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archivio > Archivio sulla sinistra>Splende intatta, al di sopra di ogni falsificazione, la dottrina marxista, (il p.c., n.3, 1965)

aggiornato al: 24/08/2009

il programma comunista, n. 3, 6 febbraio 1965

Chi scrisse questo bell'articolo lo inviò, a chi allora si occupava del giornale del partito, senza titolo e fu così che  venne messo, redazionalmente, il titolo che si legge qui sotto. L'articolo venne  pubblicato anche in francese, nel n. 31 (dell'aprile-giugno 1965) della rivista teorica Programme communiste ma qui fu intitolato: Hegel, Staline et ... les machines a coudre (Hegel, Stalin e ... le macchine da cucire).

Di questo compagno abbiamo pubblicato altri scritti nel sito tra cui, in questa sezione, più di un annetto fa La distruzione del tempio (il programma comunista, n. 19, ottobre 1962).

Leggere questo articolo è anche leggere... Marx, e ciò non è mai male, soprattutto in tempi in cui la cosa è caduta in disuso, e riandare poi ai tempi in cui, e non sono così lontani, anche se completamente dimenticati, in Russia c'era il socialismo, di cui veniva definita "la patria".

 

 

Splende intatta, al disopra di ogni falsificazione, la dottrina marxista

 

 

Marx capovolge Hegel

 

Nell'agosto 1843, vale a dire 121 anni or sono, Carlo Marx, abbandonando la direzione della «Gazzetta Renana» e ritirandosi per qualche mese a Kreuznach, fece definitivamente i conti con la filosofia del diritto di Hegel. Cento e ventun anni orsono Marx dimostrò come per Hegel la famiglia e la società civile da producenti lo Stato divenivano prodotto dello Stato. o meglio, dell'idea dello Stato. «Il condizionante viene posto come il condizionato, il determinante come il determinato, il producente come il prodotto» (Werke, ed. Dietz, 1961, vol. I, p. 207).

Contro Hegel, Marx dimostrò nell'agosto 1943 che «famiglia e società civile erigono se stesse a Stato» [ivi, p. 207].

Hegel definiva in questo modo nel 1821, il rapporto fra Stato e società civile: «Di fronte alle cerchie del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della società civile, lo Stato, da una parte, è una necessità esterna ed è la loro più alta forza, alla cui natura le loro leggi, come i loro interessi, sono subordinate e da essa dipendenti; d'altra parte però, esso è il loro fine immanente e ha la propria forza nell'unità del suo scopo universale e degli interessi particolari degli individui, nel fatto che essi hanno doveri di fronte ad esso, in quanto hanno, in pari tempo, diritti» (Hegel: Lineamenti della filosofia del diritto, Ed. Laterza, 1954 -§ 261).

Carlo Marx iniziò nel 1843 la sua «Critica della filosofia del diritto di Hegel» proprio da questo paragrafo, dimostrando che lo Stato non  può essere necessità esterna e fine immanente nello stesso tempo. Dimostrando che la società civile è la base su cui sorge lo Stato, egli dimostrò che lo Stato, questa esterna necessità, non potrebbe svilupparsi e separarsi dalla società civile per dominare ed opprimere, se la stessa società civile  non fosse dilacerata da antagonismi di classe; che lo Stato moderno è l'organo di dominio di quella classe che costituisce l'essenza della società civile: la borghesia; e che nel seno della società civile si va formando «una classe della società civile che non è una classe della società civile» Marx pone così il problema della formazione di tale classe, il proletariato:

«Dove, dunque, la possibilità positiva dell'emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile che non è una classe della società civile, di uno stato che è la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che possiede un carattere universale per la sua universale sofferenza e non pretende alcun diritto particolare, perché nessuna particolare ingiustizia, ma l'ingiustizia senz' altro viene perpetrata contro di essa, che non può più fare appello a un titolo storico, ma soltanto a un titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale con le conseguenza, ma in  contrasto universale con le premesse della situazione politica tedesca, di una sfera infine, che non si può emancipare, senza emanciparsi da tutte le restanti sfere della società, e senza con ciò emancipare tutte le restanti sfere della società, che in una parola è la perdita completa dell'uomo, dunque può riacquistare se stessa soltanto col completo riacquisto dell' uomo. Questa dissoluzione della società concentrata in uno stato particolare è il proletariato». (Werke, I, cit., p. 390).

Dimostrando che nella società borghese si va formando  una classe della società civile che non è una classe della società civile, una classe con catene radicali, una classe che è la perdita completa dell'uomo e che può riacquistare se stessa soltanto col completo riacquisto dell'uomo, Marx dimostrò nel 1844 che il dominio di tale classe, il proletariato , avrebbe portato con sé la dissoluzione dello Stato e della società civile, avrebbe dato origine ad una società senza classi e senza stato.

 

Lo «Stato razionale» di Stalin

 

Nel 1943. dunque cento anni dopo che Marx aveva definitivamente confutato la filosofia del diritto di Hegel, apparve in U.R.S.S. un articolo collettivo di economisti russi, intitolato: «Il pensiero economico e l'insegnamento dell'economia politica nell'URSS» (traduzione francese in Cahiers de l'Economie Sovietique, n. 4, 1946).

In questo articolo, gli economisti russi affermano categoricamente quello che sarà il dogma staliniano per eccellenza, vale a dire: 1) in URSS è stata costruita una economia socialista; 2) in una economia socialista sussiste la legge del valore: ma «la legge del valore in una economia socialista non è più una forza che domina la produzione sociale, ma la produzione sociale funziona seguendo un piano».

La legge del valore è la legge suprema della società civile, è la legge suprema della classe che costituisce l'essenza della società civile: la borghesia. Se l'operaio che ci segue trova difficile tutto ciò, pensi semplicemente alla meticolosità con cui il suo dirigente d'azienda gli abbassa il salario per aumentare i suoi profitti, o lo getta addirittura sul lastrico per salvare i suoi profitti: pensi alla scrupolosità con cui il padrone di casa lo sfratta se non paga l'affitto, o alla cura che il commerciante impiega nell'ingannarlo quotidianamente. Ebbene, questo mondo dei traffici, dei commerci, delle frodi legali, è il mondo in cui domina la legge del valore.

Marx ha dedicato la sua opera più importante, il Capitale, a penetrare l'essenza di questo mondo sovvertito in cui domina la legge del valore. Egli non è rimasto alla sua superficie, ma lo ha esplorato nelle sue viscere, e ha messo in chiaro non come si scambiano i valori (fenomeno che interessa sommamente ai borghesi, dal momento che lo scambio dei valori costituisce la loro principale attività), ma come il valore viene prodotto, questione che interessa sommamente gli operai, perché appunto il lavoro dell'operaio produce ogni valore. Marx ha dimostrato nel Capitale che là dove si scambiano valori ivi il valore si valorizza sfruttando gli operai, incrementando la miseria degli operai, e che l'estorsione di plusvalore agli operai, arcano su cui riposa la società civile e la legge del valore, viene tutelata, perpetuata e resa possibile dalla forza dello Stato borghese. Da tutto ciò, egli ha tratto la conclusione rivoluzionaria che il proletariato deve in primo luogo abbattere con la forza lo Stato borghese, sostituendogli un suo proprio Stato, deve dunque costituirsi in classe dominante. Ma, in secondo luogo, Marx ha dimostrato che il proletariato non potrebbe costituirsi in classe dominante se non per porre fine all'estorsione di plusvalore, e dunque allo scambio di valori e alla legge del valore. Assolta questa sua funzione, lo Stato proletario si dissolverà, e con esso si dissolverà la società civile dilacerata da antagonismo di classe. In suo luogo si svilupperà una società senza classi e senza Stato, nella quale la specie umana per la prima volta nella storia dominerà la natura esterna e la sua propria natura, umanizzerà la natura e renderà naturale l'uomo.

Ora, 100 anni dopo che Marx aveva compiuto il rovesciamento della filosofia hegeliana del diritto e aveva portato a termine la sua analisi della società civile, gli economisti russi «scoprivano» che in URSS era stata costruita una economia «socialista» in cui sussiste la legge del valore, e nella quale inoltre «la legge del valore ... non è più una forza che domina la produzione sociale, ma la produzione sociale funziona seguendo un piano».

Alla domanda: «Quale forza impone il Piano che, a sua volta, domina la legge del valore?», gli economisti russi risposero nel 1943 con una sola parola: «Lo Stato». Infatti: «In regime socialista... la necessità oggettiva si esprime attraverso la coscienza e la volontà degli uomini... essa è ben nota alla guida della società, lo Stato sovietico».

In questo modo, nel 1943, lo Stato di Stalin si presentava come lo Stato razionale perfetto di Hegel, in grado di dominare e utilizzare la legge essenziale della società civile: la legge del valore.

Il vecchio Hegel, nel 1821 aveva già definito le illusioni del social-nazionalismo russo, del socialismo di stato staliniano, con le parole seguenti: «Ma le determinazioni che riguardano la proprietà privata, possono dover essere subordinate a più alte sfere del diritto, ad una comunità, allo Stato ... Tuttavia tali eccezioni possono essere fondate non sul caso,sull'arbitrio privato, sulle utilità private, ma soltanto sull'organismo razionale dello Stato». (Hegel, op. cit., §  46).

 

L'anarchia della società civile - base reale dello «Stato razionale» di Stalin

 

La questione russa viene posta dai borghesi dichiarati, dai sedicenti comunisti filorussi, e infine da tutti quanti, nel falso modo seguente. Marx aveva previsto che la crisi della società capitalistica avrebbe spinto il proletariato a darsi una organizzazione politica sempre più compatta, e infine a distruggere lo stato borghese e a instaurare la propria dittatura. Ora, in Russia, nell'ottobre 1917, tutto ciò si è verificato. Ma Marx aveva pure previsto che lo Stato proletario si sarebbe estinto, dando luogo ad una società senza classi e senza Stato e ad una economia non capitalistica cioè non salariale, non mercantile, non monetaria. Ora in Russia tutto ciò non si è verificato. In Russia lo Stato sussiste, così come sussistono salario, denaro, mercato, merci, capitale,  profitto, interesse, rendita; dunque, si dice, la società russa attuale non corrisponde alle previsioni avanzate dal marxismo. Si dice, cioè non  noi diciamo, ma tutti dicono e riconoscono ciò; tutti, amici dichiarati e nemici dichiarati dell'URSS.

Le canzoni cantate dai nemici è perfettamente superfluo citarle: ogni operaio le sente dal mattino alla sera, da ogni altoparlante e ad ogni angolo di strada. Ma ecco quanto scrivono gli amici migliori dell'URSS, cioè gli stessi economisti russi:

«Le proposte del compagno Stalin enunciano molte novità che non avrebbero potuto essere previste né da Marx né da Lenin». (op. cit., p.18).

Ecco come gli amici migliori dell'URSS, cioè gli stessi economisti russi,definiscono la natura delle «molte novità» enunciate dal «compagno Stalin» e che «non avrebbero potuto essere previste né da Marx né da Lenin»:

«Nella «Critica al programma di Gotha» Marx partì dal presupposto che nella prima fase del comunismo non sarebbe esistito né commercio né moneta, che il produttore avrebbe ricevuto dalla società «... un buona di lavoro da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (tolta la parte di lavoro a beneficio del fondo sociale) e con esso egli ritira dal fondo sociale una quantità di generi di consumo equivalente in termini di lavoro al lavoro da lui prestato». Questa previsione non si è avverata ... Stalin ha dimostrato che il commercio e la moneta non possono essere superati nello stadio del socialismo...». (K.Ostrovitianov, «Il manifesto dei comunisti e la costruzione del comunismo nell'URSS», in  Voprosy Ekonomiki, n. 4, aprile 1948).

Dunque , tutti riconoscono che la società russa attuale non ha nulla a che fare col socialismo previsto da Marx. Che cosa è dunque la Russia? Quale originalità la distingue dagli altri paesi in cui domina il vecchio, noto, banale capitalismo di tutti i giorni? Anche nel rispondere a questa domanda, nemici dichiarati e amici dichiarati dell'URSS  si incontrano e si abbracciano. Perché in Russia, rispondono tutti quanti, le fabbriche sono dello Stato.  E dunque lo Stato fa, entro certi limiti, ciò che vuole: lo Stato pianifica la produzione.

Come affermarono nel 1943 i migliori amici dell'URSS, gli economisti russi: «La legge del valore in una economia socialista non è più una forza che domina la produzione sociale, ma la produzione sociale funziona seguendo un piano», dal momento che «in regime socialista... la necessità oggettiva si esprime attraverso la coscienza e la volontà degli uomini... essa è ben nota alla guida della società, lo Stato sovietico».

Come affermarono nel 1940 i nemici dichiarati dell'URSS, i socialdemocratici, per la bocca del loro teorico ufficiale, Rudolf Hilferding: «Quando lo Stato diviene il solo proprietario dei mezzi di produzione, il funzionamento di una economia capitalista è reso impossibile dalla distruzione del meccanismo che fa circolare la linfa vitale in questo sistema». (Rudolf Hilferding: «Capitalismo di Stato o economia dello Stato totalitario», articolo apparso nel maggio 1940 nel «Corriere socialista», rivista antisovietica in lingua russa).

In breve, amici dichiarati e nemici dichiarati dell'URSS si trovano d'accordo nel riconoscere che in Russia lo Stato condiziona, determina e produce la società civile.

Arrivati a questo punto, naturalmente, i nemici dell'Urss sostengono che ciò è male (e rivendicano la libertà e la democrazia contro lo Stato totalitario), gli amici dell'URSS affermano che ciò è bene, ma noi ricordiamo che questo non è altro che il vecchio dogma hegeliano rovesciato da Carlo Marx nel 1943:

«Ma il condizionante viene posto come il condizionato, il determinante come il determinato, il producente come il prodotto del suo prodotto».

Contro Hegel, Marx dimostrò nel 1843 che la società civile condiziona determina e produce lo Stato. E noi, marxisti rivoluzionari, abbiamo difeso e continuiamo a difendere questa tesi che, ove se ne dimostrasse la falsità, trascinerebbe nel suo crollo la teoria marxista e ogni prospettiva rivoluzionaria per il proletariato. Ma allora, ancora una volta, che cosa è dunque la Russia? Ebbene, noi abbiamo negato recisamente, anni or sono, quando non potevamo disporre di sufficiente documentazione, che lo Stato di Stalin determinasse la società civile: che lo Stato pianificatore russo si servisse della legge del valore; che l'assenza di titoli di proprietà privata significasse in Russia assenza di profitto privato. Noi abbiamo al contrario affermato recisamente, anni or sono, che la società civile produceva lo Stato di Stalin: che la legge del valore imponeva la propria forza allo Stato pianificatore russo: che lo Stato padrone non diminuiva, ma ingigantiva in Russia l'appropriazione privata del profitto.

Noi abbiamo sostenuto dunque anni or sono, e sosteniamo oggi che non solo la società russa non ha nulla a che fare col socialismo previsto da Marx (fatto evidente da tutti riconosciuto ed ammesso), ma che inoltre la società russa è capitalistica, lo Stato russo è capitalistico, e che il  capitalismo russo non differisce qualitativamente dal vecchio, noto, banale capitalismo di tutti i giorni e di tutti i paesi.

Ed oggi, nel 1965, più di vent'anni dopo che lo Stato russo si presentò al mondo come lo stato razionale perfetto, i rappresentanti di tale Stato confessano al mondo,  senza volerlo né saperlo che la base dello Stato russo è costituita dall'anarchia della società civile. Ed oggi, nel 1965, coloro che si autodefinivano nel 1943 come «le guide della società» attraverso la cui «coscienza e volontà» «si esprime la necessità oggettiva», confessano al mondo senza saperlo né volerlo, che da più di venti anni le «guide della società» russa combattono fra di loro per impadronirsi del timone dello Stato.

Oggi, nel 1965, quel grande sepolcro imbiancato che fu un giorno lo Stato razionale di Stalin non è ormai null'altro che un sepolcro sconsacrato. Ai suoi piedi, fra le ossa di coloro che si autodefinirono venti anni or sono «le guide della società», siedono quelli che sono oggi gli strumenti del capitalismo russo: i Mikoian, I Breznev, i Kossighin.

 

La realtà della pianificazione staliniana

 

Da L'Unità,24.12.1964: «Ecco il caso esposto dalla «Pravda»: una fabbrica di macchine da cucire di Podolsk, ha constato che il suo prodotto non va. Un milione e duecentomila macchine, uscite da questa fabbrica, giacciono invendute e le organizzazioni commerciali, logicamente, non vogliono più saperne di acquistare quel tipo di macchina da cucire... Ma c'è di peggio... Le organizzazioni commerciali hanno consigliato quest'anno alla fabbrica di Podolsk di produrre nel 1965 soltanto 750.000 macchine da cucire (la fabbrica può produrre tre milioni di macchine all'anno) ma il ministero delle Pianificazioni ha fissato la cifra in un milione».

L'azienda di Podolsk è la più grande fabbrica di macchine per cucire dell'Unione Sovietica. Essa, come informa la Pravda, ha una capacità produttiva di 3.000.000 di macchine all'anno. Ma le organizzazioni commerciali richiedono soltanto 750.000 macchine.

3.000.000 - 750.000 = 2.250.000.

Più dei due terzi delle macchine per cucire dell'azienda di Podolsk rappresentano sovrapproduzione che il mercato non può assorbire.

Eppure, la fabbrica di Podolsk è proprietà dello Stato. Ma lo Stato pianificatore  non può impedire che si verifichino crisi di sovrapproduzione.

Scrive sempre la Pravda citata da La Stampa del 23 dicembre: «Sarebbe facile convertire in altri macchinari una parte della produzione; ma al sovcnarcos con tutta evidenza interessa soltanto mantenere il livello di produzione definito dai precedenti calcoli e riempire i negozi di inutili macchine per cucire che nessuno ormai vuole comperare». Come fanno i burocrati dei sovnarcos a tenere alte  le statistiche della produzione? Gli artifici dei pianificatori vengono così illustrati: una macchina per cucire costa alla fabbrica 16 rubli (11 mila lire), la custodia in legno ne costa 50, quindi 66 rubli in tutto. I costi di produzione calcolati dal sovnarcos sono però differenti: ai 66 rubli fissati dalla fabbrica vengono aggiunti sulla carta i 50 rubli calcolati dal mobilificio per la custodia: totale 116 rubli. «Sembra un parafosso - continua la Pravda - ma anche le macchine per cucire non vendute rappresentano un affare per tutti: per le fabbriche, per il sovnarcos, per le banche che finanziano gli investimenti». In questa maniera tutti riescono a dimostrare che il piano è stato adempiuto. Per le fabbriche, per il sovnarcos e per le banche l'importante è di versare alle casse dello Stato i 25 rubli previsti dal piano per ogni macchina... Quanto alle fabbriche, i trucchi per coprire il piano possono essere diversi. L'inchiesta del giornale  [ La Pravda] ha appurato che nel '65  il mobilificio di Podolsk riuscirà a ridurre della metà la produzione nelle custodie per macchine per cucire portando il volume di affari da 8 a 11 milioni di rubli: si fabbricheranno custodie in legno pregiato non richiesto dal consumatore».

Dunque, in URSS le fabbriche sono proprietà dello Stato. Malgrado ciò, la Pravda riconosce che in URSS la produzione, ad es., di macchine per cucire «rappresenta un affare per tutti; per le fabbriche, per il sovnarcos, per le banche»: per tutti, meno che per lo Stato che giuridicamente ne è il padrone. L'unica differenza fra il capitalismo russo e il capitalismo occidentale, è costituita dal fatto paradossale che ciò si verifica in URSS «anche se le macchine non sono vendute». E infatti: la fabbrica calcola il costo della macchina per cucire in 16 rubli, il mobilificio calcola il costo della custodia in legno in 50 rubli, il sovnarcos aggiunge  altri cinquanta rubli.

Summa summarum:  16 + 50 + 50 = 116 rubli. Per ogni macchina per cucire lo Stato riceve 25 rubli. Sottrazione: 116 - 25 = 91 rubli. Questi 91 rubli vengono appropriati, vengono captati, nella sfera delle banche e delle aziende. Lo Stato vende le macchine per cucire al prezzo di 116 rubli: realizza sul mercato il plusvalore contenuto nelle merci, e lo redistribuisce, attraverso il  complicato processo che sopra abbiamo visto in funzione, nella sfera delle banche e delle aziende.

Eppure, lo Stato è il padrone. La banca è Stato, la fabbrica è Stato, il sovnarcos è Stato. Questo formalmente. Ma quale è la reale funzione dello Stato? Lo abbiamo visto, lo abbiamo udito confessare dalla stessa Pravda:  lo Stato accumula denaro che distribuisce alle aziende, lo Stato interviene nell'economia per garantire l'appropriazione privata di plusvalore.

 

La svolta commerciale

 

Ora, tutto questo non va più La pianificazione staliniana è (afferma la Pravda, riecheggiata dalla stampa borghese internazionale) superata. E la Pravda denuncia, come abbiamo visto, il caso clamoroso costituito dalla più grande fabbrica di macchine per cucire dell'Unione Sovietica, la cui capacità produttiva consiste in 3.000.000 di unità, mentre 2.250.000 macchine per cucire giacciono invendute.

Quale è dunque il rimedio escogitato per impedire che sorgano simili clamorosi inconvenienti?

Ecco quanto scrive l' Unità del 24 dicembre, citando le parole testuali di Kossighin: «...nel suo discorso al Soviet supremo, due settimane fa, il Presidente del Consiglio dei Ministri Kossighin ha detto che d'ora in poi «le imprese dovranno tenere conto delle congiunture del mercato e dei cambiamenti intervenuti nella domanda»...».

Come funzionerà la nuova fabbrica russa, per «tenere conto delle congiunture del mercato»? Ecco quanto scrive Il Giorno del 9 dicembre, presentando all'opinione pubblica una delle nuove fabbriche russe, lo stabilimento tessile «Bolscevika» di Mosca: «Si tratta di una impresa nella quale il direttore generale, Pyotr K. Neskov, cercherà di trarre un profitto ed effettuerà personalmente i propri piani di produzione... Noskov nella sua nuova politica di gestione si basa sugli ordini e sulle commesse ricevuti dai grandi magazzini dove la merce è posta in vendita... Pyotr K. NOskov ha chiarito i vari aspetti della sua nuova posizione di dirigente d'impresa facendo notare come egli debba fissare personalmente i salari, stabilire i prezzi, decidere dove acquistare le materie prime...».

Lo stabilimento tessile «Bolscevika» di Mosca non rimarrà isolato. Ecco quanto scrive L'Unità del 24 dicembre, citando Kossighin: «Una seconda misura, confermata da Kossighin, è la estensione dell'esperienza fatta dalle due fabbriche di Mosca e di Gorki in altre centinaia di imprese del settore dell'industria leggera; queste fabbriche dovranno quindi organizzare, nel 1965, la loro produzione sulla base delle richieste dei negozi e delle organizzazioni commerciali».

Né questo è tutto. L'Unità del 24 dicembre  informa infatti che vi sono a Mosca «negozi aperti nella capitale da alcuni sovcos per smerciare direttamente i surplus agricoli non assorbiti dagli ammassi di Stato». Per non parlare dei kolkos, ai quali la Pravda del 15 dicembre (citata dal Giorno del 16.12) ha rivolto queste parole: «Un vasto campo d'azione si apre all'iniziativa creatrice dei kolkosiani, ai quali il Partito e il Governo hanno accordato il diritto di pianificare, essi stessi la propria produzione. Chi, meglio del contadino, sa quale coltura vada programmata?».

 

Il significato della «svolta»

 

Quanto sta verificandosi in URSS si può spiegare in un solo modo: l'industria capitalistica  russa è entrata definitivamente nel mercato mondiale. Questo fatto ha posto al capitalismo russo i problemi della concorrenza che impera sul mercato mondiale. Il capitalismo russo si è accorto così che il sistema staliniano di pianificazione centralizzata ingigantiva l'appropriazione privata parassitaria di profitto, se paragonato al capitalismo europeo ed americano. Le recenti riforme che sanciscono l'autonomia dell'azienda rappresentano dunque il tentativo di costringere la borghesia parassitaria russa a reinvestire il profitto.

Marx aveva definito una volta per tutte il problema che preoccupa oggi la borghesia russa e mondiale, con queste parole: «E non appena la formazione di capitale diventasse monopolio di pochi grandi capitali già affermatisi, che trovassero nella massa un compenso al saggio di profitto, si spegnerebbe il fuoco vivificatore della produzione  e questa cadrebbe in letargo. Il saggio del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica; viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto. Di qui la angoscia degli economisti inglesi di fronte alla diminuzione del saggio di profitto». (Il Capitale - Libro III - Sezione III - Ediz. Rin., pagina 316).

Di qui l'angoscia degli economisti russi e occidentali, di fronte  alla caduta dei ritmi di incremento della produzione industriale, in Russia e nel mondo intero. Si tratta di vivificare, di rianimare l'accumulazione di capitale, dunque gli investimenti: ma perché questo possa avvenire, perché il plusvalore non venga parassitariamente sperperato ma accumulato, reinvestito,deve essere sancito il principio supremo del capitale, vale a dire:

«Viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto».

Questo è il principio supremo che gli eredi di Krusciov hanno bandito da Mosca, nel 1965. Ma con ciò, essi non hanno solo confessato quanto noi, marxisti rivoluzionari, abbiamo sempre affermato e cioè che l'economia russa è capitalistica. Essi, sforzandosi di vivificare l'accumulazione di capitale, hanno annunciato al mondo che una crisi catastrofica del capitalismo mondiale si sta preparando. Essi sono divenuti ormai in tutto e per tutto apprendisti stregoni, incapaci di dominare e di comprendere le forze da essi stessi suscitate.

 

Che cosa è il socialismo

 

La stampa borghese internazionale ha salutato con gridi di gioia le recenti riforme dell'industria russa, affermando che esse significano il fallimento del socialismo.

Operai! Questa è una spudorata menzogna! Né l'economia staliniana, né l'economia kruscioviana, non sono mai state economia socialiste!

Operai! Di fronte alle menzogne dei borghesi e dei loro servi - gli opportunisti, - riaprite le pagine di «Stato e rivoluzione» di Lenin in cui si descrive il funzionamento di un'economia socialista:

«I mezzi di produzione non sono già più  proprietà privata individuale. Essi appartengono a tutta la società. Ogni membro della società, eseguendo una certa parte del lavoro socialmente necessario, riceve dalla società uno scontrino da cui risulta ch'egli ha prestato tanto lavoro. Con questo scontrino egli ritira dai magazzini pubblici di oggetti di consumo una corrispondente quantità di prodotti. Detratta la quantità di lavoro versata ai fondi sociali, ogni operaio riceve quindi dalla società quanto le ha dato». (Lenin - Stato e rivoluzione, p.103 - E.R.).

Operai! Questo, e solo questo, è il socialismo. Ma esso può essere realizzato soltanto alla scala internazionale, soltanto alla condizione che gli operai di tutto il mondo si uniscano in una sola organizzazione politica internazionale e distruggano il potere della borghesia in tutti i paesi.

Lenin lo sapeva molto bene, così come sapeva e affermava che mai il proletariato russo avrebbe potuto raggiungere il socialismo nella Russia isolata, se non gli fosse venuto in aiuto il proletariato internazionale, e per questo motivo, per affrettare la rivoluzione proletaria nel resto del mondo, egli fondò a Mosca nel marzo 1919 L'Internazionale Comunista.

Operai! L'Internazionale Comunista fondata da Lenin è stata distrutta da Stalin e dagli stalinisti, col pretesto della «costruzione del socialismo in un solo paese». Ma oggi è chiaro che in Russia non è stato costruito il socialismo, bensì il capitalismo.

Operai! Il socialismo di Lenin e di Marx, il fine che il proletariato deve  perseguire per giungere alla propria emancipazione, rimane dunque ancora oggi il solo scopo per cui valga la pena di lottare. Rimane ancora oggi il vero e unico programma che caratterizza l'emancipazione degli schiavi salariati, il programma che il partito Comunista Internazionale ha sempre difeso e continua a difendere.

Operai! Questo è il programma per cui dovete ricominciare a lottare!

 

il programma comunista, n. 3, 6 febbraio 1965