L'Espresso, 3 dicembre 1972
Sergio Saviane (1923-2001) giornalista e scrittore veneto fu per anni il critico televisivo del settimanale «L'Espresso». In questa veste scrisse anche l'articolo che qui ripubblichiamo dove recensendo «Nascita di una dittatura» di Sergio Zavoli parla anche di Amadeo Bordiga e della sua intervista su cui vorremmo brevemente ritornare.
C'è un po' di confusione sulle date sia per quanto riguarda l'intervista alla televisione sia per quanto riguarda la risposta al questionario di 23 domande (Bordiga dettò le risposte alla moglie che le trascrisse a mano su 49 fogli di carta a quadretti) che fu poi pubblicato su «Rivista di storia contemporanea» del 1973.
L'intervista televisiva è da collocare al 1969 ( il programma televisivo apparve poi nell'autunno del 1972) e questo con sicurezza dato che Bordiga stesso ne parla in una lettera ad un amico:
"Ti racconto un fatto nuovo del tutto trascurabile: giovedì 12 novembre qui in una sala dell'albergo Fagiano ho dato un'intervista per la televisione sui temi delle origini del fascismo e dei primi anni di vita del partito comunista d'Italia e dell'Internazionale Comunista, con le mie note battaglie polemiche. Le domande mi sono state rivolte dai giornalisti della RAI TV Sergio Zavoli e Osser."
La risposta alle domande scritte per noi è antecedente all'intervista televisiva e dovrebbe essere dell'estate del 1969 anche se Edek Osser nell'introduzione al testo scritto scrive: «Questa intervista,oltre a quella diversa, che in seguito ci rilasciò davanti alla macchina da presa, risale all'estate del 1970, pochi mesi prima della sua morte ».
Cercheremo di appurare l'esatta sequenza e la data di questi fatti, cosa che non ci toglie il piacere di una lettura in cui il sarcasmo e l'ironia, qualità che caratterizzavano Saviane, la fanno da padroni.
Il testimone censurato
«Nascita di una dittatura», oltre che una storia documentata del fascismo è anche la storia del suo autore Sergio Zavoli. Infatti si è cominciata quasi quattro anni fa, proprio quando aveva inizio la marcia indietro (e a destra), del suo autore, un ex inviato della Rai con un certo mestiere oggi seduto dietro la scrivania di condirettore del Telegiornale per i servizi speciali. Intransigente controllore dei suoi ex compagni di lavoro, il giornalista Zavoli sembra ormai essersi dimenticato che cosa significa veramente questo mestiere. Col suo camaleontismo, questo storico da video s'è conquistato fin dal primo capitolo della trasmissione i galloni al merito da parte di tutti i giornali della destra nazionale oltre a quelli del centro-destra, coinvolgendo gli stessi storici scelti come consulenti e collaboratori da Alberto Aquarone a Gaetano Arfé, da Renzo De Felice a Gabriele De Rosa, da Gastone Manacorda a Salvatore Valitutti. «Impera da anni nella televisione italiana e da essa si è diffusa nella stampa quotidiana l'ideologia del disimpegno democratico, o se preferite, del falso equilibrio, della falsa obiettività democratica», scrive Giorgio Bocca nella rivista «Tempo» della scorsa settimana «essa consiste nel rifiuto delle responsabilità personali e di gruppo e nella costruzione di macchine inutili che mostrano il loro mirabile equilibrio stando sospese a mezz'aria, incapaci sia di volare che di cadere. La ricetta è molto semplice e ve la spiego con un esempio: Sergio Zavoli ha l'idea di raccontare per televisione le origini del fascismo. Detto fatto gli rifilano sul groppone cinque o sei storici delle scuole e delle idee più diverse, un Cln di storici che comprende il comunista, il socialista, il socialdemocratico, il cattolico, eccetera. Che ne direste voi di un libro sulla storia del fascismo dove cinque o sei interpretazioni diverse, dove cinque o sei angolature dissimili si paralizzassero a vicenda? Direste che è un pastrocchio, un centone. Ma è qualcosa di peggio. In realtà l'ideologia televisiva della falsa obiettività serve solo a far passare la merce moderata, serve solo ad accreditare il prestigio, la presenza di una cultura moderata che in realtà è inesistente o asfittica. Serve a presentare un fascismo che nasce, ecco il risultato, più per colpa della sinistra che per protervia e ferocia e stupidità delle destre».
In questo gioco della falsa obiettività i soprusi, i silenzi politici e le censure sono fatti scontati. Ma il caso di censura che riguarda Amadeo Bordiga è troppo grave perchè possa rimanere nascosto all'opinione pubblica. Uscito da partito nel 1926 dopo la sconfitta del congresso di Lione (in cui la direzione del PCI passò a Gramsci) Bordiga è rimasto dal 1930 sempre in solitudine, senza mai concedere un colloquio o un'intervista a nessuno. Nel gennaio 1970, pochi mesi prima della morte avvenuta il 24 luglio dello stesso anno arriva Zavoli per intervistarlo. Bordiga ha 81 anni, qualche difficoltà ad esprimersi, ma ancora le idee molto chiare. Alle domande del telecronista risponde lucidamente rivelando episodi fino allora inediti, raccontando praticamente, oltre che la sua storia, quella del suo partito, della sua posizione nel partito e nell'Internazionale, della nascita del fascismo. E' un'intervista di oltre 25 cartelle dattiloscritte, densa di preziosi dati e notizie che potrebbero illuminare lo storico, il comunista e, naturalmente, ogni ascoltatore. Ma Zavoli estrae nelle prime due puntate soltanto un paio di brevi interventi. Se fino ad oggi in televisione si tagliavano i vivi ora sappiamo che vengono tagliati anche i morti.
Nella lunga, documentata intervista, dopo aver spiegato perchè aveva sostenuto, alla riunione di Torino del 1917 (dove aveva visto per la prima volta Gramsci), la tesi di tentare la conquista del potere attraverso l'intervento rivoluzionario, Bordiga afferma che nel 1919 «mancò proprio la coscienza politica del partito, il quale non aveva una chiara visione dei possibili sviluppi della situazione avvenire». Da questo momento la ricostruzione è tutta piena di testimonianze di grande interesse. Ma per il neostorico della televisione non contano. «Sorgeva fin da allora», dice Bordiga, «la famosa questione del partito guida, cioè se nell'Internazionale ci dovesse essere un partito guida che dirigeva tutti gli altri. Io credevo, ritenevo invece che tutti i partiti dovessero dirigere e indirizzare il centro dell'Internazionale». Di tutto quello che c'è in questa prima parte dell'intervista, che non riportiamo per semplice mancanza di spazio, Zavoli farà dire a Bordiga, pressappoco queste parole: Io ero in favore dell'astensionismo invece che per la partecipazione parlamerntare perchè attraverso l'astensionismo gli operai avrebbero avuto maggiori possibilità di garantirsi uno sbocco rivoluzionario. E manda tutto il resto nei magazzini di via Teulada.
Abbiamo aspettato la puntata di venerdì scorso per vedere se Zavoli avesse recuperato quel materiale. Ne abbiamo trovato appena qualche traccia. A proposito della storica scissione decisa al congresso di Livorno, delle oltre tre pagine dattiloscritte in cui Bordiga fa un'analisi delle posizioni dei riformisti capeggiati da Turati, Treves e Modigliani, agli ascoltatori della trasmissione è arrivato praticamente soltanto l'episodio finale dei due teatri, il Goldoni e il San Marco, narrati anche da Nenni e da Terracini, col solito gioco delle alternanze e della poltrona da dentista in mezzo allo studio. Ma perchè fare raccontare in ampie riprese al direttore dell' "Assalto" Pini l'aggressione fascista del 1920 a palazzo d'Accursio a Bologna? Così impostata la trasmissione, i fascisti hanno avuto buon gioco a far valere i loro giudizi "storici" ben protetti e imbeccati dalle domande e dall'ospitalità del loro nuovo alleato televisivo. Si può anche capire che in una ricostruzione storica di questo tipo, per comporre un quadro unitario, gli autori siano costretti a ricorrere ad un certo montaggio alternando Nenni a Gronchi, Bordiga a Terracini, Nenni ai fascisti, i socialisti agli squadristi di Bologna. Ma perchè Zavoli non ha lavorato d'accetta anche con i suoi nuovi alleati invece di dargli generosamente tanto spazio, e spesso fuori luogo?
La risposta è fin troppo facile. Del resto basta notare il tono decisamente tendenzioso di porre molte domande, come quella: «Sono stati i troppi scioperi la causa della vittoria del fascismo?». Cosa possono rispondere i liberali o i fascisti a questa domanda? Dice infatti il critico del "Tempo" di Roma: «La trasmissione "Nascita di una dittatura" di Sergio Zavoli si sta rivelando tutt'affatto diversa da come potevamo aspettarcelo, data la firma, e ci ha lietamente sorpresi per obiettività, per chiarezza, per attento e scrupoloso equilibrio. Zavoli è un romagnolo passionale che si lascia prendere dai suoi impulsi: basta citare una vecchia intervista alla vedova di Rommel e quell'infelice "Codice da rifare" che suscitò reazioni a catena e fece scricchiolare in tutte le sue giunture il palazzo televisivo di viale Mazzini. Con ogni probabilità questa scomoda esperienza dev'essergli stata salutare. Del resto nel caso di "Nascita di una dittatura" l'argomento era di tale responsabilità da richiedere un impegno totale se l'autore voleva comporre, sono parole sue, un volenteroso progetto di verità... Per la prima volta gli stessi fascisti, e tra essi molti protagonisti, sono stati chiamati a parlare liberamente, senza inibizioni... Il fascismo risulta essere stato l'espressione di un momento di smarrimento della coscienza nazionale, con gli errori che si commisero e con le illusioni che determinarono quegli errori ... Siamo proprio ad un buon giorno di imparzialità e di chiarezza, quantomeno ad un consolante impegno di fare storia seriamente con l'obiettività, il rigore scientifico, la a-passionalità di uno straordinario computer...».
Zavoli può essere fiero dei suoi nuovi gradi di gerarca televisivo.
Sergio Saviane
L'Espresso 3 dicembre 1972