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archivio > Archivio sulla sinistra>Rinfrescare la memoria (terza parte), (Battaglia comunista, n. 6, 8, 9, aprile - maggio 1950)

aggiornato al: 16/08/2009

Battaglia comunista, n. 6, 8, 9, aprile -maggio 1950

 

Con questa terza parte termina, interrompendosi, la serie di articoli  Rinfrescare la memoria utile per ricordare la politica che conduceva quel carrozzone controrivoluzionario che fu sempre il PCI.

 

Rinfrescare la memoria

(dai discorsi di Togliatti all'accordo interconfederale)

 

VI

 

Siamo arrivati al luglio 1947, e per caratterizzarlo non consulteremo il bollettino meteorologico ma i mirabolanti discorsi tenuti da Togliatti alla riunione del C.C. del P.C.I. (1 luglio: Unità del giorno successivo) e a Padova (Unità del 17). Sarà bene che i nostri lettori imparino a memoria queste perle di dottrina... marxista.

Volete sapere qual'era, infatti, il segreto tormento dei «comunisti»? Quello che il nostro carissimo stato italiano andasse a catafascio (che peccato, un gioiello simile!) : «Le forze popolari hanno dovuto condurre la loro lotta sotto questa continua minaccia di rottura dell'unità nazionale... rottura che poteva mettere in pericolo l'esistenza stessa dello Stato italiano... L'esser riusciti a mantenere unita la compagine nazionale e l'aver salvato questa grande conquista del Risorgimento che è la condizione fondamentale per lo sviluppo e l'avanzata delle classi operaie e dei lavoratori, ecc.», ecco il loro merito. E la prospettiva? Lottare per una «trasformazione democratica» dell'Italia, il che «significava in sostanza trovare una nuova strada per l'avvento del socialismo» (questo si chiama parlar chiaro: hanno trovato una «nuova strada»; dove ci ha condotto lo sa il lettore): per il futuro, «la nostra opposizione deve mantenere un compito unitario, nazionale, costruttivo... e portare in ogni momento della sua battaglia un respiro nazionale (autentica!)».

Ma a Padova, Togliatti elevava il «respiro nazionale» addirittura a base dell'unità europea: a caratteri cubitali, «unità democratica in ogni Nazione, prima condizione dell' Unità europea». E avanti con le confessioni preziose, di cui noi gli siamo tanto grati: «Siamo diventati un movimento nazionale, un movimento di carattere costruttivo, non siamo più quel movimento socialista che esisteva in Italia prima del fascismo e dell'altra guerra mondiale... Abbiamo acquistato una profonda e viva coscienza nazionale  ed abbiamo manifestato di averla più di altre correnti politiche del nostro Paese».

Dopo tali solenni proclamazioni, spettava ai grammofoni minori di commentarle e amplificarle. La gerarchia è quella; prima parla Togliatti: poi l'enciclica è tradotta in soldoni da Longo e Secchia. Siamo nazionali, unitari, costruttivi, salvatori dello Stato? Dunque tuteliamo il «decoro delle nostre navi». Unità del 12.8: «Nessun italiano e in particolare nessun lavoratore se ne può disinteressare, perché le forze armate rappresentano la salvaguardia della libertà e della indipendenza del paese, perchè raccolgono i nostri figli nel fiore degli anni e li addestrano per le più dure eventualità in cui la loro vita e il nostro stesso avvenire possono essere posti in gioco» (Longo). Per i nazionalcomunisti, «l'avvenire» riposa su otto milioni di baionette...» (fra parentesi, la stessa Unità versa la crime di coccodrillo su trentotto ferrovieri francesi uccisi dalle forze armate protettrici della «libertà» e dell' «avvenire!»).

Ma in pentola bolliva dell'altro. In data 7 agosto 1947, pubblicato sul bollettino ufficiale della C.d.L. di Milano in data 25 agosto, esce, a Dio piacendo, l'accordo fra C.G.L. e Confindustria sulle commissioni interne e la disciplina dei licenziamenti.  Sarà bene rinfrescarne il ricordo, visto che tanti se lo sono dimenticato e qualcuno, se ne parliamo, ci accusa di esagerare o deformare i fatti. Art. 2: «Compito fondamentale della C.I. e del delegato d'impresa  è quello di concorrere a mantenere  normali rapporti tra i lavoratori e la direzione dell'azienda in uno spirito di collaborazione e di reciproca comprensione per il regolare svolgimento dell'attività produttiva». Avevamo sempre creduto che i rapporti «normali» fra lavoratori e datori di lavoro fossero di urto: Di Vittorio ha scoperto che sono di collaborazione. Avevamo sempre creduto che gli organi sindacali dovessero tutelare l'operaio contro le ferree leggi del meccanismo produttivo: no, per Di Vittorio devono tutelare il regolare svolgimento di quello.

Art. 3; Licenziamenti: a) «Allorquando la direzione dell'azienda dovesse ravvisare la necessità di attuare una riduzione del numero del personale per riduzione o per trasformazione di attività o di lavoro, ne informerà la commissione interna comunicandole i motivi del divisato provvedimento, lo stato di attuazione e l'entità numerica» (tante grazie per la finezza); b) «la direzione dell'azienda e la C.I., su richiesta di quest'ultima, esamineranno con spirito di mutua comprensione i motivi di licenziamento e le possibilità concrete ed attuali di evitarlo senza costituire un carico improduttivo per l'azienda. Qualora l'esame suddetto realizzasse un accordo fra C.I. e direzione, i licenziamenti saranno effettuati in base a criteri obiettivi concordati. A tal fine si terrà conto di elementi obiettivi in concorso tra loro, fra cui la anzianità, i carichi di famiglia, la situazione economica familiare particolare, le capacità tecniche di rendimento». Carino, no? Attenti a non imporre all'industriale un «carico improduttivo»; faremo noi i conti in tasca ai «carichi improduttivi» da mettere sul lastrico. Solidarietà operaia, che diamine!

Art 3 del par. B: «In caso di scarso rendimento l'azienda farà ammonizione al lavoratore e lo segnalerà alla C.I. che inviterà il,lavoratore a migliorare il proprio rendimento». La C.I. trasformata in aguzzino: «non produci abbastanza! suda un altro po'! Lo vuole il tuo sindacato, protettore dei tuoi interessi di classe e di categoria!».

 

(continua)

 

Battaglia comunista, n. 6, 23 marzo - 6 aprile 1950

 

 

Rinfrescare la memoria

VII

 

 

Ricordiamo al lettore che, nel ricordare agli immemori le tappe della politica antiproletaria del nazionalcomunismo, siamo arrivati in pieno 1947. Ebbene, oggi che il nazionalcomunismo  si traveste di rinnovati colori antifascisti, leggiamo un po' le dichiarazioni di don Palmiro, il 30 settembre di quell'anno (citato dall' Unità, art. di fondo) : «Ben se ne avvede il Cantalupo e, per sfuggire alle conseguenze, forza i dati di fatto e li travisa quando dice ad esempio che noi abbiamo proposto una politica interna di estrema sinistra (ma se abbiamo proposto prima la coalizione coi monarchici e poi una politica di unità nazionale; se abbiamo persino firmato proprio noi l'amnistia!). La realtà è ben diversa; è che noi, partito della classe operaia e di lavoratori, siamo stati dominati e guidati nel corso della guerra e dopo di essa da preoccupazioni essenzialmente nazionali; volevamo prima di tutto  salvare l'integrità, la libertà, la indipendenza, la dignità della nostra patria (sic!); questi erano gli obiettivi della politica che noi proponevamo, e non scopi ristretti di classe». E poco dopo (8 settembre, Unità del giorno dopo), a Modena: «Ma allora, che cosa farebbe domani quest'uomo politico (De Gasperi)) quando gli operai dicessero: «Noi vogliamo i nostri rappresentanti al governo, altrimenti anche noi come gli altri abbiamo il diritto di dire di no ai sacrifici che dobbiamo sopportare!». Chiarissimo: la politica governativa ha permesso agli operai di dire di sì ai sacrifici imposti in nome di una  «politica nazionale» che ha avuto per effetto di schiacciarli ancor più; la lotta contro il governo De Gasperi è una lotta per riavere rappresentanti nazionalcomunisti al Viminale, dopo di che gli operai non diranno di no ai suddetti sacrifici. «Noi speriamo ancora che con questo partito (la DC) sia possibile arrivare ad una permanente collaborazione su un terreno democratico per la realizzazione di profonde riforme nell'interesse delle grandi masse lavoratrici...  Noi non abbiamo ancora perso tutte la speranza». In altre parole, non esistono abissi di programma: possiamo andare permanentemente d'accordo. «L'abbiamo detto ai rappresentanti di tutti i partiti e di tutti i gruppi sociali (notate bene: tutti!) ... è possibile collaborare;  se volete collaborare, collaboriamo».

Tutta la fatica di Togliatti è lì: invocazioni alla concordia nazionale. Alla Camera, 27 sett.: «Sarebbe un'immensa sciagura... se la voce dei lavoratori italiani che chiedono di collaborare (chiedono?) alla ricostruzione nazionale dopo aver collaborato alla sua liberazione e alla fondazione dello Stato repubblicano, restasse senza eco». In ginocchio a chiedere la mano tesa! «Una delle prime esigenze fondamentali che tutti sentiamo... è quella che sia evitata al nostro paese l'umiliazione del crollo della moneta»; sotto, Pella, Togliatti ti aiuta in nome dell'orgoglio nazionale. «Noi abbiamo proposto alla Nazione italiana qualche cosa di profondamente nuovo  che nessuno forse si aspettava, proponendo la nostra collaborazione sul terreno democratico-parlamentare alla ricostruzione politica, economica e sociale del nostro Paese...Noi che siamo stati al governo come ministri abbiamo fatto il nostro dovere  nell'interesse del Paese». E nello stesso discorso, il capo del PCI definiva il suo partito come uno il quale «qualunque sia la sua forza in quest'assemblea continuerà a fare una politica di unità e di collaborazione di tutte le forze democratiche e repubblicane».

Come si vede, la realtà è esattamente l'opposto di quello che ai partiti di governo piace di rappresentare: il PCI ha continuato a fare una politica di unità anche essendo all'opposizione, ha implorato e piatito mentre gli altri tiravano per la loro strada, ha legato i proletari allo Stato proprio quando gli altri  erano e si manifestavano più decisi a stringere le viti della manetta poliziesca. Sia ricordato, a chi ha la memoria corta.  De Gasperi e Scelba non l'hanno certo avuta.

 

(continua)

 

Battaglia comunista, n. 8, 19 aprile - 3 maggio 1950

 

 

 

Rinfrescare la memoria

VIII

 

Nell'ottobre 1947  due fatti spiccano, in rapporto alla politica nazionalcomunista: le agitazioni per il blocco dei salari e la riunione in Polonia del Cominform.

Operai e contadini si battono. La risposta dei nazionalcomunisti è di dare alle agitazioni la bandiera della ... difesa della produzione nazionale. «Per aumentate la produzione  si battono nei campi e nelle officine contadini ed operai contro un governo che nega i crediti all'industria e preferisce il grano alle terre incolte». (Unità 10 ottobre 1947). Sarà questa la parola d'ordine anche in seguito, gli operai si battono perché gli industriali ottengano crediti dallo Stato! Si battono contro una politica che porta «alla contrazione della produzione destinata tanto al mercato interno quanto ai mercati esteri con inevitabile aumento del livello generale dei prezzi»!

La lotta è contro il governo a favore de «gli industriali più intelligenti che non puntano sulla speculazione» (discorso di Scoccimarro, Unità del 3 ottobre); la sorte degli operai è legata a filo doppio alle sorti degli industriali... onesti. La deduzione logica sul terreno sindacale è: «Noi tutti  vogliamo evitare  finché è possibile i contrasti sindacali, ma vi sono situazioni in cui non c'è autorità di partito né organizzazioni sindacali che si possano opporre a certe esigenze imperiose ed urgenti delle masse»: come dire, noi facciamo del nostro meglio come bravi pompieri, ma se le masse si ribellano che ci possiamo [fare]? La politica di lor signori è, infatti, una politica di unità a tutti i costi: «unità per lavorare insieme (commovente, quell'insieme!), unità per vivere liberi, unità perché sia salva l'Italia» (4 ottobre). Se vogliono «rovesciare il governo» è perché «è una trincea che ci divide» (discorso del terribile Pajetta), barriera che divide operai da ... industriali intelligenti.

Frattanto, la barriera non si lasciava abbattere e tirava diritta per la sua strada, la Confindustria rompeva le trattative, e i nazionalcomunisti rimanevano a belare sulla necessità di «salvare la produzione». I successi della C.G.I.L. ai susseguono a ritmo vertiginoso: aumenti agli statali (1000 lire mensili!). [Per due, tre righe il testo è incomprensibile, probabilmente è omessa una riga]. «Per le vie di Milano 200.000 protestano», e subito dopo, a conclusione, una dichiarazione di Roveda: «Se in due anni gli industriali non sono stati capaci di trovare una linea di condotta saranno i lavoratori a trovarla», altra conferma che la funzione del «partito dei lavoratori» è di trovare le strade che gli industriali non riescono a trovare. Ci stupiremo se i fregati furono sempre e soltanto i lavoratori?

In questo guazzabuglio si riunisce in Polonia il neonato Cominform. Comincia la sesquipedale relazione di Zdanov. L'operaio comune, facendo il bilancio conclude che i tre anni di democrazia progressiva sono finiti nel disastro, nell'offensiva la più spregiudicata degli industriali; per Zdanov no: al contrario, va tutto a gonfie vele. «La fine della seconda guerra mondiale ha portato cambiamenti essenziali - si legge sull' Unità del 22 ottobre - nell'insieme  della situazione mondiale. La disfatta militare del blocco degli Stati fascisti, il carattere di liberazione antifascista (!) della guerra, la parte avuta dall'Unione Sovietica nella vittoria sull'oppressione fascista, tutto questo ha modificato profondamente i rapporti di forza tra i due sistemi - socialista e capitalista - in favore del socialista». Gli operai italiani non lo crederebbero, ma si consolino perché  «nuovi regimi popolari e democratici sono sorti in questi paesi sul grande esempio della guerra patriottica dell'Unione Sovietica»: già già, il socialismo che germoglia dal patriottismo. «Il nuovo potere democratico in Jugoslavia (prendete nota, odierni antitini dell'ultima ora), in Bulgaria, in Romania, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Ungheria  e in Albania, appoggiandosi sulle masse popolari, è riuscito a realizzare in breve tempo trasformazioni democratiche progressive tali che la borghesia non è più capace di compiere... In conclusione, i popoli di questi paesi (nota bene, anche la Jugoslavia) non si sono soltanto liberati dalla morsa imperialista ma stanno anche costituendo la base per il passaggio alla via dello sviluppo socialista».

E avanti: «La politica estera sovietica ha come presupposto la coesistenza per un lungo periodo di due sistemi: capitalismo e socialismo... La realizzazione di questa politica procede nelle nuove condizioni che si sono create da quando l'America ha rotto con l' antica politica di Roosvelt ed è passata ad una nuova  politica di preparazione di nuove avventure militari». La mirabolante teoria è sfornata: l'America è democratica e progressiva sotto Roosvelt, fascista sotto Truman: il capitalismo è amico di strada o nemico a seconda che ha alla testa una marionetta piuttosto che l'altra: il gran maestro della seconda guerra mondiale era un bravo uomo, i successori sono «cani rabbiosi». E comunque, «coesistiamo» pure, e facciamo i nostri sporchi affari insieme!

Come si vede, i motivi della orchestra successiva sono già intonati: con la sola variante che la Jugoslavia di Tito era ancora sulla ... via del socialismo!

 

(continua)

 

Battaglia comunista, n. 9, 4 - 18 maggio 1950