liberale.

La teoria della Dittatura ci insegna ad adoperare una macchina-Stato, a nostra volta. Una nuova macchina, fatta dopo avere fracassata quella tradizionale, ma sempre una macchina, fatta con uomini legati da vari ingranaggi.

Questa macchina agisce contro le classi debellate, ma superstiti, per disperderle, coi loro annessi ed influssi ostinati; e dopo sparire.

Fino a che la macchina c'è, essa è fatta di uomini: scrittori, oratori, organizzatori, soldati, guardie, poliziotti.

Ammettiamo che la macchina-Stato debba funzionare con uomini adatti e selezionati, che abbiano date qualità, e anche cattive qualità per la morale tradizionale. Non rinunzieremo per questo all'uso, storicamente transitorio, della macchina-Stato, dell'utensile-Stato, dell'arma-Stato, della porcheria-Stato.

Noi non miriamo a erigere uno Stato modello, come tutti gli ideologi a noi nemici. Noi miriamo, perché la storia lo impone, a sbarazzare la società dallo Stato, "vaccinandola" coll'uso di un ultimo Stato, in certe condizioni più tagliente ed aspro di quelli che lo hanno preceduto.

Quando una forma sociale, come l'odierno capitalismo, invecchia troppo, può presumersi che lo Stato che ne ripulirà la Società dovrà essere particolarmente pesante. Supponiamo che ci si provi che in esso dovranno impiegarsi e magari sacrificarsi a diventare soggettivamente spietati e feroci alcuni dei militanti del partito; non sarà una ragione storica per rinculare dall'unica via della Rivoluzione.

Così parlarono e scrissero Lenin e Trotzky nel tempo della piena efficienza, essi che soggettivamente non avrebbero goduto a schiacciare una formica (una sola volta Trotzky ci parlò col suo buon sorriso di "plaisir de la chasse"). Non abbiamo nessuna ragione e nessun interesse dottrinale di partito a far leva sul sadismo di Stalin, e non vediamo in esso una chiave della storia. Chi voleva poteva guardarlo in faccia e apostrofarlo, come fece Nadejda senza tremare. Non la cattiveria o brutalità di Stalin decise questa partita storica. Ben lungi!

 

* * *

 

Non fu la natura che creò una mostruosa creatura, ma la storia che si fermò su un difficile tipo della macchina-Stato a cavallo tra troppe forze in contrasto, cui venne meno la forza decisiva: il proletariato d'Europa.

Questa forma storica si arrestò in un mostruoso incontro tra due forme ormai alternative: democrazia e dittatura.

La questione non è di sapere se la macchina-Stato può avere al vertice un singolo, un sinedrio, o un'assemblea popolare. Questa è metafisica, non storia.

Lo Stato rivoluzionario russo fu condotto ad usare la forma estrema del terrore interno; e di guazzare fuori delle frontiere nella - ovunque e sempre menzognera - difesa della lascivia democratica e popolare.

Tutti i fenomeni mostruosi uscirono da questo incesto di forze storiche, che invano tendenze, proposte, resistenze ed opposizioni cercarono di evitare: stare fuori dai parlamenti in Occidente, salvare in Russia il partito operaio dal soffocamento di uno Stato di borghese contadiname, non infangarsi nei blocchi antifascisti. Il superamento era immaturo, impossibile (anche per un Lenin rinato giovane!) senza la rivoluzione dell'Occidente.

Da questo incesto di forze storiche fu plasmato il Minotauro Stalin, povera forma passiva senza vitalità, fecondità e responsabilità; né bestia né uomo, non soggetto di processi di condanne o di riabilitazione.

Al dire delle miserevoli spiegazioni di oggi, la normalità o meno del governare di Stalin potrebbe discutersi alla stregua di comuni principii sulla validità e la rettitudine del maneggio degli Stati, che risalgono a comuni criteri di una civiltà base.

È in questo tentativo degli smarriti deificatori di ieri di Stalin che sta l'errore: manca questo terreno comune alle nemiche forze della storia: un solo mezzo di discussione corre tra esse, ed è la forza: avrà torto chi in definitiva avrà dovuto mordere la polvere. Tutto il resto è sporca prostituzione all'ideologia borghese, cui i falsi comunisti di oggi di Occidente hanno la scusante di avere sempre, senza assurgere un attimo al marxismo, lealmente, onestamente creduto, e in cui oggi si rituffano tirando il fiato. La legalità borghese è la loro atmosfera, e mai ne sono stati fuori: sarebbero deceduti. Solo una borghesia, che fiuta l'autofetore cadaverico, può di costoro temere: hanno il suo profumo.

Ma Stalin, si dice di Russia, negli ultimi contorcimenti, violò la legalità rivoluzionaria, la legalità sovietica.

O Stalin aveva il mandato di reggere una dittatura, o di rispettare una legalità. Lenin aveva scritto: Che cosa è la dittatura? Lo disse egli stesso:

Un potere conquistato e mantenuto dalla violenza del proletariato contro la borghesia, un potere "non vincolato da nessuna legge".

Stalin e i suoi bassi giannizzeri non avevano legalità da rispettare, che abbiano violato. Essi sono stati per loro disgrazia, e nella loro irresponsabile impotenza, di nuovo vincolati, dentro e fuori la cortina, dalle leggi economiche giuridiche e ideologiche della lurida melma sociale borghese.

Quando la dittatura di domani, con alla testa un colosso alla Lenin, o migliaia di valorosi militanti, o milioni di semplici proletari, ciò conta ben poco, non chiederà più scuse e maschere di legalità e di costituzionalità, di consensi popolari e di emulazione dei radicali nemici, essa procederà alta, netta, luminosa e brillante, lavata dall'onta che oggi le attirano gli sciagurati diffamatori, che ne fanno, da forza gigante rinnovatrice della storia di un mondo, un feroce giocattolo che possa essere guidato dal mignolo dell'Uomo Nero.

L'ultimo dei crimini rinfacciato a Giuseppe Stalin è la proposta, che fece nel 1953, di crescere di 40 miliardi di rubli i versamenti dei contadini allo Stato, cioè all'economia industriale, cioè al famelico proletariato russo. La motivazione è bassamente riformista, minimalista, puzza a mille miglia di opportunismo piccolo borghese: Stalin non andava sul posto, in campagna, non faceva, credendosi un genio, i conti; asserì che ad ogni contadino bastava mangiare un pollo di meno. In effetti ognuno non avrebbe dato che 500 rubli all'anno, poche migliaia di lire in valore reale. L'argomento che Stalin vedesse le tavole coperte di oche e tacchini dei contadini nei films, è ignobile: era lui solo che li girava e li proiettava?! L'argomento che in certi anni i colcos avevano avuto dallo Stato solo 28 miliardi come prezzo di merci, vuole solo dire che per la terra (e il resto) che godono pagano cifre irrisorie. L'hanno rubata alla Rivoluzione.

Stalin sparisce dopo un'ultima idea che è un rigurgito di bolscevismo nell'ultimo degli ex bolscevichi. Spostare, nell'economia capitalista di stato, una maggior parte di reddito della semiborghesia campagnola e dei suoi agenti, ai lavoratori salariati.

Bisogna seppellire, senza adoperare mausolei, l'idea, così dura a scrollare dalle povere nostre teste, che gli uomini, siano Stalin, Trotzky o Lenin, possano fabbricare storia. "Three who made a revolution" ha male scritto il valente aneddotista Bertrand Wolfe. Tre che fecero una rivoluzione!

Tutti i testi usati nel rapporto di Krusciov, oltre ad essere in giro a Mosca dal 1924, sono stati stampati da Trotzky e in tutto il mondo da decenni e decenni. Ma finora è stato fatto credere a diecine di milioni di lavoratori di tutti i paesi, a centinaia di milioni, che lo avrebbero giurato cento volte, che erano falsi fabbricati da agenti borghesi - del calibro di tutti noi!

Trotzky ha dunque detto alla lettera tutte cose vere. Come quella che quando nella sessione del Comitato Centrale Kamenev lesse il "testamento", Stalin, "seduto sui gradini della tribuna del Presidium, malgrado il suo dominio di sé, si sentiva piccolo e miserabile". Ciò accadde prima del XII Congresso del partito, tenuto in aprile del 1923, Lenin vivo ma assente.

Oggi soltanto valgono simili testi a distruggere Stalin, già morto? E non distruggono quanti li sapevano da 33 anni, tempo di levare un Cristo sulla Croce, e ora li "rivelano"?

Trotzky racconta anche le parole della Krupskaya: "Volodya (vezzeggiativo di Vladimiro) diceva sempre: "Egli (Stalin, che Nadejda non nominava ma indicava inchinando il capo verso il suo alloggio del Kremlino) è destituito della più elementare onestà, della più semplice e umana onestà". Parla un uomo finito dalla malattia, una donna al limite della abnegazione e del dolore, un altro uomo sconfitto ed esule. Volodya, Leone, Nadejda, molti di noi ometti, dovevamo capire che il dovere verso la causa ed il partito sarebbe stato di gettarci su Stalin divenendo, se occorreva, più disonesti di lui. Di Lui. Sostantivando questo pronome, scioccamente si fece anche al falso cattivaccio Benito, proprio dai suoi nemici, un piedistallo idiota. Ci beffavamo di ciò coi compagni di confino: di quale animale di sesso maschile state parlando?

Anche l'ardente Trotzky paragona Stalin a Nerone, a Borgia, e dice la ragione marxista: "Noi stiamo vivendo un'epoca di transizione da uno ad un altro sistema, dal capitalismo al socialismo. I costumi del declinante impero di Roma si formarono durante la transizione dallo schiavismo al feudalesimo, dal paganesimo al cristianesimo. L'epoca del Rinascimento segnò la transizione dalla società feudale alla borghese, dal Cattolicesimo al Protestantesimo, e al Liberalismo".

"Anche Nerone fu un prodotto della sua epoca. Ma come morì le sue statue furono abbattute e il suo nome cancellato dovunque. La vendetta della storia è più terribile della vendetta del più potente Segretario Generale. Io mi avventuro a credere che in ciò è una consolazione".

Tutto questo è grande ed è potente, in un così formidabile lottatore, in un campione della volontà e del coraggio umano. Tuttavia noi, minimi, rettificheremo in sede teorica, e non commotiva, alcune altre frasi del passo profetico.

"In ambo i casi (Impero e Rinascenza) la moralità antica aveva distrutto sé stessa prima che la nuova venisse formata". Come per i marxisti non si tratta di fondare un nuovo Stato, così essi non abbisognano di una nuova morale. E, se la avessero, non vi figurerebbe la Vendetta, e tanto meno la consolazione che arreca al buon combattente battuto.

Ancora: "Una spiegazione storica non è una giustificazione".

Espressa ancora una volta la nostra ammirazione a Trotzky, teorico tra i più grandi, noi proponiamo per epigrafe a Stalin, dopo i prolissi epicedi sulla sua tomba profanata, una tesi diversa e più grande.

Sempre, una spiegazione storica è una giustificazione.

 

Il programma comunista, n. 14, 29 giugno - 13 luglio 1956