su un intervento di Serge Latouche a Santorso -Vicenza- il 26.1.2013
Riproduciamo quanto i compagni di Schio di Sul filo rosso del tempo hanno diffuso dopo la relazione tenuta a Santorso, nel vicentino, il 26-1-2013 da Serge Latouche su "La decrescita come soluzione alla crisi".
Le posizioni del comunismo rivoluzionario riproposte dai compagni ci sembrano ben chiare fin dal titolo dato a questo intervento segno se ce ne fosse bisogno della loro attività e del loro lavoro di comunisti.
L’ILLUSORIA DECRESCITA
Vogliamo qui riportare le nostre impressioni in quanto parte del numeroso pubblico accorso, il 26/01/2013, al teatro comunale di Santorso (VI) per partecipare all’incontro con il professor Serge Latouche, docente di Scienze economiche all’Università parigina. Quello che colpiva, inizialmente, era per l’appunto la sala straripante di persone, attente e interessate ad argomenti affrontati con elegante sicurezza dal relatore principale.Viviamo in tempi particolari, caratterizzati dalla crisi di molte certezze, perciò sono in aumento quelli che cercano delle risposte ai vuoti lasciati dalla fine delle spiegazioni tradizionali. E tuttavia, dall’insieme delle argomentazioni contenute nella esposizione del professore francese, emergeva la fastidiosa sensazione di un dejà vu, di una debolezza concettuale ravvisabile nella solita incoerenza comune a molte teorie riformiste (vecchie e nuove). Per chiarire meglio, le tesi fondamentali del professore ruotavano intorno all’idea che la decrescita, la riduzione dei consumi, il ritorno alle produzioni fatte in casa e una condotta da consumatori responsabili, siano inevitabili per salvarci dalla catastrofe socio-ambientale incombente. In questo senso, lo stesso tema dell’incontro, poteva ben ispirare i toni profetici. La debolezza di fondo di queste teorie consiste nell’incoerenza fra fini e mezzi e quest’incoerenza nasce da una lettura sbagliata e superficiale della realtà sociale ed economica del sistema capitalistico.
Questi mistificatori, al servizio (ben retribuito) del sistema economico capitalista, vanno in giro ad illudere il popolino che l’uscita da questo sistema sia possibile attraverso l’esodo volontario e pacifico di grandi masse sociali verso nuove forme di consumo.Essi propongonola creazione diisole locali di produzione comunitaria, rispettose dell’ambiente e orientate al semplice valore d’uso e non più a quello di scambio dei beni prodotti.
Queste strade sono state già percorse in passato e i frutti della loro realizzazione non hanno modificato di una virgola la stabilità del dominio del capitale, il quale ha tranquillamente ignorato le fughe dalla realtà dei sognatori di ogni specie, continuando a macinare profitti attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro. Si propone un’uscita dal capitalismo, come se fosse semplicemente possibile aprire una porta e dire, fermate il mondo voglio scendere; come se non esistessero delle forze sociali che, traendo vantaggi e privilegi da questo sistema, si porrebbero ad ostacolo di ogni serio movimento di uscita da esso. Inoltre, la stessa borghesia non può che sottostare ai meccanismi economici del sistema che funzionano in maniera impersonale e se, per assurdo, volesse svincolarsene, ciò sarebbe impossibile. Se vogliamo realmente uscire dal capitalismo, allora dobbiamo considerare - nel conto delle spese da pagare - l’inevitabile scontro con quella parte di società, la borghesia, che da esso trae potere e privilegi. Se invece vogliamo uscirne solo nella nostra immaginazione, allora possiamo pensare e dire di tutto e, alla fine del viaggio fantastico, saremo ancora al punto di partenza, accorgendoci con stupore di non esserci mossi di un millimetro.
Nel nostro piccolo, anche noi comunisti rivoluzionari cerchiamo di essere vegetariani, di comprare cibo biologico, di non inquinare, di usare la bicicletta e, se è il caso, di aiutare le vecchiette ad attraversare la strada, ma non è certo questo che farà cambiare il sistema infernale di produzione. La cosa importante è che queste condotte individuali virtuose non impensieriscono minimamente il sistema, il quale le osserva con distacco olimpico e somma serenità, continuando a fare profitti. La rivolta del cittadino consumatore che, con la propria domanda “equa e solidale” determina il cambiamento dell’offerta, è solo una pia illusione.
Riproponiamo, a questo punto dell’analisi critica, un passo tratto dal testo di Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, pp.49-50, edizioni Einaudi.
“Questo stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto…Essa è (la religione) la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera (in questa società). La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni…La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l’uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorioche si muove intorno all’uomo,fino a che questi non si muove intorno a se stesso”. Cosa c’entra la critica del riformismo con questa importante citazione? Forse nulla, eppure come non vedere le assonanze fra l’illusione religiosa e quella riformista? Il concetto di ideologia, infatti riguarda tutte le produzioni di pensiero e le rappresentazioni mentali, politiche, filosofiche e religiose, che nel loro operare storico-sociale svolgono la funzione di occultare i rapporti reali delle cose, al fine di conservare lo statu quo esistente.
Con l’aumento dello sfruttamento reale del proletariato, la moderna classe di schiavi si pone l’esigenza, per il sistema, di aumentare nel contempo il livello fantastico del racconto riformista. Tale racconto ricopre di fiori illusori le catene della schiavitù proletaria e induce al consolatorio sonno della ragione coloro che assumono l’oppio riformista. È interesse del capitale, a consolazione mentale del proletariato che tale oppio non smetta mai di circolare e anzi venga assunto in dosi sempre maggiori, poiché esso concerne “il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore”, prodotto, per l’appunto, da una società oppressiva e senza cuore. Ma “affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale”, è necessaria una critica rivoluzionaria che strappi dalla catena i fiori illusori del riformismo “non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi”.
Gettare via le catene per essere liberi non è opera semplice, significa abbandonare le illusioni sulla propria condizione, i condizionamenti ideologici e il conformismo sociale,e inoltrarsi sul pericoloso sentiero dello scontro vero, riconoscendo la propria condizione reale di asservimento, una condizione che ha bisogno di illusioni, per poi scontrarsi inevitabilmente con le forze reali, - in primis con l’apparato statale borghese - che vogliono mantenerci in un eterno sonno per meglio perpetuare quella condizione di asservimento.
Il Partito Comunista, armato della teoria rivoluzionaria, è la prefigurazione della società futura e l’avanguardia di quel movimento, che può condurre l’uomo contemporaneo a spezzare con la rivoluzione la gabbia del capitale, fatta di sogni illusori e incubi reali, per vivere in una società non alienata in cui “… pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale”.
Alla fine della dotta relazione gli organizzatori, bontà loro, hanno consentito al pubblico di rivolgere delle domande all’esimio ospite. Il secondo e ultimo a porre domande è stato un nostro compagno il quale ha pacatamente chiesto due cose al dotto interlocutore: in primo luogo se può ritenersi sensato riproporre teorie già esistenti in passato e mai rivelatesi determinanti per produrre cambiamenti; in secondo luogo che senso ha parlare di decrescita a quei miliardi di esseri umani - che vivono in condizioni di fame e miseria - e dimenticare che solo superando il modo di produzione capitalistico si potrà ottenere la decrescita e, insieme, un miglioramento “equo e solidale” delle condizioni di vita generali.
Probabilmente, le parole del compagno, hanno toccato delle corde nascoste nel cuore di molti dei presenti, soprattutto giovani, che hanno inaspettatamente iniziato ad applaudire in modo lungo,frenetico e liberatorio l’intervento, dimostrando di apprezzarne la critica demistificatrice ai discorsi ascoltati fino a quel punto. Le successive risposte di Latouche, sono state vaghe e indefinite, scivolose come una saponetta che danza fra le mani e infine cade a terra, lasciando insoddisfatta la curiosità di molti dei presenti. Si spera che almeno la parte del pubblico che ci ha applaudito, inizi a cercare nel confronto con una tradizione di pensiero e azione marxista - come la nostra - la strada per una critica reale dell’attuale modo di produzione capitalistico, poiché “l’esigenza di abbandonare le illusioni sulla (propria) condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni “.
(gennaio 2013)
Partito Comunista Internazionale
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