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archivio > Archivio sulla sinistra>E' il capitalismo che ci appesta (il programma comunista, n. 21, dicembre 1953)

aggiornato al: 04/11/2008

il programma comunista, n. 21, 19 novembre - 3 dicembre 1953

Ben prima della fioritura dell'ecologismo la "sinistra comunista italiana" aveva messo in guardia sulla distruzione del pianeta che il capitalismo, nella sua forsennata ricerca del profitto, stava compiendo. Agli inizi degli anni settanta fu pubblicato un libro «Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale» (Iskra edizioni, 1978) che raccoglieva alcuni articoli dei primi anni cinquanta di Amadeo Bordiga sulla questione.

Anche questo articolo, mai riproposto dalla sua apparizione nel 1953, è imperniato sui danni ambientali del capitalismo. La Londra che descrive è la stessa Londra di oggi (anche con la riconversione del riscaldamento a carbone fossile con quello a metano o gasolio) identica ad  ogni altra metropoli dell' inizio del nuovo millennio con le sue giornate ecologiche ed i suoi periodici divieti del traffico automobilistico.

Sono passati più di cinquantacinque anni da questo articolo ma non c'è nulla da aggiungere: la situazione che descrive è quella,  forse aggravata, di oggi.

 

E' il capitalismo che ci appesta

 

Le metropoli non sono un prodotto esclusivo del capitalismo. Anche le società asiatiche e schiaviste ne ebbero immense per estensione e popolazione. Ma solo il capitalismo doveva, accumulando entro le cinte urbane o a ridosso di esse le masse di mezzi di produzione del macchinismo industriale, esasperare insopportabilmente le condizioni di vita delle enormi masse cittadine. Città asfissiate dal proprio fumo né Asia né Roma ne conobbero. Ai giorni nostri invece mentre la «fantascienza» precorre le conquiste astrali, avviene che milioni di uomini e donne, ammonticchiati come cimici nei nauseabondi caseggiati urbani  (specie se dell'ultimo stile «900» in edizione «popolare»), respirano un micidiale miscuglio carico di veleni minerali allo stato gassoso, e per tutto rimedio gli uomini della scienza prescrivono l'uso permanente delle maschere! Non dipende dal fatto che il capitalismo rende sempre più assurdo e addirittura inabitabile questo disgraziato pianeta, la nuova epidemia di fantastiche evasioni dalla terrestre atmosfera?

Parlando di nebbia e di fumo il pensiero va subito a Londra, ma Londra non è il solo posto, ove la nebbia o per meglio dire l'inquinamento industriale dell'aria atmosferica, fa le sue vittime. I londinesi chiamano «smog» la loro nebbia omicida, perché essa è appunto miscela di aria e di fumo (in inglese «smoke»), del fumo che nel lungo inverno nordico si leva continuamente dai milioni di caminetti alimentati a carbone e dalle ciminiere della zona industriale. Lo «smog»  uccise nel dicembre 1952, nello spazio di una settimana, ben quattromila persone. Perciò i londinesi lo chiamano «The Great Killer» – il Grande uccisore.

Recentemente la stampa ha scritto misteriosamente di un terribile gas segreto che sarebbe posseduto sia dagli Stati Uniti che dalla Russia, capace di uccidere in soli quattro minuti enormi agglomerati urbani. Lo «smog» londinese non arriva a tanto, ma con minore teatralità raggiunge lo stesso scopo: soffoca, acceca, intasa stomaci e polmoni. Come la pace rassomiglia alla guerra sotto il capitalismo! Ai londinesi che durante l'assedio aereo dell'isola si portarono addosso per tutte le giornate la maschera antigas, in angosciosa attesa delle bombe a gas di Hitler, oggi viene consigliato dai medici di usare la maschera di garza dei chirurghi per proteggersi dallo «smog». O spegnere i caminetti di Londra, o prescrivere una maschera di tipo governativo – sostengono i medici, e invocano l'intervento del Governo.

La stampa d'informazione riporta che il Governo «sta studiando le cause e gli effetti». Forse il Governo Churchill teme di passare per un fautore della dittatura ordinando il bavaglio agli otto milioni e dispari di abitanti della «Great London»... Intanto è stata nominata una Commissione speciale e un Capo-Investigatore dello Smog, direttore supremo dell'Ufficio ricerche sulla Polluzione dell'atmosfera. Ricaviamo la notizia dal «Tempo» che aggiunge altri particolari.

«La metropoli è stata divisa in sezioni e il cielo di Londra è tutto intersecato da una rete di intercettatori dello «smog»: strumenti che misurano e registrano l'ammontare di residuo di carbone e di ossido di zolfo che il fumo lascia nel cielo di Londra... Gli strumento hanno rivelato cose straordinarie: nella zona di Westminster, una delle aree predilette dallo «smog» si registrano 300 tonnellate di residui di carbone e di ossido di zolfo al mese, per miglio quadrato! Nel quartiere della ricca borghesia di Kensington, i depositi sono alla media di 250 tonnellate al mese. Nella City, quartiere degli affari, si registrano 200 tonnellate di «smog». Ma sul sobborgo di Richmond la media scende a 100 tonnellate, e se poi si viene verso la campagna, nel Surrey, la media mensile è soltanto di 5 tonnellate di veleni atmosferici per miglio quadrato». Dal che deriva ovviamente che il dilemma: o spegnere i caminetti o indossare la maschera, viene superato teoricamente dalla soluzione conforme a natura: non spegnere i caminetti ma accenderli in campagna. Ma chi osa mettersi sotto i piedi  le provinciali esaltazioni della metropoli e chiederne lo spiantamento? Più dello  «smog» il governo di Londra è accecato da ben più mortiferi pregiudizi di classe e dalle ferree esigenze della conservazione capitalistica.

A prescindere dall'importanza storica che ebbero nel corso delle rivoluzioni antifeudali, che poggiarono sugli agglomerati umani e sociali delle città, ove la borghesia doveva acquistare potenza e dominio, l'urbanesimo è fenomeno intimamente connesso con il modo di produzione capitalista. E' chiaro che le città saranno i centri della rivoluzione proletaria, quando essa verrà; serviranno ancora alla vittoria di una rivoluzione sociale ma in senso completamente opposto alle esigenze economiche per cui sin dal Medio Evo sorsero e s'ingrandirono. Tuttavia, il capitalismo deve esso stesso addensare il materiale esplosivo da cui sarà alla fine distrutto, ingrandendo senza posa le popolazioni urbane. Non può fare altrimenti perché nel regime del capitale e del lavoro salariato lo sparpagliamento della mano d'opera oltre il perimetro delle metropoli o, il che è lo stesso, il decentramento delle industrie, aumenterebbero i costi di produzione. la produttività del lavoro scenderebbe paurosamente se si dovessero trasportare gli eserciti di salariati dalle campagne alle fabbriche, invece che stanarli a colpi di sirena dalle scatole di murature delle cittadine case operaie. Pensate poi a quale grado di congestione salirebbe il traffico, già così tumultuante! Non si deve chiedere al capitalismo ciò che esso non può dare.

Evidentemente lo spopolamento di quei formicai umani che sono le città e la sistemazione delle popolazioni in sede corrispondenti non più agli interessi tirannici del Capitale, ma ai bisogni di una vita sana, sono esigenze che possono essere soddisfatte solo da un modo di produzione e di organizzazione della convivenza sociale svolgentesi in opposizione diametralmente col capitalismo. Il capitalismo sacrifica gli istinti sociali e la integrità fisica degli uomini accatastati nelle città, ove si vive sotto il crudele assillo di una meccanizzazione spietata, allo scopo supremo dell'indefinito accrescimento della produzione, che viene raggiunto mediante lo sperpero del lavoro sociale (sforzo penoso che non si esaurisce nella fabbrica, ma accompagna il disgraziato abitante della città nella giungla del traffico) in masse enormi di merci e di servizi completamente inutili o addirittura nocivi. Per ottenere che la specie umana torni a padroneggiare i mezzi di produzione, anziché venire da essi schiavizzata, e possa ordinare la propria esistenza spendendo il minimo sforzo, occorre sanare le degenerazioni patologiche della produzione industriale. Ma ciò è possibile solo a mezzo della rivoluzione.

Impedendo radicalmente lo sperpero del lavoro sociale in prodotti inutili o antisociali, verrà a cessare la necessità di usare contemporaneamente immense masse di lavoratori concentrati in ristretto spazio, necessità che è appunto alla base del continuo espandersi delle città. Verrà a scomparire così il selvaggio traffico che trasforma in bolge le strade, in nevrastenici i viaggiatori, quando non serve addirittura alle sciagurate smanie di lusso di parassiti scioperati.

Ma intanto lo «smog» rigoverna bronchi e polmoni. Lo «smog» non ha patria, regna ormai nel cielo di tutte le città capitalistiche, indipendentemente dalla latitudine. A Los Angeles, che sorge a diversi gradi più a sud di Londra, morirono nel 1943 quattromila persone uccise da uno «smog» prodotto dalle emanazioni azzurrine degli stabilimenti industriali che bruciavano nei loro motori la nafta. I chimici trovarono a quel tempo che nelle zone industriali di molte parti degli Stati Uniti l'analisi del fumo o «smog» lasciava nelle ritorte un pauroso detrito di acido citrico e idrocloridrico, ammoniaca pura, formaldeide con aggiuntevi tracce di gas che neppure i belligeranti osarono usare per ammazzarsi più presto («Il Tempo»). Le statistiche non parlano dello «smog» prodotto dai... fumatori di tabacco che ben gareggiano con i bruciatori di nafta.

Eccoli dunque i «Grandi Uccisori» allevati dal capitalismo. Non occorre proprio scomodare la bomba atomica, all'uranio o all'idrogeno; né evocare la guerra. Anche in pace, il capitalismo è il grande carnefice della specie umana.

 

Il programma comunista, n. 21, 19 novembre - 3 dicembre 1953