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archivio > Archivio sulla sinistra>Eugenio Reale, Corrispondenza socialista e altro, (il programma comunista, vari numeri, 1957)

aggiornato al: 28/01/2009

il programma comunista, vari numeri del 1957

Raccogliamo e presentiamo in questa occasione alcune note ospitate in vari numeri di  il programma comunista del 1957 che riguardano i commenti (arguti, sicuri e netti) ai piccoli "strappi" che in quell'anno si verificarono nel Pci (dopo la rivolta ungherese del 1956) e che diedero vita a  Corrispondenza socialista  prima e a  Tempi moderni  poi, tutti ugualmente sotto l' insegna di  "libertà e democrazia", pilastri del  "socialismo nuovo".

Scrivendo "gli eredi di Stalin sono, una volta di più, peggiori del «maestro»" si chiudeva una di queste note. Allo stesso modo concludiamo noi: eredi dello stalinismo, ora in fregola democratica erano sia Eugenio Reale con Corrispondenza socialista che Fabrizio Onofri e Renzo De Felice (non ancora famoso biografo mussoliniano) con Tempi moderni.

Da altri lidi, ma sempre con democrazia e libertà nel cuore, usciva invece nello stesso periodo Tempo presente lanciato questo sempre all' inizio del 1956 da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte e finanziato dal dipartimento di Stato americano cioè  dalla C.I.A.

Spavaldamente il programma comunista si batteva contro tutti costoro tenendo alta la bandiera del marxismo autentico.

 

 

Botteghe Oscure

Due gocce d'acqua

 

Lasceremo ai gazzettieri di colore il gusto - che non abbiamo - di ricamare sui retroscena, piccanti o no, del «caso Reale», e ai cucinieri della politica il piacere di ridere sui grattacapi del PCI: non siamo noi a raccogliere i cocci dei partiti, grandi e piccoli, dell'opportunismo. Due sole constatazioni ci permettiamo.

La prima concerne il ridicolo estremo delle due parti: del «ribelle» che improvvisamente si accorge della rovina alla quale i dirigenti stanno, con la loro «politica dissennata», portando la classe operaia ed il partito; dei dirigenti che improvvisamente si accorgono del «tradimento» di quello che già fu una delle colonne del tempio (pardon della cloaca) togliattiana. Le due parti si equivalgono: i loro occhi si «aprono» quando fa loro comodo, e non staremo a indagare in che cosa questo comodo consista nella fattispecie.

La seconda constatazione, è di carattere più serio e generale, ma conclude nello stesso senso: se gli operai non devono nulla sperare dal partitone pilotato dalla cabina di comando delle Botteghe Oscure meno ancora possono e debbono attendersi dalla fioritura di presunti ribelli e oppositori la cui sola aspirazione è di tuffarsi senza più ritegno nella melma del riformismo e della democrazia e sognano il grande «partito socialista» aperto a tutti  fuori che ai rivoluzionari - e non perché non sarebbe alieno dall'accoglierli, ma perché i rivoluzionari non ci entrerebbero mai. I «ribelli» non sono che dei Togliatti all'ennesima potenza, mescolanti nella stessa pentola socialismo e libertà, come è ormai - sebbene in ordine rovesciato - il costume di tutti i partiti tradizionali della borghesia. Le parti anche qui, si equivalgono, con un punto negativo in più a carico degli oppositori.

E tanto basti alle comari del «Giorno» su nostri pretesi accordi o accostamenti con questi ruderi dell'opportunismo politico.

 

il programma comunista, n. 1, 4 - 19 gennaio 1957

 

 

Inni al sole

 

Il «caso Reale» ha dato la stura, in tutti i settori della stampa non-togliattiana, ai più frementi inni alla libertà, alla democrazia, alla civiltà borghese e via dicendo, finalmente vittoriose sul ... marxismo. Ma, fra tutti gli inni, quello più divertente è stato sciolto da Oreste Mosca sul «Corriere Mercantile» di Genova del 3-1: un inno al sole del padronato italiano di cui gli operai riceverebbero i dolci e facondi raggi. Si freghino gli occhi gli operai, e leggano come la benefica opera dei grandi industriali avrebbe agito sulla coscienza del «ribelle» napoletano, già manipolatore dei traffici oltre cortina per conto del PCI.:

«Tu - scrive l'articolista rivolto all'espulso - a contatto con gli operatori economici, hai avuto occasione di constatare come ogni modesto capo di azienda faccia per i suoi operai molto di più di mille organizzatori comunisti; e non parliamo dei casi di formidabili imprese, come i Valletta, i Faina, i Valerio, i Cini, i Pirelli, gli Olivetti, i Marzotto, i Fassio, i Lauro, i Marinotti, i Motta, i Piaggio che si preoccupano di dare lavoro in continuazione a decine di migliaia di operai, che sanno guadagnare denaro costruendo, fabbricando, esportando, mandando merci o navi per tutte le terre e i mari del mondo sovraccaricandosi di infinite preoccupazioni, sicché alla fine perdono il sonno e l'appetito, e questo denaro da essi guadagnato ad altro non serve che ad allargare sempre più il mondo del lavoro, a dare possibilità ad altri milioni di uomini di avere una casa, un pane assicurato, un lavoro continuativo. Si possono limitare i benefici dei raggi del sole? Essi beneficano tutti. Così è della vita degli affari, che, quando è prospera, benefica tutti».

Chiaro, no? Potremmo vivere, senza chi ci dà il pane rinunziando al sonno e all'appetito?  Potrebbe vivere, la società, senza capitani di industria così cristianamente munifici? No di certo, Reale o chi per lui ha quindi un compito ben definito:

«Far capire agli umili che tutto il socialismo compatibile con la natura umana realizzabile nello stato attuale dell'economia italiana è da tempo attuato: che il «furto» creato dal plusvalore in danno degli operai è una favola perché la legislazione sindacale ci protegge tutti (anche me, direttore di giornale) contro i «padroni» e che soprattutto non esistono contrasti insanabili, tra operai e imprenditori, non esiste una stupidissima lotta di classe eterna, perché nel mondo contemporaneo, ognuno può giocare le sue carte, se ha volontà di lavorare, studiare e risparmiare, e i privilegi, gli ingiusti privilegi della nascita, sono continuamente minati e quasi ridotti al lumicino».

E allora non resta. per un medico-chirurgo come il «mio caro Eugenio» che estirpare «il bubbone marxista dal movimento operaio italiano» e creare «un grande partito operaio moderno, che non attenda miracolosamente la catastrofe dell'economia capitalista (che non avverrà mai) e che si porti invece sul terreno delle concrete realizzazioni, allenando i lavoratori più capaci e più intelligenti a diventare tecnici e capi delle aziende in un non lontano domani».

Attendiamoci dunque da Mosca o da Reale il socialismo dei padroni (magari dei proletari allenati a divenire capi d'azienda) e, messa la cuffia da notte, anticipiamo il «non lontano domani» in cui finalmente gli operai capiranno che in fabbrica non faticano ma ... si godono il sole.

 

il programma comunista, n. 2, 18 gennaio - 1 febbraio 1957

 

 

La carta d'identità degli «oppositori»

 

Dopo molte panzane, il gruppo di cosiddetti «oppositori allo stalinismo» clamorosamente formato da  Eugenio Reale ha dato alla luce un settimanale politico «Corrispondenza Socialista». E' una specie di carta d'identità di quelli che potremmo chiamare i post-staliniani conseguenti.

Paternità e maternità non sono dubbie: la democrazia, la libertà, i valori nazionali, il riformismo-di-struttura, e tutti gli altri ingredienti della broda cucinata dallo stalinismo nel suo inglorioso trentennio, sono divenuti i pilastri del «socialismo nuovo»; «l'opposizione allo stalinismo» verte sulla brutalità dei metodi polizieschi, non sulla sostanza del programma sul cui altare Stalin celebrò il sanguinoso sacrificio della vecchia guardia bolscevica, come in uno specchio, possiamo chiaramente vedervi quello che sarà il movimento «comunista» di marca cremliniana quando le ultime foglie di fico saranno cadute e i vari Krusciov nazionali avranno mandato in soffitta anche gli ultimi residui del loro vocabolario giovanile: un movimento radicale-borghese, ultrademocratico, ultrariformista, ultrapatriottico. 

Leggiamo le nuove tavole della legge. Scrive Reale: «In mezzo a questi due estremi (il «prevalere delle forze confessionali, retrograde ed oscurantiste» da un lato, il «prevalere dell'estremismo di sinistra (!!), di quelle forze, cioè,  che sono ispirate e dirette da sistemi politici basati sull'oppressione poliziesca e sul più assoluto dispregio della personalità umana» dall'altro) c'è la parte sana della nazione, che ha raggiunto faticosamente una coscienza di sé, che ha rimarginato le ferite della guerra, che non chiude gli occhi alle sofferenze del popolo lavoratore, che sono poi le sue sofferenze ... l'Italia che lavora, che vuol essere libera, prospera, indipendente, formata da milioni di intellettuali, di operai e di contadini, di uomini e donne che non vogliono né il ritorno all'oscurantismo medievale, né la risorta barbarie imposta ai popoli dal totalitarismo staliniano». Chiaro? Non un movimento di classe, ma di «nazione» con in testa gli intellettuali finalmente pronti a «non chiudere gli occhi» sulle sofferenze del popolo lavoratore.

Il programma? «Attraverso la spinta verso sempre più importanti conquiste sociali e la difesa più intransigente della libertà e della democrazia [il vocabolario congiunto della carta del lavoro fascista e della Costituzione della repubblica democratica], assicurare l'avvenire del nostro Paese». Saragat potrebbe sottoscrivere: Togliatti sottoscriverà a tempo debito, liquidate le ultime pendenze della bancarotta staliniana. I mezzi? «Ogni divisione, ogni discordia, ogni frazionamento delle forze democratiche giova soltanto a quelli che, da una parte e dall'altra minacciano la libertà»: sul carrozzone degli «oppositori» sono invitati a salire tutti gli adoratori della persona umana, tutti i fedeli degli eterni principi.

I presupposti ideologici? «Per restaurare una solida (!!) piattaforma ideologica, nell'assunto che non può esservi azione rivoluzionaria senza un'ideologia che la sostenga, il punto primo, il presupposto essenziale, che deve dare sicurezza alla nostra azione politica, è l'affermazione della libertà umana in tutte le sue manifestazioni ... Solo alimentandosi perennemente al soffio creatore della libertà il socialismo potrà essere vera espressione di fede». Evviva la sincerità: il punto primo di questi ... ringiovanitori del socialismo non è la lotta di classe, e men che mai la dittatura del proletariato - che anzi è da respingere nettamente -, ma «la libertà in tutte le sue manifestazioni», quindi anche in quella di fregare il prossimo; la loro «nuova» Bibbia sono i classici del più puro liberalismo, della più democratica e borghese bacchettoneria. La nazione o il popolo in luogo del proletariato, l'unione sacra dei democratici sinceri al posto della lotta di classe, la libertà nella sua più fumosa veste ottocentesca al posto della marxista dittatura del proletariato, le riforme sociali al posto della rivoluzione: tra questi ferri vecchi della tradizione «idealistica» borghese e dell'opportunismo i «neo-antistaliniani» sono andati a cercare gli strumenti del loro mestiere.

Come volevasi dimostrare, gli eredi di Stalin sono, una volta di più, peggiori del «maestro».

 

il programma comunista, n. 13, 3 - 17 luglio 1957

 

 

Accidenti al «moderno»

 

Parola d'ordine per i rivoluzionari: quando salta fuori lo «scopritore del nuovo e del moderno» (si tratta, come al solito, di intellettuali), volgere il naso altrove; c'è puzza di cadavere.

Le Botteghe Oscure hanno avuto negli ultimi tempi un'emorragia di questi scopritori: se fossero la sede di un partito rivoluzionario non se li sarebbero mai tenuti fra i piedi e, se mai avessero avuto tale disgrazia, non avrebbero versato lacrime nel perderli: se, poi, avessero un minimo di decenza (non parliamo, si capisce, di decenza morale), riconoscerebbero che in ogni caso, sono figli suoi, della sua esaltazione del concreto, dell' «aderente», del non-talmudico, che è, semplicemente, esaltazione della mancanza di principi, dell'andare secondo il vento della moda, al seguito del bestione dominante.

Uno di questo gruppi di esuli ha fondato la rivista «Tempi Moderni». Almeno, i poveracci, avessero scelto un altro titolo: avrebbero evitato di far la figura di chi scopre l'America cinque secoli dopo che Cristoforo Colombo l'ha scoperta. La loro modernità è un'ennesima edizione della democrazia (manco a dirlo identificata col socialismo), il loro sogno è di vivificare i partiti attuali e i sindacati reinserendoli nello Stato dal quale si sono avulsi, di salvare il parlamento dalla crisi di distacco dalla società nel quale è caduto (fosse vero!, e meglio ancora se, cadendo, si fosse definitivamente rotto le ossa), insomma di ridare ossigeno agli istituti democratici (per costoro, tutto è egualmente «istituto democratico» il Parlamento come il Sindacato operaio, gli organi della classe dominante e quelli della classe dominata) ristabilendo l'unità, ahinoi, infranta fra «società politica» e «società civile».

Sul piano economico, poi, gli scopritori di terre nuove stanno ponzando un «piano democratico (inutile dirlo!) di sviluppo economico» che sia, appunto perché democratico, anche sociale e politico. La ricetta? Credete forse che la prendano da Marx, Engels e Lenin? Ohibò: vecchi arnesi! La prendono da Keynes: «Ogni trasformazione o riforma di una determinata società ... è progressiva quando tende ad assicurare e di fatto assicura una ripartizione fra accumulazione e consumi che garantisca da un lato il pieno sviluppo e la piena funzionalità delle forze produttive di base, dall'altro il massimo di benessere per la comunità». Un piano simile inoltre è, per costoro automaticamente socialismo, giacché socialismo è, nella loro splendida definizione, abolizione della proprietà privata + piano statale + partecipazione di «tutti i cittadini in quanto produttori consumatori» all'elaborazione di detto piano. Abolizione della merce? Abolizione dell'appropriazione di classe dei prodotti? Superamento dell'economia mercantile e monetaria? Abbattimento delle barriere aziendali, ecc.? Ohibò: ferri vecchi, il socialismo è ... capitalismo controllato dall'alto, e dal basso; punto e basta.

Dopo di che, gli illustri scopritori costituiranno gruppi di studio e «di pressione» affinché tutto questo immaginifico programma si realizzi. Vadano in America: troveranno sotto altro nome per amore della ... modernità, il loro capitalismo «popolare», o, se preferiscono, il loro «socialismo» non burocratico.

Lasciamoli ai loro gruppi di studio e di pressione, ai loro ponzamenti in difesa della democrazia e di quello che essi chiamano socialismo e che potrebbero indifferentemente battezzare con qualunque altro nome: non è di lì che uscirà la levatrice della storia.

 

il programma comunista, n. 19, 9 - 23 ottobre 1957