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archivio > Archivio sulla sinistra>Volantino: Non è con i referendum che si difendono... (Schio, 23. 1. 2011)

aggiornato al: 26/01/2011

Schio, 23 gennaio 2011

Proponiamo questa volta un bel volantino dei compagni di Schio del  Partito Comunista Internazionale (che pubblicano Sul filo rosso del tempo) sul referendum di Mirafiori e, al di la della Fiat, sulla situazione in cui versa la classe operaia.

 

 

 

Non è con i referendum che si difendono e si migliorano le condizioni di vita della classe operaia

 

 

La Fiat, forte dell’appoggio dei sindacati più esplicitamente collaborazionisti (Cisl, Uil, Ugl, etc.) ha sancito con gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, confermati poi dai due referendum-ricatto, le regole ferree che faranno da guida a tutti gli altri accordi e contratti e che segneranno quindi i rapporti  di classe in Italia negli anni a venire.

Dall’alto di un parlamento che somiglia sempre più non ad una “cupola” mafiosa, che è un’istituzione seria dove si prendono decisioni serie, ma ad un palcoscenico di infimo ordine a null’altro dedito se non al quotidiano vomitorium di pettegolezzi sfornati a getto continuo per distrarre l’attenzione delle turlupinate plebi dalla loro quotidiana miseria, la borghesia italica e la sua corte stipendiata di managers, sindacalisti, giornalisti, politici, preti ed “esperti” hanno salutato con gioia l’affermazione del “sì”, inneggiando alla “svolta” ossia alla fine di un’epoca in cui la classe operaia, dedita -a parere di lorsignori- allo spreco ed all’orgia dei consumi, si sarebbe pigramente crogiolata  nell’ozio.

Ironia a parte, ben sappiamo quanto invece sia diverso -e non da ieri ma già da parecchi anni- il contesto reale in cui vivono molti operai e come l’espressione “non arrivare alle terza settimana del mese” sia entrata a far parte del linguaggio quotidiano.

Questo è quanto le stesse statistiche, nella loro asettica freddezza, esprimono: 8 punti percentuali di PIL passati dal lavoro al capitale nell’ultimo decennio, il 5% della popolazione detiene il 50% della ricchezza nazionale.

Ancora una volta ad una classe operaia già gravata da condizioni di salario decrescente a causa della cassa integrazione, dei contratti di solidarietà e del lavoro nero, ad una classe operaia continuamente minacciata dalla chiusura delle fabbriche in cui le è ancora concesso il “privilegio” di farsi sfruttare, vengono chiesti dei nuovi e più pesanti sacrifici nella speranza che essa abbia dimenticato quante altre volte le siano state fatte delle richieste del tutto analoghe, a quante conquiste sia già stata costretta a rinunciare negli ultimi 30 anni nella prospettiva -tanto strombazzata quanto fasulla- di un futuro migliore.

Si è passati in realtà di svendita in svendita ed il processo sembra non avere più freni: la prospettiva che ora sembra più attendibile è quella di un ritorno a rapporti di classe di tipo ottocentesco. Il Capitale deve cioè far rivivere tutta la brutalità e la violenza senza limiti dell’accumulazione primitiva nella speranza di rilanciare un processo di accumulazione ormai asfittico da decenni.

 Si è regalata – da parte sindacale- la scala-mobile, si è rinunciato anche all’apparenza di una sanità “gratuita”, si è drasticamente ridimensionato il sistema pensionistico, si sono introdotti contratti che precarizzano le condizioni di vita di una grande parte di lavoratori. Che cosa si è ottenuto in cambio?

La vertenza FIAT del 1980 ci dà una risposta eloquente: i 70.000 lavoratori di allora, si sono ridotti oggi a 17.000. A chi dobbiamo dire grazie? Ai sindacati tricolori Cgil-Cisl-Uil e alla loro politica  collaborazionista votata a far digerire agli operai qualunque sacrifico in nome dell’economia nazionale.

Organizzazioni che a tal fine si sono macchiate della colpa ancora più grave di avere frantumato l’unità della classe operaia rendendola un ammasso informe di individui sempre più privi di difese contro l’arroganza del capitale e sempre più in balìa delle sue inevitabili crisi.

Ora se si vuole risalire la china è proprio in contro senso a questa direzione che bisogna agire, riunificando la classe operaia e non accettando il terreno democratico dei referendum, che si sono dimostrati una vera e propria farsa con i partiti del No e del Si, a scimmiottare i loro simili in parlamento che, hanno veicolato l’ennesima illusione che il capitalismo abbia cambiato pelle mentre in realtà si basa esclusivamente sui rapporti di forza fra le classi e se ne frega delle convenzioni dello “stato di diritto”, approfittando della crisi generata dal suo stesso funzionamento per sfruttare al massimo la situazione e riprendersi quanto ha dovuto cedere in termini salariali e di “diritti” quando gli affari andavano bene. Tutte quelle “conquiste” oggi non sono più ammissibili perché pesano sui profitti e sul sistema, occorre quindi un “nuovo diritto del lavoro” che permetta ai padroni di competere senza vincoli.

Schiavizzazione e precarietà sono le conseguenza inevitabile della accresciuta concorrenza fra capitalismi nella morsa della crisi di sovrapproduzione mondiale, e contro questa realtà nulla possono le "resistenze" operaie vincolate alle compatibilità aziendali e nazionali.

II capitalismo conosce solo la legge del profitto e della sua valorizzazione mondiale, che storicamente contrasta, corrompe e assorbe ogni movimento ed organizzazione immediata, ogni "diritto" rivendicativo, che sono sempre e comunque effimeri e soggetti alle oscillazioni del mercato mondiale.

Oggi il vecchio ciclo della concertazione e mediazione sindacale, superato dai fatti, e andato in pezzi,  siamo entranti in una fase di radicalità e di scontro di classe di cui nelle metropoli solo i padroni hanno chiara coscienza, attrezzandosi per affrontare le emergenze avvenire, mentre alla periferia già settori consistenti del proletariato sono trascinati sul terreno della lotta diretta, come mostrano le rivolte del Nordafrica, dell’Albania e della Grecia.

 

Gli operai, traditi e svenduti da anni dai loro falsi amici, sono ridotti oggi a carne da macello in concorrenza tra loro come le merci che producono.

L'attuale condizione di una classe esposta a sempre più pesanti ricatti, costretta a subire senza reagire i colpi del padronato, è la rappresentazione più evidente della tragedia storica che 1'ha privata di coscienza e di organizzazione classista. In questo quadro fosco i punti di contraddizione, tuttavia, non mancano:

1)           Il capitale lavorando secondo le sue proprie leggi, prepara le condizioni della sua fine: un capitalismo che è senza patria e che si dichiara pronto a delocalizzarsi per convenienza, non può che rendere infine palese alla classe proletaria la sua condizione di "senza nazione" e senza "imprese" nazionali da difendere.

2)     L'attacco della Fiat sta producendo deperimento del vecchio tessuto organizzativo sindacale che ha finora imprigionato la classe. Gli enormi apparati burocratici che riscuotevano direttamente dalla busta paga la quota economica del proprio mantenimento, con la rinunzia da parte dell'azienda a trattenere le quote di iscrizione dalle buste paga ai sindacati non firmatari come oggi la FIOM, avranno 1'onere di raccogliere direttamente i soldi. Ma saranno all’altezza di questo onore? Noi ne dubitiamo. Per quanto tempo allora i lavoratori si tasseranno per sostenere gli attuali sindacati? Giunti al momento della verità i lavoratori si troveranno nella necessita di riorganizzarsi su un terreno sindacale diverso rispetto al passato.

3)           II peggioramento della condizione di vita delle masse proletarie, le costringerà a scendere sul terreno della lotta aperta e dell’azione diretta disertando ogni concertazione per ottenere un qualsiasi miglioramento. Dalla tensione che cova dentro i luoghi di lavoro scaturiranno delle nuovi organizzazioni di lotta che offriranno una prospettiva anche a coloro che si batteranno fuori dalle fabbriche.

 

È dunque da questo, che è il punto più basso della storia recente, che nascerà la riappropriazione da parte del proletariato della sua storica visione del mondo e della capacità di stendere relazioni solidali di classe nazionali ed internazionali capaci di contrastare il capitale sul terreno dei rapporti di forza e di annunciare una nuova stagione di conflitti.

 

 

 

Partito Comunista Internazionale

Sede (aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00): via Porta di Sotto n°43, Schio (VI)

Sito Internet:www.sinistracomunistainternazionale.it – e-mail: sinistracomunistaint@libero.it

23/01/2011 – Fotocopiato in proprio