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archivio > Archivio sulla sinistra>Forgiatore di militanti (il programma comunista, n. 17, 30 settembre 1970)

aggiornato al: 16/07/2010

il programma comunista, n. 17, 30 settembre 1970

Oggi proponiamo, sempre per commemorare il quarantesimo della morte di Amadeo Bordiga , dopo Una milizia esemplare al servizio della rivoluzione che abbiamo riproposto qualche settimana fa, uno scritto altrettanto bello: Forgiatore di militanti che fu pubblicato sempre su il programma comunista nel settembre del 1970. Dalla sua lettura si può intuire la forza del legame che univa e cementava Bordiga ai suoi compagni nella piccola compagine partitica, vera comunità umana, che li racchiudeva tutti.

Durante questo mese di luglio pensiamo di ospitare altre testimonianze che vennero scritte alla sua morte quaranta anni fa.

 

Forgiatore di militanti

 

«Come il geologo affonda la sua sonda nelle viscere della terra per trarne alla superficie campioni dei vari strati onde studiarne la natura e la formazione, così il partito si serva di me e della mia memoria come di una sonda che s'immerge nella storia di oltre mezzo secolo del movimento operaio, per approfondire lo studio dei suoi errori e delle sue sconfitte, delle sue avanzate e delle sue vittorie».

Fra tanti suoi discorsi, queste parole ci commossero di più. Pronunziate da Amadeo nel '67 [sic!, si tratta del 1966], in una delle nostre riunioni, ci suonarono come una esortazione a non indugiare, come un invito contro il tempo, come un appello pressante. Il combattente sentiva urgere la sua ora. Dal '45, senza sosta, con periodicità cronometrica, con tenacia impassibile, senza mai «dirlo», aveva in realtà «funzionato» da sonda, aveva frugato inesorabile nei meandri di quell'arco di tempo che va - lui testimone ed attore - dai primi lustri del secolo ai nostri giorni. Di città in città, dinanzi a uditori di un centinaio di compagni - teste canute di vecchi e cocciuti militanti, teste brune o bionde di giovani reclute entusiaste - in sottoscala di fortuna, in ambienti angusti in cui l'ossigeno non era in eccesso, per oltre un ventennio aveva martellato i «chiodi» della dottrina, chiarito come e perché - sotto la disfatta della rivoluzione in Europa - fosse avvenuta la deviazione di rotta sul cammino della III Internazionale, additato la palude in cui era affondato il movimento proletario mondiale, lumeggiato i punti di approdo cui era giunta la esperienza storica della Sinistra, proclamato sempre - nonostante tutto - la certezza esaltante della vittoria finale del Comunismo.

Lo aveva fatto e continuava a farlo nella stampa, sulle colonne del nostro giornale, in quei «fili del tempo» così vibranti per la passione del polemista. Ma in realtà il suo lavoro di scandaglio gli riusciva meglio alla presenza di compagni. Era un lavoro stimolante: la sonda scavava scavava, portava alla superficie avanzi fossili, utili ormai solo per la dimostrazione d'essere fossili, ed eventi grandiosi, ed episodi non noti, echi di scioperi memorabili, brani di risoluzioni importanti, scorci di Congressi mondiali, punti fermi della teoria rivoluzionaria. Le teste canute ne testimoniavano l'esattezza, le teste brune o bionde ne assimilavano la lezione. Era una elaborazione collettiva, non il prodotto di un singolo cervello, possente che fosse. Non era lui, Amadeo, che parlava: era la coscienza del partito, era la esperienza storica della Sinistra che per sua bocca si esprimeva, indicava alle nuove leve in quale abisso gli errori di rotta - a suo tempo denunziati - avevano portato, come e perché quegli errori non dovevano essere ripetuti mai più, pena la degenerazione irreversibile del partito la rinunzia definitiva al suo programma.

Per oltre un ventennio la sonda aveva scavato senza alcun esplicito accenno alla sua funzione; perché quell'appello patetico nel '67 ['66]? Il combattente, sorretto sempre da un giovanile ottimismo, aveva ora la percezione esatta delle sue forze fisiche e dei loro limiti. Voleva dare di più e presto; dare fino all'estremo. Qui è il tratto essenziale di lui, il carattere autentico del rivoluzionario marxista. Chi non ha colto ciò non capirà mai nulla dell'uomo Bordiga. Altro che distacco, altro che ritiro sdegnoso! Egli era visceralmente, organicamente legato al partito: senza legame con esso il suo pensiero politico non avrebbe trovato ossigeno per vivere, terreno su cui germogliare ed espandersi. Un uditorio di compagni stimolava vieppiù la sua mente già così fervida, dava passione alla sua fede e alla sua eloquenza. Le sue cose meglio riuscite nacquero così alla presenza coadiuvante dei compagni. La commemorazione di Lenin, tenuta nel '24 alla Camera del Lavoro di Roma, uscì come un blocco incandescente davanti ad una folla di lavoratori, e solo dopo alcuni giorni - in una pausa di riposo a Napoli - fu da lui stesso stesa a macchina per la stampa.

La verifica, alla luce storica, della giustezza della linea della Sinistra in opposizione alla tattica dell'Internazionale (governo operaio, fronte unico, fronti popolari, ecc.) non sarebbe mai stata compiuta da lui a freddo, a tavolino, da teorico solitario (e meno che mai per difendere e valorizzare l'uomo Bordiga come singolo!). Fu fatta con foga e passione in decine di riunioni, perché fosse di stimolante fiducia ai vecchi compagni che con lui, inconciliabili, avevano resistito alla canea incalzante dell'opportunismo, perché fosse d'insegnamento ai giovani, che accorrevano sempre più numerosi e avidi di sapere, perché fosse pedana di lancio per il futuro partito di classe da organizzare  con una prospettiva storica più avanzata, su basi mondiali. Il partito era in lui così forte passione, che gli faceva annullare ogni intrinseco valore della propria personalità, superare ogni limite delle proprie possibilità fisiche, in una dedizione assoluta, che non esitiamo a definire, nell'avanzata vecchiezza, sovrumana.

Nessuno meglio di lui, fin dagli anni giovanili aveva compreso il ruolo, la funzione del partito sul cammino della rivoluzione. Aveva affilato le sue prime armi a contatto dell'ambiente politico napoletano, equivoco e corrotto, affetto da clientelismo e populismo, in cui scaltri demagoghi sfruttavano ad uso di carriera personale il fascino che il Socialismo, sul principio del secolo, esercitava sulle masse lavoratrici. Avvocati e professori entravano nel partito, guadagnavano la medaglietta di deputato, ne uscivano insofferenti della disciplina, spesso trascinandosi dietro gruppi di proletari ingannati dal loro rivoluzionarismo parolaio. Certo quell'ambiente contribuì a irrigidire nel giovane marxista l'innata intransigenza - che al critico superficiale apparirà poi schematica e ossessiva -, a rafforzarne la tenacia nell'esigere un partito omogeneo e aderente al programma, pronto a sacrificare il numero alla qualità dei seguaci, alieno dai calcoli elettoralistici, lontano dalle contorsioni manovriere e dai tatticismi opportunistici. Così si spiega quella sua opera instancabile, non appariscente perché non marcata con firma, spesa costantemente nella formazione di nuovi militanti. E' ad essa che vuole limitarsi la nostra testimonianza commossa.

Lo storico non troverà traccia di questa fatica di lui, interrotta nel '23-'24 da eventi che ebbero la loro matrice a Mosca, ripresa pazientemente nel '45, quando sembrava temerario, nel clima euforico della «liberazione», richiamarsi alla linea della Sinistra Comunista. Sì, Amadeo fu un formidabile forgiatore di militanti. Li aveva formati, alla incisività della sua penna e alla irruenza della sua oratoria, nel '19-'21, nell'organizzare la frazione astensionista prima e nel fondare il Partito Comunista d'Italia poi; continuò a formarli con rigore più fermo durante gli anni tremendi in cui praticamente fu a capo del partito: li ha formati di nuovo dopo, nel ventennio susseguente alla seconda guerra mondiale, più deleteria - sul movimento comunista - di quanto fosse stato la prima sui partiti della seconda  Internazionale.

Nella prima fase, giovane sprizzante forza dalla testa possente, dal gesto vigoroso, affascinava per la eloquenza tutta concetti e idee-guida, cui la fede dava un ardore e una sicurezza che subito conquistavano. Sentivamo che non era lui che chiariva e propagandava l'idea; era l'idea che lo spingeva e riscaldava l'azione. Sentivamo che non la lettera, ma l'essenza del marxismo era in lui, tutta intera  nella sua forza penetrativa  ed espansiva nel tempo: fede nel suo immancabile realizzarsi, certezza nell'avvento di una Società senza classi.

Nella seconda fase, maturo ma non meno vigoroso e polemico, appariva come il veterano che più a fondo conosce il nemico, i segreti della sua tattica, i tranelli delle sue imboscate. Non parlava più a grandi masse, ma a ristretti uditori già sulla scia del suo pensiero: vecchi compagni superstiti, giovani che avevano già fatto esperienza nel partitone e ne erano usciti delusi, giovanissimi, che per la prima volta si accostavano all'ideale rivoluzionario. Lo storico - ripetiamo - non troverà traccia di questa fatica di lui. In pieno dilagare del culto della personalità, Amadeo prodiga il meglio del suo pensiero in maniera anonima, trasfonde pazientemente in centinaia di nuovi compagni l'esperienza non sua personale, ma della corrente di cui è stato l'interprete più autorevole e convinto, più ammirato e detestato. L'opportunismo: ecco il vecchio nemico da respingere, lo strisciante nemico che ha inquinato e distrutto - sotto l'incalzare di eventi storici sfavorevoli - i fermenti originali dell'Internazionale.

«La strada più agevole e invitante è spesso quella dell'opportunismo. Non imboccatela, compagni! Quella giusta è sempre la più aspra e la più lunga». Ci suona ancora nell'udito il timbro della sua voce, vediamo ancora il suo gesto. Negli ultimi anni ci era palese il suo sforzo per spostarsi da una città all'altra, ma lo affrontava con la serena semplicità di sempre. Ora i suoi interventi anche se duravano a lungo erano intramezzati da brevi pause, durante le quali un compagno leggeva documenti integrativi dell'argomento trattato. Era più proclive ai ricordi dei suoi incontri e colloqui coi protagonisti degli eventi che ci tenevano avvinti: Liebknecht, Rosa, Lenin, Trotski, Zinoviev. Dietro il suo capo grigio, dietro le sue spalle ancora salde, era un passato che esercitava sui compagni un fascino straordinario. Sì, erano la sua milizia esemplare, il suo tenore di vita spartano, l'identità assoluta fra predicazione e costume, la sua incorruttibilità; il suo disprezzo per il compromesso, la sua intransigenza adamantina contro ogni patteggiamento con il nemico. L'uomo che mai si era abbandonato al compiacimento per una sua affermazione individuale, che mai era intervenuto per respingere le basse calunnie con cui si era tentato colpirlo - il suo passo non cambiava ritmo nell'incalzare dei botoli alle calcagna - e che, vicino al traguardo ultimo, meno che mai poteva essere sospinto da un qualsivoglia interesse personale, continuava la sua battaglia di più che mezzo secolo, incurante della salute che si appesantiva sotto il carico degli anni, pago di legare alla causa altri combattenti e di rinsaldarne i quadri.

 I giovani compagni, educati al suo metodo di lavoro, temprati al calore della sua parola e alla luce del suo esempio, non dimenticheranno il suo insegnamento. Egli, in un paese in cui improvvisazione ed empirismo, esibizionismo ed atteggiamenti donchisciotteschi trovavano vasti consensi, ha scavato in profondità. Sdegnoso del successo effimero, lo sguardo fisso alla finalità suprema, Amadeo ha lavorato sui tempi lunghi. E' perciò che, se pure la morte fisica ha fermato il dinamismo della sua macchina meravigliosa, vive in noi, suoi compagni di fede e di lotta; vivrà in ognuno di noi, nel nostro pensiero e nella nostra passione di militanti; vivrà con l'insegnamento e l'esempio, sempre e dovunque vi sarà un oppresso da sollevare, uno sfruttato da emancipare, uno schiavo cui infondere coscienza e tempra e dare armi di combattente.

 

il programma comunista, n.17, 30 settembre 1970