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archivio > Archivio sulla sinistra>Questioni storiche dell'Internazionale Comunista, II, (il programma comunista, n. 4, marzo 1954)

aggiornato al: 16/11/2008

il programma comunista, n. 4, 19 febbraio - 5 marzo 1954

Presentiamo il secondo articolo della serie Questioni storiche dell'Internazionale Comunista apparsa nel 1954. Si tratta in tutto di cinque articoli, mai ripresentati dalla loro uscita più di cinquanta anni fa, che riproporremo integralmente.

E' un utile ritornare a situazioni e a momenti della storia di classe troppo spesso dimenticati o abbandonati, a un narrare la storia in modo corretto.

 

 

Questioni storiche dell'Internazionale Comunista

 

II

 

Il partito politico internazionale – non la coalizione e federazione di partiti autonomi, ma un organismo unitario a direzione centrale – è uno strumento di lotta che appartiene unicamente alla rivoluzione proletaria.  Le epoche storiche passate non potevano produrre un analogo fenomeno perché poggiavano su meccanismi economici che funzionavano in ambienti sociali circoscritti. La stessa rivoluzione borghese capitalistica, che pure allargava di molto la sfera sociale della produzione non usciva dal quadro dello stato unitario, nonostante il fatto che gli scuotimenti sociali e politici si ripercuotevano spesso in un'area più vasta che i confini della nazione.

Un esempio classico è fornito dalla Rivoluzione francese (1789 - 1815). Il crollo delle impalcature assolutiste semifeudali in Francia suscitò moti rivoluzionari oltre le frontiere francesi e il giacobinismo diventò un movimento universale nell'Europa occidentale e centrale. Con l'appoggio politico e il sostegno delle armate sanculotte i governi rivoluzionari di Parigi favorirono energicamente la lotta dei democratici rivoluzionari d'Italia, Belgio, Olanda, Svizzera, Germania, Polonia. Risultato dell'azione convergente degli eserciti repubblicani  e delle insurrezioni locali furono in Italia la Repubblica Cispadana trasformata nel luglio 1797 in Repubblica Cisalpina, la Repubblica ligure e la Repubblica veneta (maggio - giugno 1797), la Repubblica romana (1798), la Repubblica partenopea (1799); in Isvizzera sorse la Repubblica elvetica (1798); in Olanda la Repubblica batava (1795); in Polonia fu costituito il Granducato di Varsavia, nucleo della costituenda Polonia spartita nel 1795 tra Russia, Austria e Prussia. Ma il giacobinismo europeo non fu affatto un partito internazionale. Le costruzioni politiche d'oltre frontiera rappresentarono per la Francia rivoluzionaria altrettanti puntelli del regime interno e ciò apparve chiaro per la politica del Direttorio, e in seguito di Napoleone, che dovevano assoggettare le terre occupate a regimi che nelle forme democratiche e repubblicane imponevano una politica volta a servire gli interessi talvolta esorbitanti dello «Stato guida» francese. Era nel determinismo della rivoluzione democratico - borghese che le repubbliche nazionali, suscitate dalle armate napoleoniche lungo il loro trionfale cammino, subissero l'influenza dominatrice del nazionalismo francese e dialetticamente vi si opposero, invocando gli stessi  «immortali principi» dell'89.

L'esempio più recente della inconciliabile opposizione tra rivoluzione capitalista ed internazionalismo è stato fornito dalla rivoluzione russa. Oggi riesce agevole comprendere che il fallimento della battaglia proletaria in Russia e il conseguente svolgersi del corso storico capitalista, pervenuto all'attuale regime che nulla più conserva di proletario e comunista si è accompagnato alla progrediente involuzione della Terza Internazionale e alla sua totale scomparsa. Lungi da noi la tentazione di accumunare gli odierni partiti stalinisti, che dappertutto agiscono come strumenti di conservazione e di controrivoluzione, ai partiti giacobini di 150 anni or sono, i quali pur lottando per rivendicazioni prettamente borghesi operavano rivoluzionariamente in un ambiente storico dominato dalla reazione aristocratico-clericale. Al contrario i partiti staliniani, anche nelle zone ancora prevalentemente precapitalistiche, cioè nelle condizioni ambientali proprie della rivoluzione democratico-borghese, lavorano nell'interesse dell'imperialismo. Vedemmo, infatti, il partito stalinista dell'India appoggiare la lotta del nazionalismo rivoluzionario contro l'Inghilterra, durante il periodo dell'alleanza tra Hitler e Stalin, per passare poi alla politica dell'appoggio all'Inghilterra, allorché nel giugno 1941 la Germania invase il territorio russo, costringendo il governo di Mosca ad allearsi con l'Inghilterra. Nella fase «di guerra fredda» il partito comunista indiano operava per la terza volta un rovesciamento di fronte accostandosi di nuovo al movimento indipendentista. Perciò in forza di queste e molte altre prove, si può correttamente sostenere che i partiti staliniani hanno svolto e svolgono un ruolo completamente controrivoluzionario e che il governo di Mosca ha adoperato e adopera le sue filiazioni politiche estere nell' interesse esclusivo della rivoluzione capitalista svolgentesi entro le sue frontiere come fecero in forme ideologiche e condizioni obiettive diverse i governi rivoluzionari di Francia.

Quanto detto fin qui non costituisce certamente un'esercitazione letteraria. Tutt'altro. La battaglia ingaggiata nel 1917 in Russia fallì appunto e noi ne  subiamo le tragiche conseguenze perché il movimento dell'Internazionale comunista  si infranse contro la resistenza della reazione borghese e dell'opportunismo. Il crollo della Terza Internazionale, liquidata definitivamente con un provvedimento burocratico imposto dal Ministero di Mosca, era da spiegarsi soltanto con il grado di sviluppo della lotta di classe nel mondo, oppure bisognava sostenere che alle negative condizioni obiettive andavano aggiunti fondamentali errori della dirigenza dell'Internazionale? Ecco il problema. Oggi, è facile guardando all'indietro gli avvenimenti, individuare le cause, il decorso e lo sbocco finale della degenerazione nazionalista di quello che fu, dal 1919 al 1924, il glorioso partito mondiale del comunismo rivoluzionario. Enormemente più difficile e, conviene dirlo,  veramente eroico fu criticare in maniera aperta e intransigente l'indirizzo politico del Comintern negli anni in cui il prestigio dei capi russi era immenso. Eppure questo lavoro fu svolto dalla Sinistra Comunista Italiana che fino al 1928 si batté contro le aberrazioni del fronte unico, del governo operaio e contadino, dei blocchi antifascisti sostenendo che simili stratagemmi falsavano il programma comunista e indebolivano la lotta internazionale per il comunismo.

L'esperienza della terza Internazionale ci insegna che la rivoluzione comunista potrà trionfare sul capitalismo alla condizione che sappia affidare la attuazione del suo programma ad un'organizzazione politica internazionale immune delle deformazioni patologiche che la Sinistra italiana individuò e condannò nel corso della evoluzione della Terza Internazionale. Alla Sinistra Italiana non spetta, dunque, solamente il merito storico della restaurazione della dottrina e del programma marxista in lotta con il tradimento staliniano. Nel corso della serrata polemica sostenuta nei confronti della dirigenza dell'Internazionale, la Sinistra Italiana riuscì a formulare la giusta tattica rivoluzionaria del partito internazionale, raddrizzando i tragici errori del bolscevismo russo che pure magnificamente aveva saputo condurre la lotta contro l'opportunismo locale. Che i partiti comunisti affiliati alla Terza Internazionale siano divenuti irrimediabilmente strumento del nazionalismo borghese grande-russo è un fatto innegabile, ma certamente meno importante che la spiegazione delle cause della loro compiuta involuzione reazionaria. Quel che importa è che la nuova Internazionale potrà utilizzare quando risorgerà – e finché dura il capitalismo e la dominazione di classe nessuna forza umana potrà impedirlo – la lezione impartita dagli errori del Komintern e dalla lotta della Sinistra Italiana.

 

La Terza Internazionale e l'opportunismo

La nuova associazione internazionale dei lavoratori fu profetizzata da Lenin fin dallo scoppio della prima guerra mondiale. La votazione dei crediti di guerra e l'attiva collaborazione ai poteri belligeranti da parte dei partiti socialisti tradizionali ebbe l'effetto di far passare il fronte di guerra anche nella Seconda Internazionale, cui essi erano affiliati. « La Seconda Internazionale – scrisse Lenin nel 1° novembre 1914 – è morta, uccisa dall'opportunismo. La Seconda Internazionale ha compiuto la sua parte di necessario lavoro preparatorio, per l'organizzazione delle masse proletarie durante il lungo periodo della più dura schiavitù capitalistica e dei più celebri progressi del capitalismo negli anni della pace, nell'ultimo trentennio del secolo decimonono ed al principio del ventesimo. Alla Terza Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato per l'assalto rivoluzionario al regime capitalista, per la guerra civile alla conquista del potere politico contro la borghesia d'ogni paese, per la vittoria del socialismo ».

La rivendicazione e i compiti della nuova Internazionale erano così chiaramente posti. La successiva pubblicazione dell' «Imperialismo», avvenuta nella primavera del 1915, segnava una data decisiva del movimento internazionalista. Il marxismo rivoluzionario annunciava – per bocca di Lenin – l'avvento dell'epoca delle finali battaglie nella lotta di classe tra borghesia e proletariato, e al fronte della guerra imperialista che realizzava la «federazione di tutti gli Stati contro il proletariato» preannunciava l'unificazione delle forze della Rivoluzione proletaria nei ranghi dell'Internazionale comunista.

Le conferenze internazionali di Zimmerwald (18-21 settembre 1915) e di Kienthal (6-12 maggio 1916) costituirono altri importanti passi in avanti del movimento internazionalista, sebbene il marxismo rivoluzionario vi risultasse in minoranza. Fu a Kienthal che l'Ufficio di Zimmerwald di sinistra, composto da Lenin e dai suoi compagni di corrente, propose di trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria in tutti i paesi, anticipando così la posizione fondamentale della Terza Internazionale. Ma doveva essere la Rivoluzione d'Ottobre, che consegnò il potere politico al proletariato comunista di Russia, a spalancare le porte alla nuova associazione internazionale.

Se la guerra imperialista, con il suo corteggio di orrori e di crudeltà immani, aveva condannato agli occhi delle masse l'ala destra riformista della socialdemocrazia, che aveva aderito senza riserva alla guerra, il dopoguerra, che doveva smascherare la demagogia e la vacuità del verbalismo rivoluzionario, scosse violentemente il prestigio del centro massimalista. I piccoli gruppi rivoluzionari, l'ala sinistra, che fin dal 1914 avevano avversato la guerra e invocato l'assalto rivoluzionario al potere capitalistico, acquistarono enorme influenza e, aderendo alla Terza Internazionale fondata a Mosca nella primavera del 1919, trascinarono seco, in un crescendo trionfale di entusiasmo, milioni di lavoratori. Alla testa del grandioso movimento che doveva riempire di terrore la borghesia del mondo, furono in Italia la Frazione Comunista Astensionista, in Germania la Lega Spartachiana, in Olanda la Sinistra tribunista. Negli anni 1919 e 1920 la maggioranza dei lavoratori socialisti in Francia, in Italia, in Germania, nei territori dell'ex impero Austro-ungarico, nei Balcani, nella Scandinavia, in Polonia, era per il bolscevismo e la Terza Internazionale, cioè per la dottrina e l'organizzazione politica che la Rivoluzione d'Ottobre e le imprese rivoluzionarie, anche se sfortunate, dei comunisti in Germania, in Ungheria e in Baviera dimostravano essere il nemico più risoluto e conseguente del capitalismo.

Il primo Congresso della terza Internazionale significò, per così dire,  solo la posa della prima pietra del grandioso edificio che doveva essere innalzato dal Secondo Congresso tenuto nel luglio-agosto del 1920. Il ristabilimento dei traffici internazionali e la sconfitta della rivolta bianco-imperialistica contro il potere dei Soviet, senza omettere le irresistibili pressioni dal basso che costrinsero i governi europei ad allentare le maglie del blocco contro la Russia bolscevica, permisero a molti delegati di raggiungere Mosca. Il Partito Socialista Italiano che aveva aderito in blocco alla Terza Internazionale, nonostante le divisioni interne, mandò a Mosca Serrati, Graziadei e Bombacci; la C.G.L. inviò i suoi segretari D'Aragona, Dugoni e Colombino. A rappresentare la Frazione Comunista Astensionista fu delegato Amadeo Bordiga. Il caso del P.S.I., che inviava a Mosca una delegazione in cui figuravano persino esponenti del riformismo personalizzava la situazione internazionale del movimento operaio. Il processo chiarificatore che aveva fatto importanti passi con la separazione e la violenta opposizione della Lega Spartachiana, che fin dalla fine del 1918 si era costituita in partito comunista (K.P.D.) era ben lungi da ritenersi avviato su scala mondiale. In effetti, riformismo e comunismo sebbene irriducibilmente nemici sul terreno della teoria e del programma, non si erano ancora discriminati su quello politico in non pochi casi. Se si considera che, nella travolgente ondata di entusiasmo, persino formazioni di operai cristiani e di pacifisti optarono per la Terza Internazionale, si comprende come il compito più urgente del Secondo Congresso fosse la delimitazione netta del programma e dei compiti dei partiti che domandassero di aderire all'Internazionale. Era facile prevedere che senza questo importante lavoro, il nuovo organismo internazionale non sarebbe neppure cresciuto, ripetendo la sorte della Prima Internazionale, sfasciatasi per l'inconciliabile opposizione tra marxisti e bakuniniani.

Il Secondo Congresso fu all'altezza del delicato quanto arduo problema. Il risultato dei suoi lavori si condensò nel testo contenente le «condizioni di ammissione alla Internazionale Comunista» che furono adottate nella seduta del 30 luglio 1920. Nel preambolo, dopo di aver proclamato: la «Seconda Internazionale è definitivamente distrutta» si metteva in guardia contro il facile ottimismo delle masse politicamente impreparate e perciò incapaci di scorgere il calcolo opportunista sotto le affrettate mozioni di adesione adottate da direttivi di partiti e raggruppamenti sicuramente equivoci, e si dichiarava apertamente: «L'Internazionale Comunista è minacciata dal pericolo di essere inquinata da elementi vacillanti ed indecisi che non si sono ancora definitivamente liberati dalla ideologia della Seconda Internazionale.

«Oltre a ciò in alcuni grandi partiti (Italia, Svezia, Norvegia, Iugoslavia, ecc.) la cui maggioranza sta sul terreno del comunismo, è rimasta fino al giorno di oggi una notevole ala riformista e social-pacifista cha spetta soltanto di risollevare il capo e cominciare il sabotaggio attivo della rivoluzione proletaria, aiutando così la borghesia e la Seconda Internazionale».

Seguivano le 21 condizioni di ammissione. Esse erano ispirate allo scopo della formazione di partiti politici di tipo comunista, intesi cioè come strumento della lotta armata contro il potere borghese e perciò soggetti ad un regime di forte accentramento e di ferrea disciplina, mentre l'organizzazione partitica della socialdemocrazia era foggiata ai fini della competizione elettorale. Ma tale risultato non era possibile senza una netta rottura con il riformismo e il social-patriottismo. Inutile era formulare il programma comunista, la cui accettazione era imposta dalla «condizione» XV, se i partiti che l'avevano approvata avrebbero continuato ad alimentare nel proprio seno, quella che con termine oggi in voga si potrebbe definire la quinta colonna opportunista. La condizione VII obbligava i partiti che desideravano appartenere alla Internazionale Comunista a rompere completamente col riformismo e il centrismo, e citava i nomi dei capi che a quelle tendenze si rifacevano: Turati, Kautski, Hilferding, Hillquist, Longuet, Mac Donald,  Modighiani. Ma la condizione VII se colpiva i capi opportunisti, lasciava da parte la questione dell'atteggiamento da assumere nei confronti di chi votava contro il programma nei congressi di adesione. A ciò servivano i punti 20 e 21. L'apposita commissione del congresso, su una mozione di Lenin, approvò la condizione XX che almeno i due terzi dei dirigenti dei partiti che chiedevano di aderire dovessero essere dei provati comunisti. A nome della Sinistra Italiana, Bordiga propose appoggiato da altri rappresentanti di sinistra, una formulazione più radicale che divenne la condizione XXI. Essa diceva: «Quei membri del partito che respingono le condizioni e le tesi formulate dall'Internazionale Comunista debbono essere espulsi dal Partito. Lo stesso vale specialmente per i delegati al congresso straordinario».

Lenin, da quel geniale marxista che era, non disconosceva, l'abbiamo visto, il lavoro svolto dalla Seconda Internazionale. Ma, alla fine della sua esistenza, essa disvelò tutte le deficienze e le magagne derivanti dall'essere un allineamento di partiti a direzione nazionale, uniti da legami blandamente federativi. Che mancasse un centro dirigente fu chiaro allo scoppio della guerra mondiale, allorché ogni partito esercitò la sua autonomia di azione schierandosi col proprio governo nella sacra unione patriottica. Al contrario la Terza Internazionale si presentò come organismo unitario i cui partiti membri accettavano la direzione di un centro supremo: con l'adozione  delle 21 condizioni di ammissione essa si avviò potentemente a diventarlo. I risultati del Secondo Congresso non si fecero attendere. In Germania,  la maggioranza dei delegati del partito socialista indipendente, accettò al congresso di Halle, le 21 condizioni e si fuse col partito comunista di Germania. In Francia nacque al congresso di Tours il partito comunista. Lo stesso avvenne in Inghilterra. Ma dove il comunismo combatté la sua grande battaglia fu in Italia nel gennaio 1921, data della fondazione del Partito Comunista d'Italia.

In seguito si verrà a parlare delle vicende della formazione del Partito Comunista d'Italia di cui si dovrà tenere conto perché la lotta polemica della Sinistra Comunista Italiana nel seno della Terza Internazionale si legò strettamente al conflitto di corrente nel seno del P.C.d'Italia, che si delineò sul terreno teorico, fin dall'epoca dell'uscita dell' «Ordine Nuovo» e venne alla luce  allorché gli ex ordinovisti  assunsero la direzione del partito. La storiografia di comodo dei togliattiani ha l'interesse di far apparire l'ordinovismo in costante dissidio del «settarismo bordighista», falsando così la storia. In realtà al congresso di Livorno, al congresso di Roma, nei dibattiti dell'Internazionale almeno fino al 1923, le posizioni della direzione di sinistra furono costantemente riconosciute dai seguaci di Gramsci.

Ma di ciò appresso.  Il contributo dato dalla Sinistra Italiana alla elaborazione della tattica del partito internazionale del comunismo non si arrestò al lavoro svolto brillantemente al Secondo Congresso. Nei successivi congressi, i delegati della Sinistra Italiana dovettero assumersi l'ingrato ma necessario compito di criticare i falsi indirizzi impressi, a volta a volta, al movimento internazionale, arrivando persino a formulare la profezia della futura involuzione reazionaria del grande organismo che tanta passione rivoluzionaria aveva suscitato al suo sorgere.

 

il programma comunista, n. 4, 19 febbraio - 5 marzo 1954