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archivio > Archivio sulla sinistra>Borghesi senza proletari? (battaglia comunista, n. 11 e 12, maggio e giugno 1952)

aggiornato al: 12/03/2011

battaglia comunista, n. 11, 29 maggio - 9 giugno e n. 12, 11 - 25 giugno 1952

Un bell'articolo(diviso in due parti) di più di cinquanta anni fa, quando ancora, e siamo agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso, il capitalismo, ringiovanito dall'uscita dalla seconda guerra mondiale, sembrava promettere gioia, felicità e benessere per tutti. Si prospettava allora, anche se, bisogna essere sinceri, molti rimanevano scettici, il superamento della divisione iniqua tra padroni e servi, tra datori di lavoro e operai, il superamento del capitalismo ad opera del capitalismo stesso.

L'assurdità di una tale ipotesi è ben palpabile oggi: di essa non si parla più in una realtà sociale che vede una crisi produttiva e sociale sempre più grave e di fronte alla quale si ripropone, tra fuochi e bagliori che scoppiano sempre più spesso, con attualità la sola prospettiva possibile e realizzabile, quella lanciata ancora nel 1848 da Marx ed Engels: la necessità del comunismo e della rivoluzione comunista.

 

 

Borghesi senza proletari?

 

«Noi qui negli Stati Uniti dobbiamo ancora percorrere molta strada per far divenire i dirigenti e gli operai delle fabbriche dei veri e propri soci, ma siamo già sulla buona strada».  E sia lodato il cielo. Tale consolante notizia ce l'ha data mister Clinton S. Golden, ex consulente sindacale dell'ECA, in un discorso tenuto in occasione della visita degli industriali europei negli Stati Uniti. Egli ha continuato così: «Tale sviluppo favorevole (cioè la trasformazione degli operai in soci azionisti delle aziende) non avverrebbe su vasta scala se non esistesse un movimento sindacale forte ben disciplinato ed organizzato che ha già saldamente stabilito, con la maniera forte (mamma mia, come sono terribili i sindacalisti USA!) i suoi diritti circa i contratti collettivi».

Grazie mister Golden. Voi ci date ancora l'ennesima conferma di quanto attuale e completa sia la teoria marxista. Il vostro modo di fare il ciarlatano dalla faccia di bronzo, Marx lo conosceva fin dal lontano 1848, data del Manifesto dei Comunisti. Ma da quel tempo è passato un secolo intero di dominazione capitalistica e, a scorno della concretezza degli ideologi pari vostri, non abbiamo assistito ad uno, diciamo uno solo, esempio di realizzazione di quello che Marx ed Engels definivano col termine di «socialismo conservatore e borghese». Da quel tempo, qualunque operaio è divenuto per il gioco tirannico delle leggi sociali vigenti un socio, un padrone di aziende, ha dovuto spogliarsi della sua primitiva natura sociale, e divenire esso stesso uno sfruttatore, ha dovuto cioè passare nella classe dei borghesi.

 L'impossibilità che la classe dei proletari, dei prestatori di opera possa comunque divenire socia di affari della classe borghese sfruttatrice è dimostrabile dai vostri stessi ragionamenti. Gonfiando le gote, voi dite: «Non credo che il capitalismo possa a lungo sopravvivere in qualsiasi paese in questi giorni calamitosi, se il capitalismo e i lavoratori non accettano con fede il principio che una economia possa espandersi in profondità, e se non fanno quanto deve essere fatto per espandere l'economia in tal senso». Ma che significato pratico hanno i vostri ragionamenti sulla espansione dell'economia? In sostanza si tratterebbe, nientepopodimeno, di questo: «Importante per una economia che si espande sono la suddivisione e la distribuzione dei benefici derivanti dalla produzione e dalla produttività in aumento. E' assolutamente essenziale che di tali benefici ne vengano a godere gli operai sotto forma di salari più alti; gli altri consumatori, sotto forma di prezzi più bassi; ed i proprietari sotto forma di profitti, che dovrebbero essere reinvestiti nel processo produttivo in un ciclo ininterrotto».

Il fatto inoppugnabile, e solo questo, che il vostro discorso è pubblicato sulle splendide pagine de «Nel mondo del lavoro», stampato con i dollari U.S.A. e gratuitamente distribuito, ci rassicura, egregio mister Golden, che non stiamo leggendo un discorso di Di Vittorio. Infatti l'argomento è identico. Due gocce d'acqua, d'acqua marcia, si intende. Ma lasciamo correre... Salari alti, prezzi bassi, reinvestimento dei profitti: ecco riassunto in sintesi la vostra teoria (vostra nel senso sociale, non personale giacché voi siete solo uno scimmiottatore maldestro) della «profondità del mercato». A dimostrazione della vostra idiozia tipicamente americana, tenete ad aggiungere: «Se queste cose (vedi sopra) non vengono fatte accuratamente, saggiamente, prudentemente ed in modo continuativo, i mezzi della tecnica moderna diventano una dannazione piuttosto che una benedizione perché allora la capacità di produzione sorpassa la capacità di consumo».

Benissimo. Avete messo il dito sulla piaga. la quadratura del cerchio capitalista è rappresentato appunto dall'insolubile problema sociale che è determinato dalla fondamentale esigenza dell'equilibrio tra salari e prezzi. Rifuggendo da errate interpretazioni lassalliane del rapporto salario-profitto, non abbiamo difficoltà ad accettare che il capitalismo riesca, nel campo della grande industria, ad ottenere e gli uni e gli altri. e i salari relativamente alti e i prezzi bassi. Ma ciò si ottiene in un solo modo: innalzando forzosamente il livello della produttività del lavoro, il che significa aumentando percentualmente gli sforzi produttivi dei lavoratori, affinché un accresciuto montante della produzione compensi il lecco elargito agli operai occupati. Esempio pratico di un aumento di produttività: la massa di prodotto realizzabile occupando 1.000.000  di operai, viene ottenuta mediante la meccanizzazione ad oltranza dei mezzi di produzione e mediante l'accresciuto sforzo lavorativo degli operai il che consentirà la riduzione della massa impiegabile dei lavoratori, poniamo a 250 mila unità. Ovviamente il tasso del profitto salirà in proporzione, e agli imprenditori riuscirà possibile aumentare relativamente i salari degli operai occupati. Ma, e gli altri 750.000 operai che sono stati sacrificati sull'altare del Dio Produttività e gettati sul lastrico, ad ingrossamento della armata industriale di riserva? Si gioveranno anch'essi degli aumenti di salari concessi agli operai occupati?

 

battaglia comunista, n. 11, 29 maggio -9 giugno 1952

 

 

 

* * *

 

II

 

 

Rifacendosi ad un articolo in cui Clinton Golden propugna un preteso «superamento del capitalismo» mediante la partecipazione degli operai agli utili dell'azienda, l'articolista chiede nella prima puntata (n. 11 di «Battaglia Comunista»): anche ammesso che - a prezzo di un maggior sforzo produttivo e quindi di un maggior sfruttamento - gli operai di una certa azienda «migliorino le proprie condizioni» che ne sarà di quelli che sono stati sacrificati sull'altare della produttività?

 

Qui sta il busillis, magnanimo mister Golden. Voi riuscite sì, a creare uno strato di operai relativamente ben pagati, una aristocrazia operaia, ma i benefici accordati a questo ristretto strato (non tutti gli operai americani hanno la Ford, mister Golden, tutt'altro!) sono fatti pagare e duramente, innanzi tutto dalle imponenti masse di disoccupati e dei disperati viventi all'ombra della statua della Libertà, ma ancora di tutta la popolazione non capitalistica della nazione (piccoli farmers, artigiani, piccoli commercianti ecc.) ai quali tocca subire le imposizioni tiranniche della grande industria. E sta a dimostrarlo il fatto che il Governo federale è costretto ad accordare dal tempo di Roosvelt, sovvenzioni agli agricoltori, prezzi politici ecc. Il danno va pure, bisogna dirlo, ai disoccupati di oltre-Atlantico cui chiudete la porta di casa in faccia.

E' naturale che voi, mister Golden, vi compiaciate dei miracoli dell'alta produttività: essa crea, come già detto, una aristocrazia operaia accessibile a tutte le influenze opportunistiche e controrivoluzionarie, sulle quali poggia in definitiva la stabilità dell'equilibrio sociale interno e la capacità di repressione, che si estende all'intero mondo, dello Stato americano. Voi sapete benissimo che finché la borghesia mondiale potrà disporre del potere repressivo dello Stato americano, la rivoluzione proletaria, ovunque scoppierà, avrà da combattere costà, nella vostra fortezza della controrivoluzione, la sua battaglia definitiva. Perciò, gioite insieme con i dirigenti reazionari della Federazione Americana del lavoro, del Congresso delle organizzazioni industriali ecc., della possibilità di agganciare agli interessi delle aziende capitalistiche qualche strato operaio. La automatizzazione della tecnica produttiva è arrivata al punto che nel vostro paese esistono già delle fabbriche (specialmente mulini) le quali possono andare avanti praticamente senza maestranze, con l'impiego di qualche tecnico o operaio super-specializzato. Costoro possono anche diventare «soci effettivi della azienda» come voi sostenete. E con ciò? Chi si curerà degli altri operai, di quelli che la modernizzazione della tecnica rende superflui? Si conclude logicamente che di questi, e degli altri, dovrà occuparsene necessariamente la Rivoluzione.

La pratica dimostra poi che, nonostante i trucchi montati sull'aumento della produttività, i costi di produzione americani, anziché diminuire, aumentano con spiccata tendenza. Dalla fine della guerra, infatti, il dollaro perde quota, e il fenomeno non accenna  a scomparire. Voi stesso, dandovi la zappa sui piedi, riconoscete nel vostro discorso che «troppo spesso i proprietari, ignorando il fatto che gli operai sono dei possibili consumatori (e dalli!) mantengono i salari al livello più basso possibile». Ma anche se tutti i proprietari seguissero le vostre opinioni, ciò non toglierebbe, come abbiamo visto, che aumentassero le contraddizioni sociali e che si moltiplicassero le premesse e le cause della lotta di classe. Non potrete impedire, in quanto classe borghese che i mezzi della tecnica moderna diventino una maledizione nelle mani del capitalismo. Proprio quello che vi terrorizza.

«Vogliono la società attuale scartandone gli elementi che la mettono in rivoluzione e in dissoluzione» dicevano Marx ed Engels, nel Manifesto, alludendo ai vostri progenitori, mister Golden, e continuavano: «Vogliono la borghesia senza il proletariato. E' naturale che la borghesia si figuri la società ove essa domina come la migliore di tutte. Il socialismo borghese trae da questa consolante idea un mezzo sistema o anche un sistema completo». E concludevano ferocemente: «Libero commercio, a vantaggio delle classi operaie; dazi protettori, a vantaggio delle classi operaie; carcere cellulare, a vantaggio delle classi operaie: ecco l'ultima, la sola parola seriamente pensata del socialismo borghese. Il socialismo borghese consiste tutto nel sostenere che i borghesi sono borghesi... a vantaggio delle classi operaie».

Per il lettori americani del Manifesto un ritocco è valido. Al carcere cellulare va aggiunta la moderna sedia elettrica...

 

 

battaglia comunista, n. 12, 11 - 25 giugno 1952