Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Chiave dei cambi di scena tra i "grandi attori" della storia (il programma comunista, n. 23, 1964)

aggiornato al: 18/02/2009

il programma comunista, n. 23, 15 dicembre 1964

Non vogliamo fare commenti a questo bell'articolo in cui si parla di Rivoluzione francese, Rivoluzione russa e termidoro. Lasciamo che ognuno tragga quanto reputa opportuno o quanto riesce a cogliere dalla sua lettura.

Diciamo solo che  per "campo di Agramante", con reminescenze letterarie all'Ariosto, si intende un gruppo di persone che pur nello stesso campo sono discordi e litigiose tra di loro.

 

 

Chiave dei cambi di scena tra i

«grandi attori» della storia

 

Nel 1924, tra noi come nel campo di Agramante, cominciò a circolare la parola Termidoro. La rivoluzione russa, che aveva avuto, e rivendicato in dottrina, il Terrore, poteva, doveva forse avere un Termidoro?

Al principio dell'anno Lenin, da gran tempo malato, era morto. Molti se non tutti, fra noi e nel campo di Agramante, identificavano con la persona di Lenin individuo la rivoluzione bolscevica di ottobre 1917, il suo partito, la sua teoria. La rivoluzione di Lenin, la dottrina di Lenin, il partito di Lenin. Molto va perdonato ai modi di dire. Tra i denigratori e gli apologeti, li avremo anche noi usati mille volte. In termini coerenti alla dottrina di lui e nostra, non è un uomo che fa una rivoluzione, una teoria, o un partito, e li distingue col suo nome. Fu tuttavia Lenin tanto perspicuo nostro maestro che proprio a lui non pensiamo, quando scriviamo di attori della storia!

I giovani comunisti di quella generazione videro però, con Lenin e al lavoro con lui, e nello stesso rapporto di lui con la teoria, il partito e la rivoluzione, numerosi compagni di Russia e fidarono nel partito vero e grande dei Lenin, Trotsky, Radek, Bucharin, Zinoviev, Kamenev e tanti, tanti altri.

Credettero, non perché fosse Lenin vivente, quel partito monolitico e - ingenuamente - eterno. E lavorarono convinti di farlo mondiale.

Ma al V congresso di Mosca, nella estate 1924, - e non in quanto si ponesse il problema idiota: chi va al posto di Lenin? - si seppe che il partito monolitico era diviso, e quel gruppo di compagni, che sognammo «intercambiabili»  a piacere come pezzi della macchina per la rivoluzione nel mondo, non era più lì a darci una risposta concorde. L'uomo più significativo, Leone Trotsky, dal congresso del partito russo taceva; era assente dal congresso mondiale.

Allora cominciò a circolare la parola del Termidoro futuro, e si fece dai filistei largo uso della frase fatta: Lo sapevamo bene, le rivoluzioni divorano i loro uomini. Per l'ideologo borghese e mezzo borghese (peggio) vanno insieme queste tesi: Le rivoluzioni sono il fatto di un uomo, sono generate dalla apparizione di un uomo. Questa figlia si nutre poi della carne del suo genitore.

Ma uno solo era stato fino allora divorato dalla rivoluzione; Lenin proprio, e non nel senso dei giacobini della Francia 1793: «bisogna ghigliottinare per non essere ghigliottinati». Aveva tanto donato delle sue qualità di eccezione alla causa di cui era milite, che bruciò troppo presto, quella macchina meravigliosa. Non lo travolse un Termidoro!

Nella sua visione, il nostro Terrore nato in Russia non sarebbe stato spento da una controrivoluzione russa, ma doveva guadagnare tutti i paesi fuori di Russia alla Dittatura. Lo credemmo colla stessa certezza con la quale rifiutammo il discorso dei nemici e dei traditori: Dittatura significa un Dittatore; e il vostro è dato dal nome più noto: Lenin, il nuovo Zar!

La storia corrente considera come svolto della rivoluzione francese il 27 luglio del 1794 (nel calendario rivoluzionario,  10 termidoro anno IV) perché Robespierre, che fino allora aveva col Comitato di salute pubblica condotto il Terrore, vi fu ghigliottinato dagli avversari di destra, senza che il popolo dei sanculotti di Parigi si levasse in armi. Il terrore cambierà di mano, e la controrivoluzione sboccherà nel consolato di Bonaparte e nell'Impero...

Devono forse tutte le rivoluzioni avere una stessa, oggi direbbero, regia? Ed era la rivoluzione russa della stessa «specie» di quella francese? Bisognava rispondere a queste domande per prevedere un termidoro russo.

 

     * * * * *

 

Nel mondo degenerante di oggi si va perdendo la sana distinzione fra il modo borghese di presentare la storia e quello proletario e marxista. Non passiamo ancora al secondo. Fino, possiamo dire, alla fine del secolo scorso la corrente opinione si domandava ancora, o appena aveva cessato di domandarsi, se la Rivoluzione  francese era stata giusta o no, se aveva o no fatto bene a levare picche e ghigliottine e a versare tanto sangue, se Napoleone la aveva punita, e se avevano fatto bene i restauratori e se avevano punito Napoleone, o la rivoluzione, o tutti e due. Poca strada è stata fatta in più di altro mezzo secolo, se ancora oggi il novantanove per cento dei commentatori sono tanto intrigati nello spiegare il senso della «caduta» di Krusciov e nel dire se era un buon compare, o un dittatore truculento e da «termidorizzare». E se lo sarà nel seguito. Gente che così giudica sarebbe appena scusabile se si dichiarasse convinta  che c'è il Padre eterno a regolare la storia, o che un senso morale innato decide di essa ed in essa. Oggi, digerito più di mezzo secolo dopo quello illuminato, siamo al punto barbino che, se prendiamo un politico di estrema destra e uno di estrema sinistra, potremo trovarli fieramente avversi, ma in sostanza tutti e due finiranno con l'ammettere: Iddio? beh, certamente, decide lui - la morale generale? certo, è alla sua luce che si legge la storia...

Comunque abbiamo voluto dire che all'altezza del 1900 (Marx aveva parlato e scritto da più di mezzo secolo) ogni benpensante ne aveva tanto da dire con sicumera; ghigliottina o non ghigliottina, testa di Capeto o di Massimiliano, corona o arsenico per Napoleone il grande, tutto è andato per il meglio, perché quale altra via esisteva per avere la civiltà moderna, le macchine, la tecnica in progresso, la cultura, eccetera eccetera?

Allora la sentenza di Dio o della Storia restava sospesa, sul Terrore e sulle Dittature, o quanto meno non poteva servire con sicurezza a condannare qualunque guerra civile, qualunque dittatura.

Sono passati tutti questi 64 anni ed è scorsa sotto i ponti tanta altra civiltà, progresso tecnico, e scientifico; ma in effetti abbiamo rinculato in maniera paurosa: il bigottismo è cento volte maggiore. Nessuno sa se Nikita è stato oggetto di una piramidale canagliata, o se era lui un farabutto, un tirannello narcisista degno di pedate al cospetto del mondo.

Dato che, giusta il luogo comune scolastico, la storia è maestra della vita, nel senso banale che snocciola repertori obbligati, il filisteo del 1924 non aspettava solo il Termidoro russo, ma anche il bonapartismo. La figura del Napoleone pareva bella e pronta; quella di Trotsky, condottiero dell'esercito rivoluzionario che aveva schiantate tutte le coalizioni, uomo ricco a dovizia di tutte le qualità brillanti, fiammeggiante nella figura come l'aquila nei quadri del David tra le aurore di gloria dell'ottocento. Anche di questa specie di farisei ridemmo sicuri; Leone non cedeva di un passo a Vladimiro nel rispetto del partito e della sua dottrina, nel posporvi ogni personalità, e prima la propria, che per altra via lasciò disperdere in uno squallido esilio, non perché gli facesse paura un'avventura da dramma storico, ma per coerenza ai principi di tutti e alla causa della grande rivoluzione. Né l'uno né l'altro, né quanti furono degni di militare per le stesse mete storiche, erano attori, scesi a recitare sui palcoscenici della storia politica; davanti alla platea  rigurgitante di resocontisti prezzolati e di critici incretiniti.

 

* * * * *

 

Ben altra chiave il nostro partito storico - quello sì eterno e non riducibile dalle tempeste a pause di silenzio - possiede per leggere gli eventi umani.

Il determinismo marxista mostra alla base delle lotte politiche e della rivoluzione che ne seguono le tappe cruciali, il conflitto tra le classi destato dai fattori economici, e la sostituzione del potere di una classe a quello di un'altra. Ogni classe rivoluzionaria ed ogni tipo sociale di classe elabora nella lotta e fra i fumi della battaglia  una sua ideologia e sembra gettarla contro quella della classe precedente. Se quindi nella visione nostra della storia ogni rivoluzione  ha ragione, non sarebbe esatto dire che ogni ideologia rivoluzionaria è giusta e ha valore definitivo rispetto al passato e per il futuro.

Come di norma, parlino i nostri testi di base, e la immortale prefazione alla Critica della economia politica, di Marx. Se vogliamo parlare di rivoluzione in generale, non dimentichiamo: «Esaminando tali rivoluzioni, bisogna distinguere tra la rivoluzione materiale nelle condizioni della produzione economica, constatabile con precisione scientifica, e le forme giuridiche, religiose, artistiche e filosofiche, in breve ideologiche, in cui gli uomini divengono consapevoli del conflitto e lo combattono. Così come non si giudica un uomo secondo ciò che egli pensa di essere, non si possono giudicare tali epoche di sovversione sociale dalla coscienza che esse si formano di se stesse, anzi si deve dichiarare (dedurre e spiegare) questa coscienza dalle contraddizioni della vita materiale e dal conflitto esistente tra le forze produttive sociali e i rapporti di produzione».

Prendiamo il filisteo corrente fine 1900. Egli è giunto a vedere che la rivoluzione del 1789 doveva usare dittatura e terrore, ma le dà questo diritto solo in quanto era l'ultima a fruirne. Tra questi filistei, ogni Kautsky, ogni socialdemocratico di quelli a cui Lenin tolse il diritto di blaterare, e quindi ogni moderno opportunista che insozza l'aggettivo di leninista, cadono nello stesso errore di non aver ancora capito quanto Marx scrisse nel 1859 (e dire che si definiscono, gli ultimi detti, aggiornatori e arricchitori di un marxismo superato e passatista rispetto alle posteriori esperienze!). Essi infatti giudicano la rivoluzione francese secondo la coscienza che si formò di se stessa. Nei suoi teorici della filosofia enciclopedista ed illuminista, e nei suoi capi parlamentari, essa annunziò di avere attuata la totale liberazione dell'uomo dalla ingiustizia e dal privilegio: ogni altro progresso sarebbe stato pacifico, e affidato all'arma della democrazia. Il marxismo nello scoprire come si leggono le rivoluzioni nella storia, scoprì che quella borghese aveva eretta una nuova classe dominante e un'oppressione peggiore delle antiche: il salariato. Il passo celebre conclude: «i rapporti borghesi di produzione sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale... Con questa formazione sociale si conclude, quindi, la preistoria della società umana». Marx e Lenin rivendicarono che questa era la scoperta della ineluttabilità di una nuova rivoluzione, nuova lotta armata e nuova dittatura  in tutti i paesi.

Oggi quelli che si dicono il partito di Lenin annunziano che la sua fu nel tempo e nello spazio l'ultima dittatura. Che dissero di diverso i puri borghesi che gli gridarono di essere un despota sanguinario?

 

* * * * *

 

Secondo la nostra scuola si può tentare il confronto fra le rivoluzioni del 1789 e del 1917. Si potrebbe dire che furono diverse radicalmente: quella la prima dittatura borghese, questa la prima proletaria...

Tuttavia partirono dalla esplosione dello stesso regime: quello feudale. La rivoluzione russa fu una rivoluzione doppia; è noto. Ma la borghesia non tenne il potere, debole potere, che da febbraio a ottobre.

Noi non abbiamo mai negato talune analogie  fra le due rivoluzioni tanto lontane nel tempo tra loro. In entrambe lottavano tre classi e non due. In recenti ricerche del nostro movimento attuale abbiamo, nella «questione militare», descritto un proletariato, sia pure embrionale, in lotta nella rivoluzione di Francia. Tanto è vero nel marxismo classico. Vediamo Engels, nell' Antiduhring. Totale è la collimazione nel metodo, tra il 1859 e il 1878. E' descritto il naufragio della ideologia razionalista, pure citando Rousseau cui Marx ed Engels dettero grande stima, come dialettico. «Il Contratto Sociale di Rousseau aveva trovato la sua realizzazione nell'epoca del Terrore, da cui la Borghesia smarrita e non comprendendo più nulla delle sue attitudini politiche si era rifugiata prima nella corruzione del Direttorio e poi sotto la protezione del dispotismo napoleonico». Segue uno scorcio potente dell'economia sociale borghese più crudele della feudale verso gli oppressi. Più oltre: «Le masse proletarie di Parigi al tempo del Terrore potettero impadronirsi per un momento del potere, ma con ciò poterono solamente dimostrare che il loro dominio era impossibile allora».

Engels si complimenta con il grande utopista Saint Simon, altro maestro di dialettica innata, per aver saputo concepire la rivoluzione francese «come una lotta di classe tra nobiltà borghesia e proletariato, il che era nell'anno 1802 una scoperta assai geniale».

Lenin stesso legherà alle lezioni della rivoluzione francese ed al compito delle masse in essa la sua prospettiva della rivoluzione russa e mondiale nel lavoro sull' Estremismo. Quando egli sottolinea la primaria importanza di una valida teoria rivoluzionaria, ricorda che la giustezza di questa - il marxismo - «fu provata dalla esperienza mondiale di tutto il secolo decimonono».

La rivoluzione francese nel suo concetto fu un primo banco di prova della dinamica delle grandi masse. Ben sapeva  quanto Engels aveva detto del proletariato di Parigi nel Terrore, e molte volte egli e Trotsky lo ricorderanno. Ma chi rappresentava il proletariato, in questo fugace afferrare il potere? Forse lo stesso Robespierre, nella sua lotta contro la destra girondina borghese e piccolo borghese. Eppure la stessa Convenzione represse i moti popolari precedenti la congiura comunista di Babeuf. Ciò spiega la passività proletaria al Termidoro? Certo Roberspierre nei suoi travolgenti discorsi era giunto a dire: «Le rivoluzioni succedutesi negli ultimi tre anni han fatto tutto per le altre classi di cittadini, quasi nulla per la più necessaria, per i cittadini proletari non aventi altra proprietà che il lavoro. La feudalità è scomparsa, ma non a vantaggio loro, poiché nelle campagne affrancate non possiedono nulla... E' stata istituita la eguaglianza civile, ma ad essi mancano l'istruzione e l'educazione...».

Per una chiara analogia con la Russia del XX secolo la Francia giacobina era flagellata dalle spedizioni militari delle potenze estere coalizzate, tra cui la borghese Inghilterra, timorosa di un giacobinismo di sinistra e proletario. Robespierre nella lotta contro gli agenti stranieri costruisce il grande mito popolare della Patria delle patrie, che tuttavia i borghesi non hanno fondata, ma usurpata dalla monarchia ereditaria. Riluttante dapprima ad ogni guerra di popoli, e dopo la dichiarazione contro ogni guerra di conquista territoriale, egli trova nel furore della difesa il lievito della forza della rivoluzione che attinge incredibili vittorie contro un mondo di nemici.

Anche la rivoluzione di Russia condusse una lotta parimenti feroce e non meno gloriosamente vittoriosa. Ma, sulla grandiosa linea di Lenin, non ne trasse la esaltazione di una patria, sia pure proletaria e rossa. La consegna di Lenin fu e resta l' Internazionale, la guerra civile antiborghese in Europa e dovunque.

Tutte le crisi che il regime russo ha traversate da quel 1924 in poi non vanno lette come cambi della guardia e sinistre trame di palazzo, come piace di fare al conformismo pennaiolo del mondo.

La rivoluzione russa, fermatasi come rivoluzione proletaria e svoltasi sotto nome mentito come rivoluzione borghese, che come quella francese aveva utilizzato la potenza delle masse in armi di formazioni civili e militari, ha subito un rovescio storico più grave di ogni Termidoro e di ogni Restaurazione.

Il marxismo rivoluzionario non è morto, e legge ancora la storia per antagonismi di classi avversarie e non per protagonisti che recitano sulle poltrone ai vertici. La economia capitalista nel corso di pochi decenni da Waterloo guadagnò il mondo, e prima della fine del secolo la stessa Russia.

La economia proletaria aveva bisogno della Dittature europea e poi mondiale. Nel 1926 si ebbe lo svolto cruciale, quando Mosca dichiarò che rinunziava alla Dittatura comunista internazionale. Il grande attore di scena fu Stalin, e prevalse su generosi lottatori; Trotsky, Zinoviev, Kamenev, in disperata difesa delle posizioni del morto Lenin e della immortale teoria rivoluzionaria.

La storia delle persone racconti pure come diversamente andarono ad essere assassinati, come degno di loro finì Bucharin, in quella giornata palafreniere di Stalin, quanto poco dica che Zinoviev e Kamenev, primi, già nel 1924 avevano dato l'ostracismo al grande campione della Internazionale, Leone.

La rivoluzione francese era caduta senza uccidere il suo Mito, la Patria, in cui Robespierre credeva come un bambino, quanto nella Virtù, che identificava, lui l'incorruttibile dei sanculotti, col Terrore stesso, sui traditori, sui venduti.

La svolta di Stalin vale come se Cambronne, invece di lanciare sul viso dei vincitori il fatidico grido, avesse urlato: Guardia, calate le brache!

Era la vittoria regalata all'antagonista storico della Dittatura, il Capitale di Occidente. Che non se la lascerà strappare dalle follie napoleoniche di Baffone.

Per i pettegoli della storia quella chiave non apre la spiegazione ai cambi delle scene tra gli Stalin, i Beria, i Malenkov, i Krusciov, i Breznev e la futura teoria di marionette.

Per noi non occorre di più.  Quanto ripete sempre più aperto la Pravda di questi giorni, è corollario di una premessa che leggemmo chiara tra il 1924 e il 1926.

Stato di tutto il popolo dopo la fine della dittatura proletaria. Merda! Ecco non un sinonimo ma un omonimo della democrazia.

Massimo interessamento di ognuno al rendimento del lavoro. Ecco il sinonimo della proprietà privata sfruttatrice, alienazione dell'uomo.

Così imparammo a dichiarare la coscienza che una società ha di se stessa.

 

il programma comunista, n. 23, 15 dicembre 1964